La Bosnia Erzegovina dopo le elezioni. Milorad Dodik, già beniamino della comunità internazionale, si oppone strenuamente alla riforma della polizia, condizione per il procedere dei negoziati di adesione all'UE. L'analisi del nostro corrispondente
Ci sono alcune dichiarazioni fatte durante il periodo bellico in Bosnia Erzegovina che ricordo come parole chiave per capire tutto quello che all'epoca ci capitava. Una di queste, che ripeto spesso motivandola, è il messaggio di Dobrica Cosic a Radovan Karadzic prima dell'inizio dell'assedio di Sarajevo. Spiegando al leader bosniaco i compiti del progetto grande serbo della distruzione dello Stato, il padre spirituale dell'Accademia serba delle scienze di Belgrado, che ha dato senso a questo progetto, aveva detto: "In Bosnia bisogna fare tutto per far sì che quello che fino a ieri era impossibile adesso diventi possibile..."
E così è stato. Si è cercato di negare e di falsificare la realtà secolare di questo Stato, molto più vecchio delle comunità statali arrivate dopo, che componevano la Jugoslavia. La sanguinosa violenza su questa realtà, le divisioni, l'odio e il nazionalismo, sono stati proclamati come una costante storica, mentre la convivenza, la multiculturalità, la multiconfessionalità, la multietnicità come un progetto ideologico non sostenibile. Ad ogni modo, c'è del vero nella vecchia saggezza che dice che la menzogna ripetuta continuamente, in modo lento ma sicuro, diventa verità. Così anche ciò che da sempre da queste parti era impossibile, lentamente ma sicuramente sta diventando possibile. Purtroppo, nella storia su come in Bosnia sia "tutto possibile", ci si mette anche la comunità internazionale grazie al modo in cui sta cercando di sciogliere il nodo gordiano che si è creato con i risultati delle elezioni parlamentari. La saggezza politica proveniente dall'estero, che si occupa in vario modo del destino della BiH, oggi è orientata verso soluzioni che fino a ieri sembravano impossibili.
Il caso tipico in cui si vede chiaramente come i rappresentanti della comunità internazionale stiano cercando di risolvere le questioni importanti con dei compromessi marci riguarda le ulteriori riforme dello Stato. Si tratta delle riforme ritenute la condizione per le ulteriori trattative con l'UE nel processo di associazione e stabilizzazione. I blocchi più gravi sono stati posti nella riforma della polizia a livello statale e nella riforma del servizio pubblico servizio televisivo. Il problema della riforma della polizia è, comunque, molto più complesso.
Detto in parole povere, Milorad Dodik e i partiti della Republika Srpska (RS) non accettano a nessun costo l'eliminazione della polizia e del ministero dell'Interno delle entità. I tre principi della riforma proposti dalla UE e accolti un anno fa da tutti i parlamenti competenti della BiH, intendevano precisamente anche la fine delle strutture della polizia delle entità della BiH. I tre principi richiedono una regolamentazione legislativa della polizia soltanto al livello statale, della Bosnia Erzegovina. Essi significano il finanziamento della polizia esclusivamente col budget della BiH. In base a questi principi, in pratica l'organizzazione della polizia sia in modo professionale che in modo funzionale deve essere svolta al livello di quel territorio le cui frontiere non combaciano con le frontiere delle entità. Qui, dunque, non c'è posto per un'organizzazione della polizia e per il suo finanziamento all'interno delle due entità, Republika Srpska e Federazione BH. Non c'è posto nemmeno per la permanenza dei ministeri degli Interni delle entità. Dodik, come dice, non ne vuole sentire "a costo di fermare la strada della BiH verso l'Europa". Per precisare, in questi giorni il leader della RS ha dichiarato che "fra l'Europa e la nostra polizia, sceglierà la polizia della RS".
La difficoltà della comunità internazionale in Bosnia è grande. Dodik è il beniamino di questa comunità. Considerando la situazione in modo semplicistico, lui è stato accolto come un "bravo ragazzo" che ha tolto di scena il partito del "cattivo ragazzo", Karadzic. La storia, naturalmente, non è poi così bianca e nera. Milorad Dodik si oppone in modo ostinato alla riforma della polizia basata sui principi europei per due motivi essenziali: ha promesso ai suoi elettori che non avrebbe permesso che "venisse portata via la polizia" e in base a questa promessa ha vinto le elezioni. Secondo, con l'abolizione della "sua" polizia (dopo che è stato abolito l'esercito delle entità) lui teme che inizi il crollo finale della Republika Srpska intesa come "stato". Secondo questa logica, dopo aver ricondotto dal livello delle entità a quello statale l'esercito, la polizia, le tasse, i servizi di frontiera, la dogana e tutto il resto, ci sarà il turno della magistratura e della procura.
Di ragioni essenziali, invece, ce ne sono altre. Né Dodik né nessun altro politico in Republika Srpska vuole essere iscritto nella mitica storia del popolo serbo come l'affossatore dell'idea degli "stati serbi comuni", e nemmeno dell'idea dello stato serbo all'interno della Bosnia Erzegovina. Da qua giunge il drammatico messaggio: non molliamo la nostra polizia nemmeno a costo dell'ingresso in Europa!
Chiaramente, la verità è che la nomenklatura politica della Republika Srpska, così come anche quella della Federazione, non vuole rinunciare alla decisiva influenza politica sulla polizia. I nuovi leader del dopoguerra vogliono controllare attraverso la polizia il proprio cortile e le sue frontiere. Se in questo cortile venisse lasciata la polizia "che viene dall'altra parte", si potrebbero scoprire facilmente tante cose portate là in vari modi illegali durante la guerra e quello che è stato rubato attraverso la scandalosa privatizzazione del dopoguerra. La difesa della terra in realtà è il vero motivo della difesa della "propria polizia".
In questo momento, però, il problema più grosso non ce l'ha Dodik, ma la comunità internazionale in Bosnia. Gli europei devono trovare la chiave su come raggiungere "l'impossibile": con quali argomenti, davanti alla loro opinione pubblica e a quella locale, applicare le riforme consone ai propri principi e riuscire a mantenere colui che è contrario a queste riforme ma che loro hanno definito il riformatore. In che modo spiegare che loro come "loro uomo e riformatore" considerano un politico locale che dice apertamente di essere contro l'Europa nel caso in cui il principio europeo vada contro i suoi interessi! Fra la gente semplice già adesso prevalgono le convinzioni che l'Europa rinuncerà ai suoi principi e cederà a Dodik. Credo che queste persone abbiano ragione. Le esperienze sono dolorose e la percezione sempre più precisa. Questa stessa Europa in realtà non ha mai avuto il coraggio di portare fino alla fine nessuna delle promesse fatte nei Balcani. La mancanza di un progetto per questo spazio multinazionale sta diventando sempre di più la caratteristica di un'Europa claustrofobica basata sul concetto nazionale.
I saggi giocatori nella politica dicono che, per tutto ciò, bisogna portare ad ogni costo Dodik a Sarajevo, e farlo premier della Bosnia Erzegovina. Il suo vero successo - e a Dodik è sempre importato moltissimo del successo personale - allora potrebbe dipendere soltanto dal successo della Bosnia Erzegovina verso la strada europea. Potremmo dire: una missione impossibile. Comunque, non bisogna dimenticare le indicazioni di Cosic riportate all'inizio del testo. Qua oggi è possibile anche quello che fino a ieri sembrava impossibile. Questo in Europa, in modo eufemistico, viene definito realpolitik. Come se tutti avessero già dimenticato cosa ha portato questa politica nei Balcani quindici anni fa.
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