Le elezioni politiche si terranno in Bosnia Erzegovina il 12 ottobre. I candidati alla presidenza e alla Camera dei Popoli dovranno dichiararsi serbi, croati o bosgnacchi, in violazione di quanto disposto dalla Corte Europea per i Diritti Umani
Alla fine, queste elezioni si faranno senza le riforme che l'Unione europea aveva posto come prerequisito indispensabile per riconoscere il risultato del voto. I cittadini saranno infatti chiamati alle urne senza che sia stata applicata la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani nel caso “Sejdić-Finci”, che obbliga le istituzioni a riformare la costituzione in modo da garantire la possibilità di candidarsi alla Presidenza e alla Camera dei popoli bosniache anche agli “ostali” (letteralmente "i rimanenti"), a chi cioè non fa parte delle tre nazioni costitutive (serbi, croati e bosgnacchi).
La "linea di ferro" di Bruxelles è stata quindi prontamente abbandonata. Già dopo le proteste di febbraio si era avuto sentore che la questione, semplicemente, non fosse più all'ordine del giorno. L'emergenza delle alluvioni, che hanno devastato il paese in maggio, ha fatto il resto. Producendo - tra i tanti effetti negativi - anche quello di ridare legittimità ai politici al potere, rivitalizzando la loro dignità di interlocutori affidabili, e accantonando la richiesta di far progredire le strutture del potere bosniache.
Non importa - come accaduto solo la settimana scorsa - che la Corte europea di Strasburgo continui a emettere verdetti che condannano l'apartheid in vigore nel paese (questa volta, a ottenere la condanna di Sarajevo è stata Azra Zornić , un'ex candidata dell'SDP che non aveva potuto presentarsi alle elezioni della Camera dei popoli bosniaca, in quanto dichiaratasi "cittadina bosniaco-erzegovese" non affiliata a nessuna delle tre nazionalità costitutive). Tutto andrà come da (vecchio) copione: a ottobre, per la presidenza e per la Camera alta del parlamento i candidati concorreranno ancora una volta suddivisi nelle tre categorie tradizionali - serbi, bosgnacchi e croati.
Una corsa affollata per i bosgnacchi
Pur rimanendo lontani dalle elezioni generali del 2002, quando a contendersi i tre posti della presidenza bosniaca furono ben ventiquattro differenti candidati, anche a ottobre la corsa per la massima carica istituzionale bosniaca sarà abbastanza affollata: saranno sedici i nomi che si affronteranno nelle elezioni.
La competizione si annuncia particolarmente serrata soprattutto tra i dieci candidati bosgnacchi. Finora il nome che ha suscitato maggiormente l'interesse dell'opinione pubblica è senza dubbio quello dell'ex Reis della comunità islamica di Bosnia Erzegovina, Mustafa Cerić. Il vecchio leader religioso, una delle voci più autorevoli nel panorama bosgnacco del dopoguerra (e uno dei principali responsabili, secondo i critici, dell'appiattimento dell'identità bosgnacca su quella religiosa e quindi islamica), ha sciolto la propria riserva nel maggio scorso, dopo un tentennamento durato un paio di settimane e seguito praticamente in diretta dai media bosniaci.
Vero è che in molti, tra i commentatori più smaliziati, avevano pronosticato che Cerić sarebbe "sceso in campo" dopo avere tentato nel 2012, senza successo, di cambiare lo statuto della comunità islamica a proprio uso e consumo, al fine di essere eletto per un nuovo mandato. Ma la sua decisione è avvenuta, nonostante tutto, cogliendo di sorpresa l'opinione pubblica. Cerić ha dichiarato "di volersi occupare unicamente di politica", di voler creare "un piano Marshall per la ripresa economica del paese", e per proseguire sulla via dell'integrazione nella NATO. A proposito della sua decisione di correre come indipendente, senza l'appoggio di alcun partito, ha sottolineato "la necessità di de-politicizzare la presidenza".
Questa nuova vita dell'ex Reis di Bosnia Erzegovina ha attirato numerose critiche. La più feroce è stata probabilmente quella di Slavo Kukić, noto professore di sociologia di Mostar che fu a un passo, nel 2011, dal diventare Primo ministro e che oggi è tra i simpatizzanti del Demokratska Fronta di Željko Komšić. "Ora anche noi abbiamo il nostro Morsi bosgnacco", ha commentato Kukić, "ci mancano solo i Fratelli Musulmani e poi non saremo troppo distanti dall'Egitto".
