I Dubioza Kolektiv sono il gruppo musicale alternativo più noto in Bosnia Erzegovina. Da dieci anni i loro pezzi spopolano nei festival underground come nelle manifestazioni di protesta in piazza. Un collettivo di musicisti e insieme una voce della società civile impegnata. Nostra intervista.

29/07/2014 -  Mauro Cereghini Bolzano

Osservatorio Balcani ha già intervistato alcuni anni fa i Dubioza Kolektiv, il gruppo musicale alternativo più noto in Bosnia Erzegovina, colonna sonora delle proteste civiche fin dai tempi di Dosta. La formazione è in parte cambiata, la fama è cresciuta ben oltre i Balcani, ma l'impegno sociale continua ad accompagnare i concerti della band. Li incontro a margine della Volxsfest/a, evento di Radio Tandem che ogni anno riempie a Bolzano i prati del Talvera con buona musica e intrecci culturali. "E' incredibile" - racconta alla fine della chiacchierata Brano Jakubović, tastierista e sound designer - "oggi qui ho mangiato uno dei falafel più buoni della mia vita...".

Il concerto è finito da poco, lui e il bassista Vedran Mujagić sono ancora stanchi e sudati, ma non hanno difficoltà a passare dall'energia del palco alle riflessioni anche impegnate. D'altronde hanno chiuso lo show salutando il pubblico dietro ad una gigantesca bandiera palestinese, in ricordo di quanto accade a Gaza. 

Nei mesi scorsi la stampa internazionale ha parlato di Bosnia Erzegovina principalmente per due fatti: uno negativo - le alluvioni - e uno positivo - la partecipazione al mondiale di calcio. Come sta realmente il vostro paese?

Il nostro è un paese contraddittorio, cinquanta per cento positivo e cinquanta negativo. E' fatto così! Per esempio - ride Brano - noi iniziamo a giocare a calcio solo quando perdiamo, per questo con l'Argentina ci siamo fatti subito un autogol.

In questi giorni invece si parla molto della sentenza del tribunale olandese che ha condannato i caschi blu dell'Onu per non aver protetto Srebrenica nell'estate 1995. Che ne pensate?

Ci fanno spesso domande simili, ma a noi non piace questo marchio di terra in cui c'è stata la guerra. Adesso purtroppo assistiamo alla guerra in Palestina, a Gaza. Bisognerebbe puntare l'attenzione più lì rispetto a quanto è successo da noi venti anni fa. Detto questo, stiamo valutando il momento giusto per andare a suonare a Srebrenica [in giornata ne hanno parlato anche con la Fondazione Alexander Langer , in vista dell'estate prossima quando cadranno il ventennale del genocidio e quello della morte di Langer]. Si tratta di un luogo molto complicato, ogni cosa che si fa lì può venire interpretata e distorta politicamente.

Voi siete un gruppo che si definisce impegnato, e vi siete schierati apertamente con i vari movimenti di protesta civica in Bosnia Erzegovina: come avete vissuto le manifestazioni di piazza della scorsa primavera?

Noi pensiamo che queste proteste siano solo il primo tempo, per dirla in termini calcistici, di una partita più lunga. A ottobre ci saranno le elezioni politiche, e se non cambierà qualcosa nel paese ci aspettiamo altro che le proteste di febbraio, perché veramente la situazione è molto difficile.

Ai vostri concerti si affaccia ormai la generazione dei diciottenni che non ha vissuto personalmente la guerra: cambia qualcosa nel loro modo di porsi verso la vita politica e sociale del paese?

Quella dei diciottenni di oggi la definirei una generazione perduta, orfana di una prospettiva. Vivono in una specie di vuoto pneumatico, creato dalle pressioni dei politici per sostenere continuamente le loro versioni su quanto successo venti anni fa. E' un problema molto rilevante, si tratta di una generazione che non ha vissuto la guerra ed ha una memoria distorta di ciò che è accaduto.

E nei concerti all'estero che sensibilità trovate? Più l'Europa dell'incontro - come vorrebbe la Volxsfest/a che vi ospita oggi - o più quella dei nazionalismi?

Quando sei in situazioni come questa e incontri la gente comune è una bella Europa. Ma quando vedi alla televisione i politici di Bruxelles vedi il buco del culo dell'Europa. C'è uno stacco molto forte tra i cittadini europei e le loro istituzioni.

A proposito di Europa, volete suonare ancora a Eurosong?

Suonare la nostra musica all'Eurovision Song Contest è un grosso problema: non si possono fare canzoni politiche. Allora - e qui ritorna lo humour bosniaco che è in Brano - abbiamo proposto una canzone a sfondo sessuale, con una coreografia ambigua e tutta particolare. Ma non ci hanno dato chance: abbiamo scoperto che a Eurosong oltre alla politica non si può toccare nemmeno l'erotica.

E qua finiamo, con il cantante che già da un po' tenta di disturbare scherzosamente l'intervista per richiamare Brano e Vedran al loro posto nel retro-palco. Un po' a divertirsi con gli altri, un po' a lavorare per smontare tutto e ripartire. Sempre tra musica e impegno, aspettando un cambiamento che prima o poi, forse, verrà.

(Si ringrazia Andrea Rizza per la collaborazione)


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