Ogni anno l'11 luglio a Srebrenica si ricorda l'eccidio e si tengono le cerimonie funebri delle vittime delle quali con fatica si sta arrivando a definire l'identità. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo reportage
Di Francesca Rivelli - Fondazione Alexander Langer
Srebrenica e il memoriale di Potocari sono invasi nuovamente dopo 11 anni dall'eccidio, ma questa volta sono chiamati ad ospitare l'immensa folla di famigliari, di superstiti, di sopravvissuti alla lunga marcia della morte verso Tuzla, di giovani volontari, di autorità.
L'11 luglio a Srebrenica è un giorno triste, in cui si avverte l'impotenza umana e la violenza bellica. E' una giornata di contraddizioni emotive e visive, in cui il rancore lascia posto all'esigenza di alleviare il dolore e in cui il verde paesaggio bosniaco appare ancora più luminoso sotto il sole accecante. Gli abitanti dicono che in questo giorno in genere il cielo è abituato a piangere con gli uomini: ma quest'anno non si decide a piovere. Il sole, gli ombrelli colorati sotto cui ci si ripara sul prato, e il continuo viavai di persone rendono l'atmosfera stranamente 'viva'.
Potocari si presenta divisa in due da un rettilineo di cemento che passando da Bratunac collega l'isolata città di Srebrenica alla più attiva Tuzla.
Da una parte l'ex complesso industriale, già sede del compound delle Nazioni Unite e luogo simbolo del massacro, delle torture, delle decapitazioni sommarie e delle impiccagioni. Gli edifici sono alti, squadrati, sventrati e vuoti nella loro spettralità. Pochi si avventurano in una loro perlustrazione alla ricerca di capire o forse spinti da morbosa curiosità: un unico slogan che inneggia a Tito e alla fratellanza appare su di un muro annerito dalle granate.
Dall'altra parte della strada, il cimitero, dove in questo giorno altre 560 salme troveranno finalmente un luogo in cui riposare. Nonostante la gran folla e l'assembramento di persone, all'interno del memoriale permane un senso di vuoto. Verso le 12 la cerimonia ha inizio e il muezzin invita alla preghiera e al raccoglimento. Le donne dal bianco velo legato intorno al volto hanno il permesso di pregare accanto agli uomini. Nessuno si scandalizza. Successivamente l'imam prende la parola e ricorda gli undici insegnamenti che annualmente aggiungono un significato al valore del luogo. Parole religiose e chiare affermazioni politiche. La gravità delle azioni compiute dall'uomo sull'uomo in questo luogo richiedono la giustizia terrena per ristabilire l'ordine delle cose. Si invoca la giustizia per le vittime e le pene per i criminali di guerra, si incita a non dimenticare e ad aiutare le donne a lenire le proprie ferite. Queste le poche dure parole che risuonano in bosniaco. Il breve intervento viene anche proposto in lingua inglese per gli stranieri presenti. Pochi a dire il vero quelli di rappresentanza, che comprendono i vertici della SFOR, della EUFORCE, e del corpo diplomatico internazionale. Pochi purtroppo anche i rappresentanti della società civile europea. Le famiglie hanno infatti ottenuto il diritto di seppellire i resti dei propri cari nella calma di una cerimonia religiosa, che non lasciasse spazio al protocollo ufficiale, ai discorsi retorici e all'autoreferenzialità della politica. D'altronde gli uomini e le donne che avrebbero potuto attribuire un significato politico non erano presenti. Nessun rappresentante della Serbia, nessuno della Repubblica Srpska, e nessun vertice serbo della Federazione croato-musulmana. Srebrenica rimane un problema dei musulmani, un peso solitario di cui si tramanda ancora una memoria parziale.
Infine, giunge il momento delle sepoltura: i nomi delle salme vengono letti incessantemente per oltre due ore e il ritmo della giornata si fa stranamente movimentato. Le bare, leggere e verdi nel colore dell'Islam, vengono sollevate e trasportate a braccia verso la parte occidentale del cimitero. Qui spetta ai famigliari l'estremo saluto ai corpi e ricoprirli ora per l'ultima volta con la terra di Srebrenica. Molte donne emettono lamenti strazianti, altre svengono tra la folla, ma la sepoltura procede velocemente. Già nel primo pomeriggio il memoriale inizia ad essere quasi deserto, tutti hanno ritrovato il posto in uno degli oltre 50 pullman giunti dall'intera Bosnia.
Srebrenica ritorna a fare i conti col passato nella sua solitudine: città fantasma di una Bosnia che si sta muovendo ancora troppo lentamente.
Un ultimo sguardo mi consegna l'immagine si uno sparuto gruppo di sostenitori di Naser Oric, di giovani appartenenti a diverse associazioni e di piccoli gruppi di donne. Sono specialmente quest'ultime che rimangono a custodire le salme ma soprattutto la memoria di un evento così tragico.
A loro- e non alla politica governativa- spetterà l'arduo compito di affrontare il passato e tramandarlo alle generazioni future. Potocari diventerà il luogo della memoria, ci si augura che essa diventi il più condivisa possibile.
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