Milorad Dodik - Wikimedia

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Fermento politico in Republika Srpska, una delle due entità costitutive della Bosnia Erzegovina. L'opposizione al presidente RS Milorad Dodik, un punto fermo della politica regionale negli ultimi vent'anni, sembra crescere

29/09/2017 -  Giovanni Vale

Opposizione in stato di agitazione tra gli scranni del parlamento, giovani che manifestano per le strade di Banja Luka e relazioni diplomatiche che sembrano scivolare lentamente verso l’isolamento. Da qualche mese, la Republika Srpska attraversa una fase politica particolarmente movimentata e che, secondo alcuni osservatori, potrebbe addirittura portare alla fine della lunga carriera di Milorad Dodik, l’uomo forte della RS e che fino ad ora sembrava inamovibile. L’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina è in effetti associata alla figura di Dodik fin dai tempi dalla sua creazione. Primo ministro della RS già alla fine degli anni Novanta, presidente dal 2010, nonché capo dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD, al potere a Banja Luka con la premier Željka Cvijanović, eletta nel 2013), Dodik rappresenta da oltre vent’anni uno dei punti fermi della geopolitica balcanica, costituendo una spina nel fianco della stabilità bosniaca ed il tradizionale interlocutore di Belgrado in Bosnia. Diversi fattori, tuttavia, fanno ora pensare che questa lunga parentesi sia sul punto di chiudersi.

"Penso che stiamo assistendo agli ultimi giorni del regime di Milorad Dodik - lancia Jasmin Mujanović, politologo al EastWest Institute di New York e consulente alla Fondazione Friedrich Ebert di Sarajevo - anche se è ancora il favorito per le elezioni che si terranno tra un anno, dal punto di vista strutturale non c’è più spazio per lui. Rimane solo da vedere quanto resisterà: dodici mesi o piuttosto 2/3 anni? In ogni caso siamo vicini al punto di ebollizione". In un suo recente editoriale, pubblicato sul portale Balkan Insight, Jasmin Mujanović paragona la condizione attuale della Republika Srpska a quella della Macedonia nel 2015, quando il regime dell’ex premier Nikola Gruevski volgeva al termine. Come allora a Skopje, anche oggi a Banja Luka "maggioranza e opposizione vanno verso lo scontro finale", spiega Mujanović, che nota che "anche la normale procedura parlamentare si è rotta", facendo riferimento a quanto successo a metà settembre, quando l’opposizione ha interrotto una seduta dell’Assemblea nazionale per protestare contro una modifica dell’ordine del giorno.

A differenza della Macedonia del 2015, tuttavia, la Republika Srpska del 2017 non presenta una società civile organizzata e capace di portare in strada dei cortei con migliaia di persone. "Le RS è sicuramente più autoritaria e la sua società è effettivamente più chiusa", conviene Jasmin Mujanović, che aggiunge: "E' di questi giorni però la notizia secondo cui l’opposizione organizzerà a breve un giro di incontri con la popolazione: si rendono conto che se non dialogano con la società civile, presto la troveranno nelle piazze". Questo lunedì, in effetti, si è svolto a Banja Luka il primo incontro pubblico organizzato da tre forze di opposizione: il Partito del Progresso Democratico (PDP), il Partito Democratico Serbo (SDS) e il Movimento Democratico Nazionale (NDP). Branislav Borenović, presidente del PDP, spiega che lo scopo di questi “dibattiti pubblici” è di "spiegare il nostro comportamento in parlamento" e di "far circolare la verità nel paese".

La “verità”, secondo Borenović, è che "questo regime è diventato una dittatura". La goccia che ha fatto traboccare il vaso, per questo politico dell’opposizione, è il già menzionato scontro all’interno dell’Assemblea di Banja Luka. "Abbiamo insistito affinché il parlamento discutesse tutti i punti all’ordine del giorno, compreso l’ultimo rapporto dei revisori dei conti sul bilancio della Republika Srpska", racconta Borenović. Ma l’analisi, pubblicata a fine agosto e denunciante un debito di 95 milioni di euro, è stata criticata dal governo che non ne riconosce i risultati (tanto da aver provocato le dimissioni dei principali revisori contabili). "Abbiamo insistito per avere delle risposte su tutto questo, ma essere un deputato della RS è ormai inutile, perché l’assemblea non lavora più secondo quanto previsto dalla costituzione", prosegue il leader del PDP. Dopo l’interruzione della seduta, la maggioranza ha convocato una nuova sessione in un’aula più piccola del parlamento, nella quale l’opposizione non è però potuta entrare. "A metà strada siamo stati fermati dalla polizia! E’ quantomeno insolito dispiegare la polizia in parlamento!", esclama Borenović.

