Goran Zubac, ex istruttore di ballo, è riuscito in soli tre anni a concentrare nelle proprie mani il controllo di una delle agenzie di polizia più importanti della Bosnia Erzegovina, la SIPA. Sospettato di crimini di guerra, condannato per non aver impedito i disordini del febbraio 2014, resta al suo posto
Alla fine, oltre ai governi cantonali costretti a rassegnare le dimissioni più di un anno fa, l’unica “testa eccellente” a rotolare dopo le grandi proteste del febbraio scorso doveva essere quella di Goran Zubac, il direttore della SIPA, l’agenzia di polizia che conta tra i propri compiti – tra gli altri – la lotta al crimine organizzato e al terrorismo.
Il 7 febbraio 2014, mentre i manifestanti assaltavano le sedi dei governi di numerose città della Federazione di Bosnia Erzegovina, arrivando anche a dare fuoco al palazzo della presidenza a Sarajevo, Zubac non prestò ascolto alla richiesta di intervenire, rifiutandosi di partecipare al comitato di coordinamento tra i vari corpi di polizia e dando anzi l’ordine a quello sotto il proprio controllo di intervenire soltanto se “i manifestanti avessero raggiunto l’ambasciata americana” – questo, almeno, è quanto emerge dal materiale raccolto durante il processo.
Per questo motivo, lo scorso 5 marzo, Zubac è stato condannato dalla giustizia bosniaca a un anno di carcere per negligenza grave nell’adempimento del proprio dovere, pena che però non dovrà essere scontata a meno che, nel corso dei prossimi due anni, egli non commetta altri reati.
La testa di Zubac, però, al momento non sembra avere alcuna intenzione di rotolare. Il comitato parlamentare indipendente che dovrebbe decidere la sua sostituzione, infatti, si è finora rifiutato di inserire il tema tra quelli all’ordine del giorno, per le pressioni di alcuni partiti politici (principalmente l’SNSD e l’HDZ) che sostengono l’operato dell’attuale direttore. Più di un mese è passato dalla sentenza e, nonostante tutto, Zubac è ancora al suo posto, dal quale dirige tranquillamente una delle agenzie di polizia più importanti del paese.
Le barricate di Sarajevo
Goran Zubac è nato a Sarajevo nel 1961. È giunto al vertice della SIPA nel febbraio del 2012 e, in tre anni soltanto, è riuscito attraverso una serie di epurazioni, secondo le critiche che gli sono state rivolte dai propri detrattori e da numerosi media bosniaci, a rendere l’agenzia un proprio feudo personale.
La sua scalata alle istituzioni parte da lontano: prima dell’inizio della guerra Zubac, che si è laureato in giurisprudenza e si guadagna da vivere ufficialmente come insegnante di ballo, si avvicina all’SDS di Radovan Karadžić. Il partito, in quel momento, sta cercando persone da formare in vista della futura creazione di un corpo di polizia autonomo in Bosnia Erzegovina. Con questo proposito, Zubac sostiene un addestramento speciale organizzato dai servizi segreti jugoslavi in una caserma a Pančevo, vicino a Belgrado.
I dettagli della vita di Zubac in questo periodo sono stati resi noti dal settimanale bosniaco Slobodna Bosna, in un lungo dossier pubblicato dalla giornalista Suzana Mijatović nell’agosto 2013. Secondo la documentazione, Zubac sarebbe stato attivissimo fin dalle settimane precedenti lo scoppio della guerra in Bosnia Erzegovina. Egli avrebbe lavorato per armare i serbi di Dobrinja, sobborgo di Sarajevo, prima dell’inizio dell’assedio. Il primo marzo 1992, giorno in cui viene organizzato il referendum per l’indipendenza del paese, è tra coloro che innalzano le barricate. Compie un’azione sul monte Igman, con un commando che mina alcune strade. In questo periodo, sempre secondo il dossier di Slobodna Bosna, Zubac avrebbe anche partecipato, come comandante di un’unità della caserma di Butile agli ordini di Branko Tešanović, all’azione contro il villaggio di Ahatovići, al termine della quale 47 ostaggi bosgnacchi furono trucidati dai paramilitari serbi e altri 550 imprigionati e sottoposti a torture.
