L'Haggadah di Sarajevo, lo straordinario manoscritto della tradizione sefardita custodito nel Museo Nazionale della capitale bosniaca. Storia e potenza simbolica di un libro scritto nella Spagna del quattordicesimo secolo e sopravvissuto alle ingiurie del novecento
Questo articolo è apparso la prima volta su La poesia e lo spirito con il titolo "Wall paper"
Appena si cominciò a stare meglio gettammo via i vecchi mobili di legno, fatti a mano, e riempimmo i nostri piccoli appartamenti con armadi mille ante e poltrone ingombranti che sembravano carri armati portati dentro prima che venissero costruite le stanze. Via i tappeti variopinti bosniaci. Era una questione di prestigio ricoprire il pavimento con una moquette, possibilmente monocolore. In tanti, me compresa, ci siamo trovati durante la guerra a pagare ancora le rate per tutta quella roba moderna. C'era però un elemento che rimaneva costante, a prescindere dai tempi che correvano. I libri.
Rimanevano un oggetto prezioso, sacro direi. Spesso l'unica proprietà che abbiamo avuto nel corso della nostra vita era un appartamento, o la casa. Eppure la gente rammentava i libri persi, bruciati, rubati, non le case.
Radivoje Papić, un simbolo del giornalismo in Bosnia Erzegovina, parlava spesso della sua biblioteca privata. Nominava i titoli con voce tenera, si ricordava come, dove e perché aveva acquistato un volume. Sembrava che parlasse dei propri figli.
Lo scrittore bosniaco Andrej Nikolaidis cercava di rintracciare il suo tesoro, tremila libri. Li ha trovati gettati in una cantina, mezza allagata, mescolati con l'immondizia.
Nel primo messaggio che sono risuscita a mandare ai miei da Belgrado a Sarajevo, li ho pregati di non farsi scrupoli e, se occorreva, di bruciare i libri per riscaldarsi o per cucinare. Dopo la guerra, nell'appartamento distrutto l'unica cosa intatta erano i libri: un mucchio nel mezzo di cose bruciate. Papà li aveva nascosti, portando un pacco dopo l'altro a casa di un'amica che gli pareva più sicura.
Niente a confronto con Andrej Ðerković, oggi un artista, all'inizio della guerra ancora uno studente, di Sarajevo. Tra una tregua e i bombardamenti è riuscito a trasferire i libri dal Centro Culturale Americano che si trovava nel quartiere di Dobrinja, chiuso nell'assedio. Il Centro Culturale Americano, che comprendeva una ricca biblioteca, fu abbandonato nei primi giorni dei bombardamenti. Andrej trasferì tutti i libri con un camion che aveva preso a noleggio. L'avventura lo portò a passare il Viale dei cecchini ben tre volte. A casa sua, a 200 metri dalla linea del fronte, Andrej ha riaperto una biblioteca. "Incredibilmente, le persone riportavano i libri dopo averli letti, non li bruciavano per scaldarsi o per cucinare, e venivano a riprenderli nonostante i cecchini e i bombardamenti", racconta Andrej.
Il simbolo del nostro rapporto con i libri è un manoscritto antico, la Haggadah di Sarajevo.
Nel 1992, durante un bombardamento particolarmente intenso, un proiettile colpì l'albergo Holiday Inn, a Sarajevo, dove soggiornavano i giornalisti stranieri. Nell'hotel c'era anche la reporter della BBC Kate Adie. In seguito, Kate ha intervistato un ufficiale serbo, e gli ha chiesto perché avevano colpito l'albergo. L'ufficiale si scusò gentilmente, dicendo che era stato un errore, e che il bersaglio era il Museo Nazionale della Bosnia Erzegovina, che si trova sull'altro lato della strada.
Quel palazzo, ripetutamente bombardato e severamente danneggiato, custodiva, tra l'altro, l'Haggadah di Sarajevo. Si tratta di un manoscritto illustrato, creato 600 anni fa a Barcellona, il cui valore è stimato intorno ai 700 milioni di dollari. In realtà è un bene inestimabile.
L'Haggadah è un libro ebraico di cerimonie, una collezione di storie bibliche, di preghiere e di salmi che riguardano la Pesach, la festa che celebra la liberazione degli ebrei dall'Egitto.