Amico ingombrante

Benché sia costretta all’opposizione a Banja Luka, la formazione politica di Borenović - il Partito del Progresso Democratico - è comunque riuscita nel 2014 a far eleggere Mladen Ivanić alla carica di membro della presidenza tripartita a Sarajevo, superando Željka Cvijanović, la candidata del SNSD. La vittoria di Ivanić ha portato ad un piccolo cambiamento nelle relazioni internazionali dell’entità, ovvero alla perdita per Dodik e per il suo partito del controllo di tutti i posti chiave per il dialogo con Belgrado. Il risultato è stato un lento ridimensionarsi del potere di Dodik sullo scacchiere regionale. Infatti, mano che l’uomo forte di Banja Luka attirava su di sé l’attenzione (e la preoccupazione) della comunità internazionale con i suoi discorsi sull’indipendenza della RS o con i diversi referendum autonomisti, Belgrado si vedeva costretta ad incontrare anche Ivanić a Sarajevo e - perlomeno formalmente - a prendere le distanze dalle iniziative eterodosse dell’amico diventato troppo ingombrante.

L’ultima di queste iniziative - il referendum sulla giurisdizione della Corte della Bosnia Erzegovina, paventato da ormai due anni - è stato rimandato in via definitiva dallo stesso Dodik, secondo cui al momento “non ci sono le condizioni a livello internazionale” perché uno scrutinio del genere possa tenersi. E’ difficile stabilire quanto questo sia il risultato delle pressioni venute da Belgrado, ma in ogni caso testimonia del ridotto margine di manovra in cui si muove Dodik. Inoltre, se il suo potere è in declino dal punto di vista geopolitico, le politiche del suo governo cominciano a far discutere anche a Banja Luka.

ReStart

Quest’estate è scoppiato ad esempio un caso attorno a delle automobili di lusso comprate da alcuni ministri della RS. Un movimento cittadino, “ReStart Srpska”, ha organizzato una prima protesta ad inizio agosto, lanciato in seguito una petizione (ottenendo 6.500 firme) e, infine, è sceso nuovamente in strada la settimana scorsa radunando diverse centinaia di persone.

"Vogliamo che venga posto un limite al prezzo delle automobili acquistate dai ministeri. Massimo 25.000 euro e non oltre 50.000 come avviene oggi", spiega Stefan Blagić, leader di ReStart Srpska. "Inoltre, chiediamo le dimissioni del ministro dell’Educazione, sia per i suoi pessimi risultati sia per aver comprato un’auto da 60.000 euro con i soldi pubblici", prosegue questo giovane laureato in Scienze politiche. Il suo movimento, spiega, è nato il 9 marzo 2017 ed è composto perlopiù da "giovani tra i 20 e i 35 anni con un alto livello di educazione". "Se il governo non accetterà le nostre domande, abbiamo già previsto delle nuove azioni", assicura Blagić. Come lui, anche Milica Pralica fa parte di un movimento cittadino, Oštra Nula (Zero spaccato), che potrebbe portare nella RS quell’”elemento macedone” necessario ad innescare il cambiamento. Ma Pralica è poco ottimista sul futuro del suo paese.

"Non direi che Dodik è arrivato ai suoi ultimi giorni. Già diverse volte in passato, qualcuno ne ha previsto la fine ed invece è ancora qui al potere da quasi vent’anni", afferma la giovane militante. "Questa situazione non finirà finché non si romperà il mito con cui Dodik “nutre” gli stomaci affamati dell’elettorato", prosegue Milica Pralica, secondo cui l’uomo forte di Banja Luka ha creato attorno alla sua figura "una personalità mitica, presentandosi come salvatore dei serbi della Bosnia Erzegovina". "L’esempio più lampante è quello dei ferrovieri che hanno iniziato uno sciopero della fame ma che al tempo stesso si aspettano che Dodik, il cui governo li ha ridotti in questa condizione, li salvi", aggiunge Pralica, che conclude amara: "Ho l’impressione che stiamo toccando il fondo, ma questo sentimento può durare a lungo. Quando davvero avremo toccato il fondo allora sì, forse, sarà la fine di Dodik e dell’SNSD. Ma questo può succedere domani o tra dieci anni".


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