In questi anni i fenomeni migratori hanno avuto largo spazio sui media europei, spesso in termini controversi. Con lo scoppio della pandemia, la situazione è cambiata sensibilmente, ma non per il meglio. Un’analisi
Negli ultimi dieci anni, la cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015 e la pandemia di Covid19 hanno avuto il loro impatto sul processo migratorio e la sua percezione. Diversi studi, ad esempio, mostrano come l'approccio dei media alla migrazione sia cambiato insieme al numero di migranti che entrano nell'UE.
Come i media influenzano la percezione della migrazione
Un gruppo di ricercatori dell'Università di Vienna ha studiato la copertura mediatica della migrazione in Europa nell'ambito del progetto “Role of European Mobility and its impact in Narratives, Debates and EU Reforms (REMINDER)”, analizzando 850mila articoli relativi alla migrazione pubblicati tra il 2003 e il 2017 in sette paesi europei (Germania, Spagna, Ungheria, Svezia, Polonia e Regno Unito).
La migrazione tende ad essere più visibile nei paesi di arrivo. Secondo lo studio, fino al picco del 2015, la copertura mediatica sul tema della migrazione era costante: in media il 15% del contenuto totale, fino al 10% per la mobilità intraeuropea. In Ungheria, paese di transito, la copertura mediatica della migrazione nel 2015 è arrivata al 70%.
Nel 2020 il quadro è stato completamente diverso. La migrazione clandestina nell'UE è diminuita del 13% lo scorso anno (secondo Frontex, la più bassa dal 2013), in gran parte a causa delle restrizioni Covid19. Di conseguenza, anche la copertura mediatica è diminuita in modo significativo: in Italia, secondo uno studio dell'Associazione Carta di Roma, del 34% rispetto al 2019. “Nelle notizie in prima serata, a differenza degli anni precedenti, l'attenzione è stata discontinua: nei primi dieci mesi del 2020 la copertura di questo argomento è stata la metà rispetto al biennio precedente", sottolinea Giuseppe Milazzo, ricercatore dell'Osservatorio di Pavia.
La copertura mediatica della migrazione tende ad assumere toni negativi, spiega Jakob Moritz Eberl, un altro ricercatore del progetto REMINDER. "Tra le altre cose, questo perché i discorsi sulla migrazione sono dominati dai partiti estremisti, che tendono a essere citati nelle notizie", ha spiegato durante un webinar su "Il ruolo dei media nella migrazione", organizzato dal Bosch Alumni Network.
Lo studio rivela che anche molti articoli sull'economia o sulla sicurezza sono collegati alla migrazione. Tali contenuti di solito fanno allarmismo sulla concorrenza nel mercato del lavoro o sulla contaminazione culturale, portando ad atteggiamenti negativi nei confronti dei migranti.
Le donne sono tradizionalmente fortemente sottorappresentate nella copertura migratoria, anche durante il picco del 2015. Sebbene sia vero che gli uomini costituiscono gran parte dei migranti, sono spesso i giornalisti a decidere consapevolmente di concentrarsi su di loro.
I social media hanno rimodellato la rete di migrazione
Il progetto “MIRROR”, anch'esso realizzato dall'Università di Vienna, si concentra su migranti e media nella pandemia, con interviste a migranti in Bosnia Erzegovina, Turchia, Italia e Libia. Smartphone e social network hanno cambiato le regole del gioco: "I dispositivi mobili sono strumenti decisivi per i migranti", afferma Eberl.
In Bosnia, i migranti hanno detto ai ricercatori che non sarebbero rimasti in un centro di accoglienza senza Wi-Fi, poiché è fondamentale per ottenere informazioni sui passi successivi.
"Con i social media i migranti possono rimanere in contatto in ogni momento, ma non sempre dicono tutta la verità: quando parlano con i membri della famiglia nel loro paese di origine, ad esempio, possono addolcire le cose per alleviare le preoccupazioni", racconta Eberl. Alcuni intervistati hanno dichiarato che l'Europa non è davvero come la immaginavano e che il processo di richiesta di asilo è molto più difficile di quanto fossero stati informati; tuttavia, alle loro famiglie a casa dicono che va tutto bene.
L'infodemia durante la pandemia
Secondo la ricerca MIRROR, le persone che seguono le emittenti pubbliche hanno maggiori probabilità di riconoscere la disinformazione rispetto al pubblico di emittenti commerciali, tabloid e social media.
Il “16° Rapporto di Comunicazione” dell'Associazione Carta di Roma mostra che Facebook è il secondo mezzo di diffusione delle notizie e il 31,4% degli italiani lo utilizza per ottenere informazioni. Secondo il report, l'uso di un linguaggio emergenziale e allarmistico contribuisce a creare un clima di minaccia e paura.
In Austria, secondo un altro sondaggio condotto dall'Università di Vienna, l'emittente pubblica rimane la fonte di informazione considerata più affidabile, poiché i media commerciali sono entrati nel mercato solo all'inizio del 21° secolo.
"I sostenitori dei partiti di estrema destra non si fidano dei media in generale e dell'emittente pubblica in particolare", spiega Eberl. Mentre il 56% degli intervistati ha una certa o molta fiducia nella copertura mediatica della pandemia, in tema di migrazioni la fiducia del pubblico nei media è solo al 31%.
Questo articolo fa parte del progetto "The World after COVID19: Migration and mobility", realizzato dal Kosovo Institute for Economic Development/ Ekonomiks (Kosovo), Fagaras Research Institute (Romania) e Youthnest (Grecia). Il progetto è finanziato dall'International Alumni Center/ Iac, Berlino, nell'ambito del Bosch Alumni Network/ BAN.
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