Alcuni Rom a Zavidovici

In che condizioni vivono i Rom in Bosnia Erzegovina? Una breve cronaca di alcuni incontri avvenuti a Zavidovici, Bosnia centro-orientale.

31/01/2003 -  Davide Sighele

Gli autobus sono in prevalenza Mercedes. Le destinazioni Mostar, Tuzla e Sarajevo. Presso le pensiline di un arancione arrugginito molti aspettano: anziani che rientrano nei propri villaggi carichi di borse dopo la mattinata passata in città e bambini di ritorno da scuola. La stazione di Zavidovici, Bosnia centro-orientale, è essenziale come l'arredamento del suo bar: tavolini sui lati ed alti tavoli in formica al centro, ad altezza gomiti, per appoggiarsi bevendo un caffè.

In entrata, grandi vetri sorretti da uno scheletro di metallo non nascondono i pullman in arrivo ed in partenza, l'andirivieni delle persone. Entrano quattro ragazzini Rom, uno dei più piccoli allunga un marco convertibile sul bancone e chiede un burek. La cameriera ne prende uno da un vassoio coperto da uno straccio e lo passa al ragazzino. "Ma mangiatelo fuori di qui, via". Loro si spostano di qualche metro e restano coi loro visi a fare da cornice all'entrata, gli occhi curiosi sui due stranieri seduti ad un tavolino. Ogni tanto li guardano, strizzano l'occhiolino, "Daj mene para", "Daj mene marku". Dai, dammi un marco.

Molte delle famiglie Rom di Zavidovici abitano in una via sulla quale si allineano le entrate di baracche fatiscenti. Prima della guerra vivevano in un villaggio vicino ma poi le loro baracche sono andate distrutte e gli è stato impedito di ricostruirle. "L'area è stata dichiarata parco naturale e le baracche erano abusive" - racconta Srdjan, collaboratore dell'Agenzia per la Democrazia Locale di Zavidovici - "Ed allora i Rom hanno trovato sistemazione qui ed in alcuni grandi edifici lungo il fiume".

"Ci hanno permesso di stare qui solo per qualche ora, di solito non si può entrare". Le mani di Amir, della moglie e dei due figli continuano a rovistare nella spazzatura della discarica della città. Si aiutano con un uncino di metallo per andare più in profondità. Raccolgono carta e cartone su di un grande lenzuolo. Tutt'attorno la discarica fuma e l'aria è pesante. Il contrasto è forte tra il fango nero e la neve caduta nei giorni scorsi. Oltre alle impronte dei Rom si riconoscono sulla superficie candida il calpestio dei corvi.

La raccolta del cartone è una delle attività principali dei rom di Zavidovici. Altri tentano di sopravvivere con una bancarella al mercato, dove vendono spesso cianfrusaglie scovate tra i bidoni della spazzatura. "Prima, con Tito si viveva meglio" - racconta un anziano, due folti baffi bianchi ed un sorriso senza qualche dente. La moglie intanto riempie il bagagliaio di una vecchia Opel Ascona rossa, la giornata è quasi terminata. "Si andava sulla costa a vendere souvenir ai turisti. Gli italiani ed i francesi erano i migliori perché dovevano comperare qualcosa per l'intera famiglia. Per la nonna, la mamma, lo zio, i cugini. E non chiedevano mai il prezzo. Ora invece ..." - e tira fuori un borsellino con qualche monetina - "... ecco cosa riesco a raccogliere in un giorno. Eppure siamo obbligati a vivere!".

Intanto i quattro ragazzini della vetrata del bar della stazione hanno trovato una pistola giocattolo. Se la puntano reciprocamente alla testa. Poi le danno fuoco e la alzano al cielo. Sullo sfondo i densi sospiri delle due grandi ciminiere di epoca austro-ungarica della Krivaja, industria di trasformazione del legno, che nella Jugoslavia socialista occupava più di 12.000 dipendenti. I Rom me la indicano e strizzando il viso mi fanno capire che anche con quell'industria, simbolo della città, le cose non vanno poi così bene. "Ci lavoravano due milioni di persone" - mi dicono, indicando una cifra enorme, sbagliata, ma utile per farmi capire che quell'industria occupava moltissime persone e che ora è in piena decadenza - "ora invece ce ne lavorano solo qualche centinaio".

E guardando la vita condotta dai quattro ragazzini, che ci scortano in città quasi fossero guardie del corpo (seppur libere, stravaganti ed incontenibili), si capisce come anche nei prossimi anni questa comunità sia condannata alla marginalità nella quale ora sopravvive. "Sono stato ad Hannover durante la guerra, lì era bello, avevamo un bel appartamento e ci davano anche dei soldi" - racconta uno dei ragazzini, quasi stupito della fortuna, seppur passeggera, che gli era capitata. Ora però, nonostante l'età, nessuno di loro va a scuola. "Costano troppo i libri e perciò a scuola non ci andiamo".

Intanto, a qualche chilometro dalla vitalità disperata di quei quattro ragazzini, a Sarajevo, si concludeva una conferenza internazionale sui Rom nel sud est Europa. Il capo missione OSCE in BiH, Robert Beecroft, ha ricordato in quell'occasione che i Rom vivono in condizioni inaccettabili, non solo in Bosnia ma in tutta Europa, e che sono necessari, almeno per quanto riguarda il sud est Europa, piani nazionali che siano in grado di avviare politiche a favore di questa comunità. "Non dimentichiamo che le guerre, che hanno dilaniato in questi anni i Balcani, hanno causato migliaia di rifugiati e sfollati anche tra i Rom", ha aggiunto Beecroft.

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