Zubac viene trasferito nel sobborgo di Ilidža nell’agosto del 1992, dove è inquadrato in alcune unità speciali, e posto a capo della caserma di Rajlovac due anni più tardi. Il suo compito è quello di occuparsi dei servizi di sicurezza della zona. Alla fine dei combattimenti lascia Sarajevo per riparare nella città di Trebinje grazie alla protezione dei propri ex comandanti, e questo nonostante nella documentazione del Tribunale penale internazionale il suo nome venga indicato come sospettato di crimini di guerra. Nel 1996, viene messo a capo del corpo dei pompieri locale e nel 2001, dopo aver passato il test di certificazione dell’IPTF (International Police Task Force) entra nella polizia e diventa rapidamente il capo del Centro di sicurezza pubblica di Trebinje. Posizione dalla quale, nel 2012, farà domanda per diventare direttore della SIPA.
Zubac l’accentratore
Nei tre anni in cui è stato direttore, Zubac è stato da più parti accusato di avere gestito con metodi dispotici l’agenzia e di aver condotto numerose epurazioni per concentrare nelle proprie mani il controllo della stessa.
Nel primo anno di mandato, si è sbarazzato di numerosi tra i suoi più stretti collaboratori. Tra gli altri, spiccano i nomi del capo dell’ufficio regionale di Sarajevo Rashid Palić, il vice capo della divisione per i crimini finanziari Mijo Golub, il vice direttore della SIPA Marko Dominković e l’ex direttore Mirko Lujić. In alcuni casi, come quello di Palić e di Golub, è stata anche provata l’irregolarità della loro sospensione e ordinato il reintegro. Ma Zubac, finora, non ha obbedito alle disposizioni della giustizia bosniaca. Né sembra che abbia avuto alcun effetto concreto, fino a questo momento, la sentenza con la quale è stato condannato più di un mese fa. Zubac per ora è inamovibile: “l’Hoover venuto dalle periferie di Sarajevo”, lo chiama il magazine sarajevese Dani. “L’uomo che ha preso la legge nelle proprie mani”, gli fa eco Slobodna Bosna.
Se la sentenza del marzo scorso è rimasta, per ora, lettera morta, l’altro grande dossier che rimane congelato è quello del possibile coinvolgimento di Zubac in crimini di guerra. Nel 2013 la Procura cantonale di Sarajevo, che si occupava delle indagini su Zubac già dal 2006, aveva trasferito il dossier alla Procura generale di Bosnia Erzegovina. Osservatorio aveva già scritto , nell’estate di due anni fa, dell’accesa polemica che aveva opposto Goran Zubac al politico bosgnacco dell’SDA Šemsudin Mehmedović. La SIPA aveva arrestato Mehmedović proprio nel giorno in cui egli avrebbe dovuto testimoniare contro Zubac, per accusarlo di un assassinio a sangue freddo di un prigioniero a Ilidža, ucciso al solo scopo di “provare una pistola ricevuta in dono”. Ne era seguita una durissima polemica che aveva opposto i vertici della SIPA, la procura di Bosnia Erzegovina e l’SDA che, attraverso Mehmedović, aveva pubblicamente accusato Zubac di avere epurato la SIPA dagli elementi non-serbi e di avere reso l’agenzia un protettorato dell’SNSD di Milorad Dodik, che sarebbe tra i principali sponsor politici dell’attuale direttore.
All’epoca del braccio di ferro tra Zubac e Mehmedović, Dodik in effetti aveva risolutamente sostenuto “la professionalità della SIPA” contro “gli attacchi dei bosgnacchi di Sarajevo”. Dodik ha poi continuato a difendere Zubac anche dalle critiche mossegli dopo gli incidenti del febbraio 2014, sostenendo che la SIPA “non avrebbe avuto giurisdizione per agire contro i manifestanti”, e che quindi le accuse contro il direttore dell’agenzia sarebbero state puramente strumentali. Una protezione politica di cui, a quanto pare, l’ “Hoover venuto dalle periferie di Sarajevo” continua a beneficiare.
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