Dževad Karahasan

Dževad Karahasan (Foto ©Danilo Krstanović)

Venti anni dopo l'assedio, Sarajevo è una città che sta cercando se stessa. Così come l'Europa che, all'inizio degli anni '90, aveva deciso di diventare una Unione. Incontro con Dževad Karahasan, lo scrittore bosniaco autore de “Il centro del mondo” in questi giorni in Italia per presentare “Sarajevo, il libro dell'assedio”

 

Sarajevo è oggi una città diversa da quella che era prima del 1992. Molti dei suoi abitanti, oltre 10.000, sono stati uccisi durante l'assedio, molti se ne sono andati e altri sono venuti al loro posto dalla periferia. Negli sconvolgimenti di questi anni, Sarajevo ha perso la propria anima?

L'eroe del mio romanzo “Sara e Serafina mette a confronto la Sarajevo del 1993 con un feto. Parla della Sarajevo collegata al resto del mondo da un tunnel, che correva sotto la pista dell’aeroporto, così come il feto è legato alla madre dal cordone ombelicale. Lui ebbe un presentimento, dicendo che allora a Sarajevo era iniziato qualcosa di importante, che da tutto questo sarebbe nato qualcosa. Io non credo che la Sarajevo di oggi sia il frutto finale di quei tormenti iniziati nel 1992, che sono continuati fino al 1995. Sarajevo è tutt’ora una città confusa, una città che continua ad essere la città che ho conosciuto e amato, ma una città che non è ancora chiara. E’ una città che sta cercando se stessa.

Vorrei fare un confronto tra Sarajevo e l’Europa. Io sono certo che nulla è accaduto per caso, definiamo casualità un destino che non abbiamo compreso. L’evento logico, che non comprendiamo, lo chiamiamo caso, ma non è un caso che la Comunità Economica Europea si sia trasformata in Unione mentre Sarajevo era sotto assedio. E così come Sarajevo ancora oggi sta cercando se stessa, così sta facendo anche l’Unione Europea.

Credo che l'Europa abbia guardato muta e stordita l’assedio di Sarajevo, e non abbia fatto nulla, perché l’Europa teme se stessa. Nessuno in Europa, e dunque nell'Unione, ha capito che l’Europa è un prodotto della cultura e non una società per azioni. L’Europa è il risultato dell’intreccio di culture, così come lo è la Bosnia Erzegovina. La Bosnia Erzegovina non è mai stata un progetto politico. Era ed è il corpo vivente della cultura, fatta di persone che vivevano in un sistema comunitario e provavano un comune sentimento di appartenenza.

E Sarajevo?

Sarajevo rappresenta una grande possibilità proprio per l’Unione Europea che oggi sta cercando se stessa. Sia Sarajevo che l’Europa si avvieranno verso la giusta strada se capiranno che finché viviamo noi siamo, e dobbiamo restare, esseri culturali. Non bestie nate per creare profitto, non semplici esseri fatti per andare a votare e pagare le tasse. Ma per favore! Qualsiasi cane può vivere rispettando le leggi, andando a votare e pagando le tasse! Il cane, quando abbaia al postino che porta la posta, paga le sue tasse! L’essere umano è un prodotto della cultura. Quando capiremo questo, sono certo che l’Europa si riconoscerà in se stessa e Sarajevo a sua volta riuscirà a ritrovarsi.

Qual è la posizione di Sarajevo nell'Europa di oggi?

Sarajevo è ancora oggi l’unica città europea nella quale un professore della facoltà islamica di teologia insegna nella facoltà cattolica di teologia, e viceversa. Sarajevo è l’unica città europea in cui è normale, per tutti, che il mio miglior amico, e io sono musulmano, sia docente di storia cristiana presso la facoltà cattolica di teologia, frate Mile Batić. In nessun luogo d’Europa questo è possibile. Ma senza questo, l’Europa non può esistere. Questa è l’essenza dell’Europa. L’essenza dell’Europa sta nell’unità di un corpo, formato da un mosaico. La sua essenza sta nella pluralità, nella diversità, l’unione di diverse identità che si sono associate in un’entità di grado superiore. E questo modello di unità a mosaico esiste a Sarajevo da molto tempo.

La politica europea sembra andare in un'altra direzione...

Penso che i politici europei siano terrorizzati dall’idea a cui l’Europa li obbliga. Guardate alla cartina politica dell’Europa di oggi. Guardate alla Francia, a come il presidente Sarkozy ha giocato con i fascismi, i razzismi… A come avesse tremendamente paura dell’Unione Europea. Nulla nasce in maniera semplice, e così la nascita dell’Europa deve essere un processo lungo, doloroso, segnato da crisi. E’ triste il fatto che in questa fase della storia europea in un grande numero di Paesi predominino politici profascisti, prorazzisti, di estrema destra. Al contempo io affermo che si tratta di una fase di passaggio.

Da dove viene questo ottimismo?

L’Unione dell'Europa nasce attraverso crisi, dolori e odissee. L'Europa sta cercando se stessa e può trovarsi solo se richiama l’attenzione su come Sarajevo sia un modello di questa unione. Molti politici nell’Unione non hanno voluto immischiarsi con la questione bosniaca, e con gli avvenimenti che sono accaduti tra il 1992 e il 1995, non perché avessero cattive intenzioni nei nostri confronti, ma perché avevano paura di ciò che a loro viene chiesto come compito, cioè l’idea dell’Europa unita.

Dunque?

Ho fiducia nella rinuncia ad un'idea di politica come governo sugli altri, e nell'adozione di un’idea di politica che ricerca l’equilibrio tra i diversi interessi e i diversi gruppi. Questa è la rivoluzione radicale che ci aspetta, e che avrà successo.


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