Poliziotto di frontiera © Michael Dechev/Shutterstock

© Michael Dechev/Shutterstock

Il caso di Abdulrahman al-Khalidi, attivista saudita per i diritti umani, rinchiuso nel centro di detenzione Busmantsi nella capitale della Bulgaria dall’ottobre 2021, mette in evidenza l'inerzia dello stato e la violazione dei diritti umani quando si tratta di rifugiati e migranti

02/08/2024 -  Massimo Guglietta

Lo scorso 5 luglio a Sofia si è tenuta una manifestazione di protesta contro l’espulsione di Abdulrahman al-Khalidi, attivista saudita per i diritti umani, rinchiuso nel centro di detenzione Busmantsi nella capitale della Bulgaria dall’ottobre 2021.

Nonostante il Tribunale amministrativo di Sofia abbia ribaltato la decisione di respingere la richiesta di asilo di al-Khalidi, rinviando il caso all’Agenzia bulgara per i rifugiati per un riesame, a febbraio l’attivista saudita ha ricevuto la notifica del provvedimento di espulsione.

Dopo la recente protesta al-Khalidi ha annunciato di voler iniziare lo sciopero della fame per opporsi – come riporta Balkan Insight – a “maltrattamenti, violazioni e detenzione continua”.

“La dignità umana è la mia più grande ricchezza, quindi: al via lo sciopero della fame, fino alla libertà o alla morte!”, ha scritto al-Khalidi in un post pubblicato sui social.

Negli ultimi mesi, le organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International , hanno più volte invitato le autorità bulgare a rinunciare all’espulsione di al-Khalidi, sottolineando che, se dovesse essere rimpatriato, l’attivista saudita potrebbe diventare vittima di tortura e violazioni dei diritti umani a causa delle sue opinioni politiche.

Inoltre, espellendo al-Khalidi, la Bulgaria violerebbe alcuni obblighi in materia di diritti umani che è tenuta a rispettare in quanto stato membro dell’Unione europea e delle Nazioni Unite. Nello specifico, come ha affermato Mary Lawlor, relatrice speciale dell’Onu per i difensori dei diritti umani, un eventuale rimpatrio di al-Khalidi sarebbe in contrasto con l’impegno di Sofia a rispettare il principio di non refoulement (non respingimento), considerando l’alto rischio di persecuzione al ritorno in Arabia Saudita.

Non è la prima volta che la Bulgaria viene accusata di violare i diritti dei rifugiati. Negli ultimi anni le autorità bulgare sono state continuamente criticate per il loro approccio alla gestione delle migrazioni, soprattutto alla luce dei tentativi di Sofia di entrare nell’area Schengen (a cui ha aderito parzialmente solo nel marzo 2024). Se in passato la Bulgaria veniva criticata per la mancanza di una severa politica migratoria, alcune recenti inchieste evidenziano come la polizia di frontiera bulgara stia adottando strategie di gestione delle migrazioni sempre più aggressive e potenzialmente illegali.

Il caso di al-Khalidi

Abdulrahman al-Khalidi aveva lasciato l’Arabia Saudita nel 2013, essendo diventato vittima di minacce e pressioni per il suo impegno per le riforme democratiche. Dopo aver soggiornato in diversi paesi, nel 2021 ha deciso di chiedere asilo nell’UE. Tuttavia – come riporta Amnesty International – appena attraversato il confine tra Turchia e Bulgaria, è stato arrestato dalla polizia bulgara per essere entrato irregolarmente nel paese. Nonostante la procedura di esame della sua domanda di asilo sia ancora pendente, al-Khalidi è rinchiuso nel centro di detenzione Busmantsi, vicino all’aeroporto di Sofia.

Una decina di giorni prima di iniziare lo sciopero della fame, al-Khalidi ha scritto una lettera aperta in cui parla della difficile situazione dei richiedenti asilo, espone il suo punto di vista sul sistema di asilo in Bulgaria e descrive le agghiaccianti condizioni della struttura in cui è detenuto.

Anche il portale InfoMigrants ha riportato le testimonianze delle terribili condizioni di vita nei centri di detenzione bulgari. “Lì dentro è orribile – ha raccontato un giovane siriano – ci sono insetti dappertutto. Non riuscivo a dormire perché ho paura dello sporco. Inoltre, la polizia ci picchiava. Mi hanno picchiato quattro o cinque volte in quei tredici giorni”.

In un messaggio inviato a InfoMigrants, al-Khalidi descrive il regime di massima sicurezza nel centro di Busmantsi con “porte di ferro, presenza costante di agenti di sicurezza e mancanza di libertà di movimento [oltre a] telecamere di sorveglianza e stazioni interfoniche installate nelle camere e attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7”.

Nella sua lettera aperta, l’attivista saudita sottolinea come “la Bulgaria, nel più incredibile dei modi, si stia trasformando in un posto pericoloso per i rifugiati in fuga dai pericoli nei rispettivi paesi”, riferendosi alle difficoltà incontrate dai rifugiati che tentano di chiedere protezione nel paese balcanico.