Al mondo esistono tantissime haggade, più o meno preziose e conosciute. L'Haggadah di Sarajevo è considerata un gioiello della Corona. Si distingue per la bellezza delle sue immagini, per i colori arricchiti con oro e rame, per il fantastico mondo degli animali presentati, per gli ornamenti floreali e geometrici. L'Haggadah di Sarajevo, inoltre, ha la particolarità di presentare immagini di persone, nonostante la religione ebraica lo vieti.
Il manoscritto si distingue anche per alcuni concetti insoliti. In questo magnifico volume, fatto nel quattordicesimo secolo, la terra è presentata come rotonda. Ciò accadeva duecento anni prima che Giordano Bruno venisse mandato al rogo perché sosteneva una simile, eretica teoria.
La straordinaria bellezza del manoscritto è resa ancora più intrigante dalla sua storia, talmente insolita e avventurosa da sembrare prodotto dell'immaginazione. L'Haggadah di Sarajevo testimonia l'umanità di quelli che sono entrati in contatto con questo libro. La sua è una storia di tempi duri, racconta la salvezza e anche la debolezza e la forza umane.
L'autrice americana Geraldine Brooks (premio Pulitzer) fu ispirata dall'Haggadah di Sarajevo per il suo bestseller internazionale "I custodi del libro".
L'Haggadah di Sarajevo fu creata a Barcellona, nel 1350 circa, probabilmente per una ricca famiglia ebraica. Dopo il Decreto di Alhambra, nel 1492, gli ebrei furono espulsi dalla Spagna. Tanti manoscritti in ebraico furono distrutti, ma l'Haggadah di Sarajevo sopravvisse. Riapparse nel 1609, a Venezia. Il prete cattolico Domenico Vistorini, che l'aveva ispezionata, si accertò che non contenesse nulla contro la Chiesa, annotando sull'ultima pagina del libro: "Revisto per mi".
Nel 1894 l'Haggadah ricomparve a Sarajevo. Il Museo Nazionale della Bosnia Erzegovina l'ha acquisito dalla famiglia di Josef Kohen. Ma la straordinaria storia dell'Haggadah di Sarajevo non finì con la collocazione del manoscritto nei tesori sotterranei del Museo.
Del prezioso libro era ben informato l'obersturmbannfuehrer nazista Jonann Fortern. Nel 1942 si presentò al Museo Nazionale di Sarajevo, chiedendo la consegna del manoscritto. "Purtroppo è già passato un altro ufficiale tedesco che ha portato via il libro. Non ho osato chiedere il suo nome", così mentì al tedesco Derviš Korkut, il direttore della libreria del Museo.
Derviš Korkut era un erudita, parlava dieci lingue, apparteneva ad una nota famiglia di intellettuali ma, sopratutto, era un uomo coraggioso. Rischiò la vita mentendo al generale nazista. Il libro l'aveva portato fuori dal Museo, fuori da Sarajevo, e l'aveva nascosto in un villaggio ai piedi del monte Bjelašnica, dove rimase per tutta la Seconda Guerra Mondiale.
Il coraggio che Derviš Korkut mostrò, salvando l'Haggadah, non era un caso. Quell'uomo nascondeva a casa pure una ragazza ebrea, Mira Papo. I suoi genitori, ebrei, furono uccisi, mentre la ragazza rimase nascosta a casa dei Korkut per sei mesi e si salvò.
Il destino, generoso con il manoscritto, non lo fu altrettanto con Derviš Korkut. Il libraio, dopo la guerra, fu imprigionato dai partigiani. Sua moglie Servet, disperata, andò a chiedere l'aiuto dalla ragazza ebrea Mira, già sposata con un importante politico. Mira però, nelle sue stesse parole, "non aveva il coraggio di Korkut". Non riuscì ad aiutare quelli che le avevano salvato la vita.
Ammettere il proprio errore, talvolta, richiede più forza che un atto coraggioso. Prima di morire, Mira scrisse una lettera - testimonianza in cui dichiarò che Derviš e sua moglie Servet Korkut avevano rischiato la propria vita per salvare quella degli altri. Furono proclamati giusti tra i giusti dal Yad Vashem Holocaust Memorial di Gerusalemme.
