Sarajevo - foto di Anna Cavarzan

Continuiamo nella pubblicazione di materiali ricevuti grazie alla piattaforma di crowdsourcing "Cercavamo la pace". Questo un testo scritto nel 1995 da Fabio Molon, e parte della raccolta di racconti "Nema Problema"

31/10/2013 -  Fabio Molon

Mentre si firma a Dayton l’accordo di pace, Amina e altri profughi da Malles tornano a casa. La guerra finisce (forse), comincia l’impegno della solidarietà.

Dopo tre anni trascorsi lontano dai propri cari e dalla propria terra 11 persone hanno realizzato il sogno del ritorno nella propria città: Sarajevo. Amina ha quattro anni e conosce suo padre solamente attraverso poche fotografie e le telefonate; Sarajevo è solo il nome che sente ripetere dalla madre e dalla gente ospitata nella caserma Wackernell di Malles Venosta. Sa solo che è nata in quella città. E che vi abitano i suoi parenti, forse percepisce che è qualcosa di molto importante per la madre e per gli altri: non può avere ricordi di una città che aveva lasciato a soli 6 mesi in mezzo ai bombardamenti e al sangue.

Ci sono altri 5 bambini e 5 adulti con noi 4 accompagnatori. Viaggiamo in un auto della Caritas e in un furgoncino della parrocchia di Lana strapieni di valigie e sacchetti, verso Ancona, Spalato e poi avanti Mostar, Jablanica, Konjic. Nessuno si lamenta delle condizioni del viaggio, i bambini sono bravissimi.

Dormiamo a Konjic e lì avviene il primo ricongiungimento familiare: Lejla (12 anni) e Aida (7 anni) riabbracciano il papà, Taiba, la loro madre, il marito. È un uomo in uniforme mimetica che stringe tra le braccia e bacia la propria famiglia. Quanto cambia una persona in oltre tre anni, quanti incidono le diverse esperienze vissute in questo tempo?

Sono le 23. Fa freddo, c`è il coprifuoco e siamo a 60 km da Sarajevo, il giorno dopo ci aspetta il monte Igman e le notizie non sono buone. Si parla di mezzo metro di neve e di ghiaccio, di strada chiusa. C´è pessimismo, ma non rassegnazione, domani vedremo.

Mercoledì 8 novembre: ci avviciniamo al penultimo ostacolo prima di Sarajevo. Nevica, in alcuni tratti la strada è ghiacciata: automezzi in difficoltà, si procede lentamente, ma finalmente arriviamo al posto di blocco ai piedi dell’Igman. C`è di tutto: camion stracarichi di legna da bruciare e di altri generi, automezzi dell'ONU, corriere, auto di tutti i tipi e soldati bosniaci che regolano il traffico da e per Sarajevo.

Il monte Igman era in parte, fino a due mesi fa, in mano ai serbi che dalle loro postazioni bombardavano Sarajevo ed impedivano qualsiasi rifornimento alla città. Una strada stretta e sterrata si inerpica sulle pendici del monte, nel bosco, fino ai 1.500 metri della cima, per poi ridiscendere fino a Hrasnica, sobborgo di Sarajevo. Ci informiamo sulle possibilità di percorrere la strada e ci dicono che se abbiamo le catene possiamo provarci. Una corriera sale lentamente il primo tratto in forte pendenza, alcuni automezzi arrivano dopo un viaggio di tre ore per coprire i 30 km dell’Igman. Inizialmente è veramente una strada infame: buche di tutte le dimensioni piene di acqua, fango e neve marcia. Davanti alle curve più difficili ci sono uomini pronti ad aiutare gli automezzi che si impantano: basta poco e non si va più avanti e non si può tornare indietro. La lenta colonna deve avanzare. Qualsiasi cosa che diventi un ostacolo deve essere abbandonata ai margini della strada. Anche se la neve è abbondante con le catene si riesce a continuare. Il bosco del monte Igman è fittissimo, si incontrano distruzioni, scheletri di automezzi, militari che procedono a piedi nei due sensi, ancora posti di blocco. È un bosco che nascondeva e forse nasconde ancora le postazioni serbe bersaglio degli aerei Nato.