Non è chiarissimo, del resto, a cosa punti Cerić. Se alcuni si limitano a sottolineare la sua sete di potere, e il suo innato desiderio di "diventare il primo tra i bosgnacchi", altri - come Vuk Bačanović, redattore di Dani - si lanciano in esperimenti di fantapolitica, ipotizzando l'esistenza di una sinergia tra Cerić e l'Alleanza per un futuro migliore (SBBBiH) del magnate Fahrudin Radončić. Anche Radončić, infatti, è in lizza come candidato per la carica di membro bosgnacco della presidenza. Da questo punto di vista, la candidatura di Cerić sarebbe stata pensata unicamente allo scopo di togliere voti all'SDA, attualmente in crisi, e favorire la vittoria di quello che viene definito "il Berlusconi di Bosnia". "Molto probabilmente Cerić non vincerà", secondo Bačanović, "ma questo non significa che egli non possa ricavarsi una posizione politica di qualunque tipo, dalla quale poi rinnovare la propria candidatura nel 2018".
Proprio l'SDA, indebolito dallo scontro tra le proprie correnti interne, ha scelto di affidarsi ancora una volta al "vecchio cavallo" che già vinse nel 2010, Bakir Izetbegović. Bakir, che finora è sembrato in ombra rispetto ai suoi diretti concorrenti, potrà comunque contare sul radicamento del proprio partito nel territorio, soprattutto nelle campagne, un fattore che potrebbe rivelarsi decisivo.
Oltre a Cerić, Izetbegović e Radončić, secondo i commentatori c'è un quarto candidato che potrebbe avere delle buone possibilità di vittoria: Emir Suljagić, che ha scelto di presentarsi con il Demokratska Fronta. La scelta di Suljagić, che in tempi recenti si era occupato soprattutto delle attività dell'associazione Prvi Mart di cui era a capo, è stata duramente criticata.
"Ormai è chiaro che Suljagić ha utilizzato Prvi Mart [un'associazione che si occupa principalmente dei diritti dei ritornati bosgnacchi in RS e che ama definirsi come apolitica, nda] unicamente per farsi pubblicità", è il giudizio pronunciato dall'analista Enver Kazaz su Radio Slobodna Evropa. "Al posto di continuare la propria azione civica ha scelto di candidarsi per la presidenza. A questo punto non è chiaro se, durante la propria permanenza in Prvi Mart, egli era o no un membro del Fronte democratico... Inoltre, la circostanza che da un'associazione come questa possa manifestarsi uno dei candidati alla presidenza del paese la dice lunga su come la nostra società civile sia strumentalizzata dalla politica", conclude l'analista, che osserva anche come "tra i candidati ci sono politici di lunga data, che sono delle vere e proprie iene per questo paese... Ma chi si candida per la prima volta non sembra avere nessuna idea per cambiare le cose".
Un referendum per croati e serbi
Se la scelta per i bosgnacchi è parcellizzata tra dieci nomi diversi (tra i quali, per l'appunto, potrebbero essere in quattro a giocarsi la vittoria finale), sia per i croati che per i serbi di Bosnia Erzegovina la scelta del rispettivo membro della presidenza sembra avere a tutti gli effetti le caratteristiche del referendum sui propri rappresentanti politici attuali.
Tra i serbi la lotta è tra due candidati, la fedelissima di Milorad Dodik (Željka Cvijanović, SNSD) e il candidato dell'opposizione, unitasi in una coalizione denominata Savez za promjene, unione per il cambiamento: Mladen Ivanić. Il voto sarà quindi estremamente polarizzato e avrà il valore di un plebiscito sull'operato di Milorad Dodik, che già da qualche mese ha rispolverato le sue consuete minacce di "secessione della Republika Srpska" al fine di recitare ancora una volta, agli occhi dei propri elettori, la parte del salvatore della "migliore metà" del paese. "Il mio programma politico è il rafforzamento dell'indipendenza della RS, che potrà essere raggiunta attraverso un referendum, sull'esempio di quanto avvenuto in Crimea", ha dichiarato recentemente Dodik al giornale Blic , seguendo un copione ormai consolidato da anni di pratica.
Se la lotta per il membro serbo della presidenza sarà, di fatto, un braccio di ferro tra maggioranza e opposizione in RS, quella croata sembrerebbe addirittura esistere solo sulla carta, con Dragan Čović, il leader dell'HDZBiH, lasciato praticamente senza avversari. Per un po' si era parlato della possibilità che il Demokratska Fronta presentasse la candidatura del già citato Kukić, ma Komšić ha puntato tutto su Suljagić. Il professore di Mostar, invece, a fine giugno è stato vittima di un attacco intimidatorio dopo aver duramente criticato la cerimonia di benvenuto riservata a Darijo Kordić (un criminale di guerra croato rilasciato dopo aver scontato 2/3 della pena). Al ricevimento di Kordić avevano partecipato, per l'appunto, anche i rappresentanti del partito di Čović.
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