L'Haggadah di Sarajevo è poi sopravvissuta ad un'altra guerra, quella in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1995. Questa volta a mettere il manoscritto al sicuro ci pensò il prof. Emir Imamović, direttore del Museo Nazionale. Insieme con un gruppo di poliziotti prelevò il manoscritto dal Museo, che era situato proprio sulla linea del fronte.
Durante la guerra sono comparse speculazioni secondo cui il governo di Sarajevo aveva venduto il manoscritto per comperare armi. Per verificare la verità sul manoscritto, il senatore americano Joe Lieberman promise, nel 1995, di presentarsi a Sarajevo per la Pesach "se l'Haggadah di Sarajevo sarà sul tavolo". I bombardamenti impedirono al senatore di farsi vedere in Bosnia, ma il libro fu esposto al pubblico. In quell'occasione la rete americana ABC ha mandato in onda una trasmissione vista da dodici milioni di spettatori.
Ma la straordinaria storia dell'Haggadah di Sarajevo non era finita.
Durante la guerra in Kosovo, tra gli sfollati c'era anche Lamija Jaha, figlia del libraio Derviš Korkut. Lei e il marito erano stati espulsi dalla loro casa a Pristina. Tra le poche cose che Lamija portava con sé c'era il certificato che i suoi genitori erano giusti tra i giusti. Nel campo profughi di Skopje, Lamija tirò fuori il certificato, che le aprì "tutte le porte". Lei e il marito furono prelevati dal campo profughi e portati in Israele. Cinquant'anni dopo che la ragazza ebrea Mira Papo era stata salvata, la figlia dei Korkut aveva trovato libertà e salvezza in Israele. Ad aspettare Lamija c'era il figlio di Mira Papo, Davor (che negli anni settanta era emigrato in Israele), e addirittura il presidente di Israele. Entrambi per sistemare l'errore, e riconoscere il coraggio.
Dopo la guerra, l'Haggadah di Sarajevo fu finalmente esposta nel Museo Nazionale di Sarajevo, custodita in un box con la massima sicurezza. Per la Pesach del 2006 ne sono state stampate 613 copie (il numero simbolico corrisponde alle leggi ebraiche spiegate nel manoscritto sacro). Si tratta di un volume da collezionisti, di un valore stimato in 2.000 Euro.
Con gli accordi di Dayton, la Bosnia Erzegovina fu divisa lungo linee etniche. Rifacendosi a quegli accordi, i rappresentanti dei serbo bosniaci hanno chiesto una parte dell'inestimabile Haggadah di Sarajevo. Non pretendevano che il libro venisse diviso, ma che venisse esposto ogni terzo anno a Banja Luka, capitale della Republika Srpska, e anche a Mostar, la non ufficiale capitale dei croato bosniaci.
"L'Haggadah di Sarajevo deve rimanere dove si trova, al Museo Nazionale", ha tagliato corto il capo della comunità ebraica della Bosnia Erzegovina, Jakob Finci. E ha spiegato: "La popolazione serba e quella croata non hanno mostrato, durante la guerra, rispetto per i tesori degli altri. I serbi hanno distrutto la medievale moschea Ferhadija a Banja Luka, mentre i croati hanno fatto saltare in aria il ponte vecchio di Mostar. Si trattava di due tra i principali patrimoni dell'architettura bosniaca. L'Haggadah di Sarajevo è la testimonianza della Bosnia multietnica. E' una prova che, anche nei tempi peggiori, i tesori degli altri non sono stati distrutti".
Da queste altezze divine, dai valori universali e dai discorsi storici, abbasso il mio sguardo e vedo quel mucchio di libri nel mezzo del piccolo appartamento bruciato. Commossa fino alle lacrime, e immensamente grata, cercavo due volumi in particolare: un libricino senza alcun valore, tranne un grande legame emotivo. Erano le poesie dello scrittore serbo Miroslav Antić, "Plavi Čuperak". Tre generazioni della mia famiglia hanno letto quei versi. Il secondo volume, il libro più costoso nella nostra modesta biblioteca, era "L'Haggadah di Sarajevo", una ristampa (1983) dell'antico manoscritto. Mi sono rasserenata. Se questi due volumi erano sopravvissuti alle bombe, alle fiamme, al freddo e alla fame di chi stava intorno a loro, ci sarebbe stato un futuro anche per me.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!
Commenti
Log in or create a user account to comment.