Comincia la discesa, lenta e piena di insidie; ma siamo sempre più convinti che arriveremo. Improvvisamente, dopo una curva, si presenta Sarajevo grande e indefinita e l'emozione è forte. Ancora quasi un’ora di neve poi di fango per giungere all'entrata della città Postazioni, blindati dell‘UNPROFOR, parà francesi che affondano nel fango dell'insicuro corridoio che attraversa serpeggiando l`aeroporto di Sarajevo. Si può entrare in città solo tra le 14.00 e le 17.00, mentre l`uscita è consentita tra le 8.00 e le 11.00 del mattino. Tra le 11.00 e le 14.00 il corridoio è a disposizione di chi deve raggiungere le zone controllate dai serbi. Una cosa è sicura, meglio non sbagliare strada per non diventare oggetto di scambio tra le parti in conflitto. Usciti dall'aeroporto ancora „slalom“ sulle strade della periferia, poi finalmente Sarajevo. C’è il coprifuoco dalle 22.00 alle 5.00. Solo da poco vengono erogati abbastanza regolarmente gas e acqua, l`energia elettrica è regolamentata. Ricominciano a funzionare tram e autobus, le scuole di ogni ordine e grado le poste e le telecomunicazioni. Si stampano 3-4 quotidiani e 6-7 periodici. Pochissima criminalità (soprattutto furti). Qualche teatro e cinema, luoghi di ritrovo e ristoranti rimangono aperti fino alle 21.00.

Il direttore della Caritas di Sarajevo ci ha spiegato come e dove arrivano gli aiuti e la loro importanza. Vengono distribuiti senza fare alcuna differenza di appartenenza etnica o religiosa e vengono portati fino a casa a chi non ha la possibilità di muoversi. Tanto è il desiderio di una vita normale; camminando per le vie di Sarajevo si tocca con mano questo desiderio: la gente si ferma a parlare ignorando i container che fanno da scudo ai colpi dei cecchini, contratta, fa la fila. Passano tram zeppi di persone, carretti trainati a mano; ovunque però soldati armati, polizia, caschi blu. I negozi espongono le loro merci in vetrina, i caffè sono pieni di persone e di fumo, dai minareti giungono le voci dei muezzin che invitano i fedeli alla preghiera, si aggiungono ad essi i suoni delle campane delle chiese. Quasi tutte le case sono con le finestre senza vetri, chiuse da pezzi di plastica o di cartone. Sacchi di sabbia e mattoni davanti agli edifici. Da qualche parte si lavora per ricostruire. C`è chi chiede la carità e chi viaggia in Mercedes ma, crediamo, c`è tanto coraggio e tanta volontà di vivere. Qui è tornata Amina (4) con suo fratello Adnan (11) e la mamma Sevala, qui sono tornati Ermina e il piccolo Ajdin (6), qui Amir (14), Arif e Taib che ha perduto un piede su una mina, e qui tra pochi giorni torneranno Lejla, Aida e Taiba. Hanno riabbracciato padri, madri, mariti, parenti e amici provando emozioni diverse. Sarajevo non è Malles e, come ha detto Ermina, ci vorrà tempo e non sarà facile, specialmente per i più piccoli, capire la realtà ed abituarvisi. Ricominceranno a vivere come noi tutti, con l`unica differenza che qui, grazie a Dio, la guerra non c'è. L`emergenza non è passata: interrompere l’azione di solidarietà significherebbe condannare i più deboli e i più indifesi, cancellare la volontà di convivere e di vivere, lasciare che le persone muoiano non più a causa delle franate e dei cecchini ma a causa della disperazione. C`è ancora di più bisogno di tutto per continuare a sperare e a lottare. Amina è tornata a casa ma non appartiene al nostro passato: facciamo in modo che rappresenti la nostra speranza del futuro.

 

Riportiamo alcuni dati che permetteranno alcune importanti considerazioni e riflessioni. Bisogna premettere che le cifre riportate (tranne quelle relative a pensioni o a stipendi) erano fino a due mesi fa 10 volte superiori. Gli importi sono dati in marchi (DM) che è l`unica valuta vera considerata anche se gli stipendi sono ancora pagati in dinari bosniaci.

Costo della vita a Sarajevo

Pensione media 15 DM al mese, stipendio di un impiegato 20 DM, di un operaio 15 – 20 DM e di un militare 35 DM. 1 KG di pane e 1 litro di latte 1 DM, zucchero 1.20 DM al kg. 1 litro di olio 2 DM, i kg di carne 10 – 15 DM, 1 kg di patate 0.60 DM, 1 kg di farina 0.79 DM, pollo 6 DM al kg, un uovo 0.50 DM, 1 litro di benzina 1.10 DM, legna da ardere 80 DM al metro cubo, le scarpe 50 – 80 DM al paio, un paio di pantaloni 60 DM, il giornale 0.50 DM, un televisore 100 DM. Il servizio sanitario e le medicine sono gratuiti per gli anziani, i bambini piccoli e i malati cronici , ticket di 5 DM per gli altri. L`energia elettrica è pagata dalle dite e dai privati con attività . Chi può coltiva qualcosa e vi sono inoltre decine e decine di bancarelle dove si vende e si compera di tutto.

Si può cosi capire come siano vitali gli aiuti distribuiti gratuitamente dalle organizzazioni umanitarie, come potrebbe ad esempio riscaldarsi un anziano che riceve 15 DM al mese se un metro cubo di legna costa 80 DM.

Settembre 1995


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