Come spiega Human Rights Watch, decidendo di espellere al-Khalidi, la Bulgaria rischia di violare gli obblighi internazionali previsti dall’articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti e dall’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 che vieta di espellere o respingere i rifugiati verso i territori dove la loro vita o libertà sarebbero minacciate.

Abusi e violazioni dei diritti umani

Il caso di al-Khalidi evidenzia con estrema chiarezza alcune criticità intrinseche al sistema di gestione delle migrazioni in Bulgaria.

Nel loro libro Migration and Populism in Bulgaria , Ildiko Otova ed Evelina Staykova sottolineano la tendenza delle autorità bulgare di “rimpatriare i cittadini turchi dopo aver negato loro l’accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale”.

Oltre al difficile accesso alla procedura di asilo, un’altra criticità riguarda le condizioni, tutt’altro che accettabili, nei sei centri di accoglienza per richiedenti asilo presenti sul territorio bulgaro. La libertà di movimento dei rifugiati ospitati nei centri è molto limitata e, come emerso da alcune inchieste, similmente a quanto accade nel centro di detenzione di Busmantsi, i servizi offerti ai rifugiati sono inadeguati e vi è il rischio di diffusione di malattie infettive.

Inoltre, la polizia di frontiera bulgara è stata spesso accusata di respingimenti e violazioni dei diritti umani lungo i confini con i paesi non appartenenti all’UE. Nel 2022 Frontex ha lanciato l’Operazione Terra , una nuova iniziativa di controllo delle frontiere terrestri esterne dell’UE che coinvolge dodici stati membri, compresa la Bulgaria. Nell’ambito di questa operazione oltre mille agenti di Frontex sono stati schierati sul territorio bulgaro .

Secondo InfoMigrants, le guardie di frontiera bulgare utilizzano anche droni e videosorveglianza per rafforzare i controlli alle frontiere e tendono a respingere i migranti che riescono ad entrare in Bulgaria. Solo nel 2023, come riporta il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli , sono stati registrati 9.897 casi di respingimenti che hanno coinvolto 174.588 persone.

Simili pratiche sono ormai diventate parte integrante della politica migratoria bulgara. Una recente inchiesta condotta dal portale investigativo Solomon, in collaborazione con altri media, partendo dall’analisi di alcuni documenti interni della Commissione europea e di Frontex, ha dimostrato che “le prove di gravi e persistenti violazioni dei diritti umani da parte degli agenti della polizia di frontiera bulgara non solo sono state ignorate dalle autorità bulgare, ma anche i funzionari dell’UE hanno cercato di nasconderle sotto il tappeto”.

Dinamiche analoghe sono emerse da un'inchiesta realizzata da EUobserver. Stando ad alcuni documenti interni di Frontex, analizzati dai giornalisti, “le guardie di frontiera bulgare violano consapevolmente i diritti dei potenziali richiedenti asilo lungo il confine terrestre con la Turchia” e insistono affinché gli agenti di Frontex chiudano un occhio di fronte a tali violazioni in cambio di pieno accesso al confine. Inoltre, i documenti di Frontex confermano che le espulsioni e i respingimenti lungo le frontiere sono diventati ormai prassi comune.

La rotta balcanica e l’area Schengen

Nel 2012, dopo lo scoppio della guerra in Siria e in Afghanistan, si è registrato un aumento del numero di migranti transitati dalla Bulgaria. Da allora la Bulgaria è diventata uno dei principali paesi di transito per i migranti che sperano di raggiungere l’Europa occidentale percorrendo la rotta dei Balcani.

Nei mesi precedenti all’ingresso della Bulgaria nell’area Schengen, la migrazione è diventata un argomento divisivo nei media e oggetto di polemiche tra le forze politiche bulgare. Nel marzo 2024 i politici locali hanno iniziato ad utilizzare una retorica sempre più divisiva , sostenendo che l’arrivo dei migranti avrebbe rappresentato una minaccia per la sicurezza nazionale. I manifestanti scesi in piazza nella capitale Sofia gridavano : “La Bulgaria ai bulgari” e “Via i migranti”.

Tuttavia, le tensioni legate alla questione migratoria non sono che un tassello di un quadro politico più complesso. Lo scorso 3 luglio – a meno di un mese dalle elezioni di giugno, le seste in soli tre anni – il parlamento di Sofia ha bocciato la proposta di formare un governo di minoranza.

Se in Bulgaria l’incertezza politica sembra destinata a perdurare, i Balcani nel loro complesso restano un’area cruciale per la gestione dei flussi migratori in Europa, anche alla luce dei tentativi dell’UE di rafforzare la cooperazione tra gli stati membri e i paesi terzi nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo.

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Questo articolo è stato prodotto nell'ambito diMigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea


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