I due principali sconfitti nelle recenti elezioni amministrative in Bosnia Erzegovina, Milorad Dodik e Zlatko Lagumdžija, siglano un accordo per bloccare le liste elettorali e limitare l'indipendenza dei magistrati. Il commento
Uno dei maggiori problemi della Bosnia Erzegovina è il perenne disaccordo e la costante litigiosità dei partiti politici e dei loro leader, che provoca instabilità e viene spesso indicata come una delle cause dell’impasse del paese.
Consapevoli di questa situazione, la settimana scorsa Hillary Clinton e Catherine Ashton, nel loro tour di Bosnia, Serbia e Kosovo, non hanno mancato di rimarcare la necessità per i leader bosniaci di trovare il consenso su alcune questioni fondamentali che vessano il paese. Solo in questo modo sarà possibile per la Bosnia Erzegovina proseguire il proprio cammino verso l’integrazione europea e l’ammissione nella Nato.
Per l’integrazione europea della Bosnia…
Detto, fatto. Due giorni dopo la visita, i leader dei due principali partiti, Milorad Dodik, leader indiscusso del partito SNSD della Republika Srpska e Zlatko Lagumdžija, l’autocratico capo del partito socialdemocratico (SDP) nella Federazione, hanno annunciato pomposamente la firma di un accordo di cooperazione dei poteri legislativi ed esecutivi per il periodo 2012-2014. L’accordo si articola in quatto punti, ma non fa nessuna menzione della riforma costituzionale o della pronuncia della Corte di Strasburgo nel caso Sejdić-Finci, che impone una riforma di alcune istituzioni della Bosnia di Dayton.
Il primo dei quattro punti è l’attuazione della road map per l’accesso all’Unione Europea, i due partiti si impegnano ad assicurare il rispetto degli obblighi sin qui intrapresi. Il secondo è la creazione di un quadro mirante a promuovere lo sviluppo economico, allo scopo di migliorare la situazione del paese e attrarre investimenti. Il terzo è la creazione di un’amministrazione pubblica più efficiente e razionale. Il quarto è il miglioramento della reciproca collaborazione, attraverso la continuazione del dialogo.
Il primo e il quarto punto sono molto scarni e sembrano più delle dichiarazioni di intenti che un programma specifico. Il secondo punto, sulla cooperazione economica, contiene delle proposte che al momento sono in fase di valutazione, ma che comunque potrebbero incidere positivamente sulla situazione del paese e contribuire allo sviluppo dell’economia.
Ma, come si suol dire, il diavolo sta nei dettagli e in questo caso nel terzo punto dell’accordo, che ha sollevato un vespaio di polemiche ed una serie di reazioni a catena che stanno infuriando sui media e i social network bosniaci. Se fossero state adottate in Italia, si potrebbe senz’altro utilizzare l’espressione di provvedimenti ad personam o meglio ad partitum per descrivere alcune delle misure proposte.
Il ruggito dei perdenti
Per capire meglio il contesto, va chiarito che i due leader di SDP e SNSD sono usciti alquanto malconci dall’ultima tornata elettorale, quella per le municipali del 7 ottobre scorso. Gli elettori bosniaci, sia nella Federazione che nella RS, hanno manifestato il loro scontento nei confronti dei due partiti, che sono al governo nelle rispettive entità. Dopo anni di dominio quasi incontrastato, Dodik ha perso ben 26 delle 41 municipalità in cui aveva la maggioranza. Le perdite di Dodik hanno premiato il partito democratico serbo (SDS) che ha guadagnato 14 municipalità, salendo da 13 a 27. In modo simile, gli elettori della Federazione hanno punito Lagumdžija e il suo “autocratismo” nel gestire gli affari della Federazione, e per aver precipitato il paese in una nuova crisi di governo pochi mesi dopo il faticosissimo accordo raggiunto nel dicembre 2011. Inoltre sia SDP che SNSD sono al centro di vicende giudiziarie, tuttora in corso, di fronte alle procure della Republika Srpska e del Cantone di Sarajevo.
Sentendo il terreno tremare sotto i piedi, i due leader hanno pensato bene di correre ai ripari. Il trucco è ben mascherato, ma non troppo difficile da svelare. Il terzo punto dell’accordo mira infatti a rafforzare il controllo delle segreterie di partito nei confronti dei propri membri, per prevenire fughe verso altri schieramenti di deputati eletti nelle proprie liste. Ne sa qualcosa l'SDP che negli ultimi mesi ha perso dei carichi da novanta come il rappresentante croato alla presidenza, Željko Komšić, che a inizio estate è uscito dal partito, in rotta con Lagumdžija. Anche Dodik deve temere defezioni nel suo partito, ma il dissenso interno non emerge in RS, e anche l'opposizione è stata imbavagliata.
Il porcellum bosniaco
Lo strumento è semplice, si modifica la legge elettorale e si introducono le liste chiuse, eliminando il voto di preferenza. D’ora in poi sarà il partito a decidere chi viene eletto, gli elettori non potranno più esprimere le preferenze per i vari candidati. A dir il vero, le liste chiuse sarebbero accettabili se i partiti al loro interno fossero organizzati in modo democratico o se al loro interno si svolgessero elezioni primarie. Ciò non avviene. Dodik e Lagumdžija sono al comando dei rispettivi partiti da più di quindici anni e non si parla mai di rinnovamento, nè la leadership viene discussa… Chi è in disaccordo se ne va dal partito, come fece Komšić, o viene espulso, come si faceva ai vecchi tempi. Ma l’abolizione del voto di preferenza non basta, si paventano altre misure nel programma, tra le quali molto probabilmente il cosiddetto “mandato imperativo”: il seggio non appartiene al candidato eletto, ma al partito.
