Scetticismo in Bosnia Erzegovina per il risultato elettorale in Serbia e preoccupazione per la composizione del nuovo governo. La maggioranza dei serbi non ha votato per l'Europa nonostante Belgrado, favorita da Bruxelles, abbia saltato la fila nel percorso di adesione europeo. Il commento di Zlatko Dizdarević
Ci sono due antichi detti popolari che in questi giorni vengono citati in Bosnia Erzegovina in relazione ai risultati delle elezioni parlamentari nella vicina Serbia. Il primo dice: "La montagna ha partorito un topolino", significa che qualcosa di nuovo è accaduto. Questo detto, al contempo, svela il sentimento relativo a quanto ci si aspettasse dalle elezioni in Serbia rispetto a quanto è effettivamente accaduto.
Il secondo detto popolare mostra l'emozione della maggior parte dei cittadini della Bosnia Erzegovina rispetto a ciò che i risultati elettorali comporteranno per l'intera regione e, in particolare, per la Bosnia. Il messaggio è altrettanto chiaro e comprensibile. Il detto è il seguente: "Chi è stato morso dal serpente ha paura anche delle lucertole". Rappresenta i dubbi, la paura e le riserve legate alle conseguenze dei risultati elettorali. Per entrambi i detti popolari esistono molte ragioni che spiegano perché sono spesso citati in questi giorni.
Semplicemente, in modo conciso e preciso, le conclusioni fondamentali a cui sono giunti i bosniaci dopo la domenica della Serbia si possono riassumere in alcuni punti.
Primo, in base ai risultati elettorali è chiaro che il numero totale dei votanti che preferiscono la via populista e anti-europeista in Serbia è maggiore rispetto a coloro che si dichiarano sostenitori del nuovo futuro europeo del paese. I radicali di Tomislav Nikolić hanno sì ottenuto meno voti di quanti ne hanno dichiarati e meno di quanti ci si aspettasse, ma non sono gli unici nel consistente fronte anti-europeo in Serbia.
Secondo, il Partito democratico e i suoi partiti alleati dichiaratisi filo-europeisti hanno conseguito un risultato più alto rispetto alle aspettative, ma non sufficiente per formare un governo che realizzi in modo pragmatico ed efficace i loro obiettivi.
Terzo, il partito che ha come capisaldi la prassi politica e la filosofia di Slobodan Milošević ha ottenuto un numero di voti leggermente più alto rispetto a quanto ci si aspettasse. Oggi tale partito, oggettivamente, rappresenta la chiave per la formazione del nuovo governo in Serbia. I mass media in Bosnia Erzegovina molto giustamente citano la frase resa nota da un autorevole giornale britannico: "Slobodan Milošević oggi sorride nella tomba". Francamente, la vittoria della democrazia in Serbia è misera se le basi per formare il nuovo governo saranno dettate da un criminale che è il primo colpevole per quanto di peggiore è accaduto negli ultimi vent'anni in questi luoghi. Ora ha meno importanza il fatto che Milošević, ndt non sia stato solo in questa produzione degli orrori passati.
Quarto, alla maggior parte degli osservatori in Bosnia Erzegovina non sarà mai chiaro perché i media di tutta Europa e i centri politici del vecchio continente in modo così pesante e sistematico cerchino di ricavare un successo dall'insuccesso elettorale in Serbia. Le valutazioni euforiche su come in Serbia "abbia vinto la via europea", detto semplicemente, non sono corrette.
Ovviamente, ad ogni serio analista politico è chiaro almeno un po' che l'Europa con questa occasione in Serbia combatte una delle battaglie più importanti per la durevole stabilità nella regione. Lo stesso dicasi per la definitiva democratizzazione di questi paesi, che passa attraverso una difficile e ostacolata transizione, la definizione finale dei confini dell'Unione e la difesa dei forti interessi della Russia. Tali interessi sono principalmente strategici, e nella regione balcanica divergono da quelli europei.
Per questo esiste una significativa comprensione anche per lo sforzo, perfino per gli ingiusti favoritismi di Bruxelles nei confronti di Belgrado, quando invece per le stesse cose trascura la Bosnia Erzegovina e qualche altro paese nella regione. La logica della realpolitik è nota come categoria pragmatico-politica ma non è sempre comprensibile per il comune cittadino.
Tuttavia il fatto che la Serbia sia apertamente favorita, e che si avvicini all'Europa prima che siano soddisfatte le condizioni poste dall'Unione e senza rispettare la fila, non costituisce la principale fonte di preoccupazione per la Bosnia. La gente pone una domanda logica, cioè perchè in pubblico si citano risultati elettorali che non sono giusti: la maggioranza in Serbia senz'altro non ha votato per l'Europa nel dilemma del referendum tra Europa e passato. Il timore di una matematica di coalizione nella formazione del futuro governo, per questo, è legittima e grandi e fondati sono i dubbi.
Nei chiarimenti degli ottimistici editorialisti bosniaco-erzegovesi si dice che alle elezioni del vicino paese hanno vinto le idee della "Serbia europea" rappresentata da Boris Tadić e dal suo Partito democratico. Hanno vinto anche le idee della "giustizia sociale" rappresentate dal Partito socialista del successore di Milošević, Ivica Dačić. In questa analisi si afferma che "l'idea della grande Serbia, del popolo celeste e del sacrificio insensato per la croce d'onore e la vittoria d'oro", rappresentata da Tomislav Nikolić e Vojislav Koštunica, è stata sconfitta.
Come, invece, costruire il futuro europeo quando un tale risultato mostra in modo inequivocabile che la Serbia è profondamente e drammaticamente divisa? Accanto a questo, il vantaggio delle "forze europeiste", insufficiente per la formazione del governo, può portare unicamente ad un partito il cui leader afferma apertamente che non riconosce alcuna soluzione per il Kosovo all'infuori della Serbia! Non riconosce nemmeno il Tribunale internazionale per i crimini di guerra dell'Aja. Possibile alleato di Boris Tadić al governo potrebbe essere colui che afferma pubblicamente che non consegnerà mai Karadžić e Mladić all'Aja. Cosa risponde l'Europa?
È chiaro che le spiegazioni a queste preoccupazioni di un cittadino comune della Bosnia Erzegovina sono da cercarsi nel dominio di una politica internazionale molto complicata e imprevedibile. Nei confronti di questa politica, invece, questo cosiddetto piccolo uomo ha - per dirlo nel modo più delicato - enormi riserve. Qui torniamo al detto popolare sul "serpente e le lucertole". La gente qui sa bene che senza una stabile e democratica Serbia non c'è nemmeno una stabile regione. La misura delle cose per un comune abitante bosniaco è la convinzione e la prova che la Belgrado ufficiale guardi alla Bosnia Erzegovina come ad una presenza reale, senza alcun pregiudizio e combinazione di riserve. Vale a dire come ad uno stato confinante indipendente, sovrano, libero, riconosciuto a livello internazionale. Uno stato in cui non esiste solamente la Republika Srpska sulla metà dei suoi territori.
I risultati delle elezioni in Serbia, così come si leggono in questo momento in Bosnia Erzegovina, offrono semplicemente le ragioni per dire: "Forse possiamo anche un po' rallegrarci, a noi piacerebbe, ma ragioni per gioire non ce ne sono!" Con Nikolić e Koštunica proprio no, con Tadić alleato a Dačić molto ma molto difficilmente. Qual è la terza opzione? Chi lo sa, forse la troveranno i fautori europei della cosiddetta Realpolitik. Nemmeno a loro è indifferente chi guiderà la Serbia dall'interno e chi dall'esterno. La Bosnia sta a vedere e a sperare.
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