Tale prassi, in vigore in Ucraina, è stata più volte condannata dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, come contraria ai principi democratici. Per pudore, il mandato imperativo non viene menzionato esplicitamente, l’accordo fa riferimento soltanto ad ulteriori misure, ma già nel passato più recente le liste chiuse sono state abbinate al mandato imperativo. In passato, tali accordi erano falliti proprio per la litigiosità dei partiti politici.
In più le modifiche alla legge elettorale mirano a modificare le competenze del centro di conteggio dei voti che avviene a Sarajevo, e serve come un ulteriore controllo dei risultati ottenuti nei vari seggi dei comuni. Con le modifiche proposte, la competenza del centro di conteggio sarebbe solamente residua: quello che avviene nei seggi elettorali rimarrebbe di fatto escluso dalla supervisione della commissione elettorale centrale.
Insomma, un vero e proprio porcellum, mirante a smontare le disposizioni troppo libertarie della legge elettorale che davano troppo potere ai cittadini. E a quanto sembra, tranne alcuni partiti minoritari, il porcellum sembra piacere a quasi tutti i partiti bosniaci.
Il bavaglio… e il guinzaglio
Ma non basta, l’attuazione della draconiana legge sul conflitto di interessi, che in passato è costata il mandato a più di qualche parlamentare, verrà di fatto sottratta alla competenza della Commissione Elettorale Centrale, organo ritenuto evidentemente troppo indipendente. Sarà una commissione speciale nominata della Camera dei Rappresentanti del Parlamento bosniaco a giudicare i politici trovati in conflitto di interesse. Ad ogni modo verranno eliminate le sanzioni più severe come la perdita del mandato e l’interdizione dai pubblici uffici per quattro anni. Anche qui, sarà una coincidenza, bisogna tener presente che il primo ministro della Federazione, Nermin Nikšić dell'SDP, e ora numero due del partito, si trova nel mezzo di uno di questi procedimenti, dato che il governo della Federazione, guidato da Nikšić stesso, ha affidato al fratello del premier l’incarico di direttore delle autostrade della Federazione, un’impresa pubblica sotto controllo federale.
Ancora più preoccupanti sono le misure annunciate nel settore della riforma del settore giudiziario, con il trasferimento ai parlamenti delle entità di parte delle competenze relative alla nomina dei procuratori. I parlamenti delle entità e dei cantoni avranno quindi il compito di nominare i procuratori per il livello corrispondente da una lista di candidati stilata dal Consiglio dei Giudici e Procuratori, l’organo di autogoverno della magistratura bosniaca. L’impatto di queste misure è ancora tutto da valutare. E’ difficile però pensare che sia una semplice coincidenza il fatto che vengano proposte assieme a delle misure volte a rafforzare i partiti di maggioranza.
Patacche e integrazione europea
Fatto l'accordo, bisogna trovare il modo di rifilare la patacca agli ambasciatori della comunità internazionale che mantengono ancora molto influenza sulla situazione bosniaca. Ma ciò non è troppo difficile, i consiglieri di Dodik e Lagumdžija sono pronti a sfornare talking points e memo per coprire il misfatto. Ed eccoli a citare le norme della Convenzione Europea sui Diritti Umani per giustificare i cambiamenti alla legge sul conflitto di interessi, oppure ad affrettarsi a spiegare che l'introduzione delle liste chiuse servirà ad aumentare le quote rosa nel Parlamento bosniaco, dato che la legge elettorale prevede che ogni terzo candidato sia di genere diverso dal resto dei candidati in lista. Certo con le liste chiuse ci saranno più donne nel parlamento bosniaco, ma saranno sempre le donne volute da Dodik e Lagumdžija...
Le reazioni
Il giorno dopo il patto, Dodik ha infatti prontamente convocato gli ambasciatori dell'Unione Europea e ha spiegato le misure prese. Le reazioni della comunità internazionale al momento si sono concretizzate in un cauto comunicato dell'Alto Rappresentante che ha esortato i politici bosniaci a rispettare i principi democratici, a non indebolire lo stato o le istituzioni esistenti. Solo l'ambasciata norvegese ha espresso la sua preoccupazione per le misure volte ad indebolire l'indipendenza della magistratura.
Molto meno diplomatiche sono state la società civile e le organizzazioni della diaspora. 292 organizzazioni della società civile, guidate da Transparency International, hanno duramente criticato il patto, mettendo in chiaro come certe riforme rappresenterebbero un passo indietro rispetto agli standard esistenti e che se si vuole rispettare la parità dei sessi vi sono altri meccanismi. Le ONG hanno duramente contestato il fatto che le modifiche proposte sono il risultato di un accordo privato e che non vi sia stato alcun dibattito pubblico. Un gruppo di intellettuali bosniaci residenti negli USA infine ha duramente criticato Lagumdžija invitandolo a dimettersi e paragonandolo a Fikret Abdić, l'uomo d'affari e politico bosniaco da poco rilasciato dalle carceri croate. Il 64% dei voti espressi in un sondaggio sul popolare portale Klix.ba considera l'accordo negativo o catastrofico...
In Bosnia, quando i politici non si mettono d’accordo, le cose vanno male. Quando si mettono d’accordo, però, possono andare anche peggio!
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