Il terzo appuntamento con FuoriVia e il Danubio continua e si conclude, per quest’anno, con il racconto del Grande Fiume: dal Mar Nero a Ruse, attraverso le storie di coloro che lo vivono, popolano, pescano, navigano e che, talvolta, lo ignorano
(Vai alla prima e alla seconda puntata del viaggio; una mappa interattiva del percorso)
Uno degli obiettivi di FuoriVia è quello di raccontare cinque anni di "Danubi": cinque anni di un fiume plurale per vocazione geografica e storica: seguendo un filo conduttore chiaro fatto di popoli, genti, persone incontrate risalendo il Fiume.
FuoriVia nasce seguendo l’idea del “walkshop”: workshop camminanti e camminati che avevano lo scopo di studiare, per esperienza diretta e appunto camminata, il paesaggio che si attraversava. Ma il paesaggio presuppone la presenza dell'anthropos, l’uomo, principale attore che lo plasma, disegna, sfrutta e soprattutto lo abita.
Può sembrare scontato che chi “cammina” rivolga l’attenzione al paesaggio, spesso però i cammini “classici”, vengono raccontati esclusivamente rivolgendo lo sguardo (così come l’obiettivo del proprio smartphone) verso sé stessi e molto raramente se non incidentalmente verso l’altro da sé. Verso un fuori.
Insieme alla Fondazione Vittorio Dan Segre, massima Istituzione internazionale sul tema della Convivenza e sulle identità, abbiamo pensato di canalizzare la nostra attenzione su questi temi raccogliendo storie di persone che incontravamo lungo il nostro cammino.
"Camminare la Convivenza", è stato, è e sarà il nostro thread narrativo che intrecciandosi con quello geo-politico del fiume più “internazionale”, multietnico e poli identitario d’Europa. Scorrendo, il “filo” Danubio imbastisce le sue sponde come fossero lembi di un patchwork da tenere insieme, creando un disegno più grande, più vasto ancora, del suo letto.
Percorrendo le sponde romene e bulgare, abbiamo raccolto storie di navigatori navigati, viticoltori innamorati, giovani appassionati, archeologi determinati, attivisti impegnati, imprenditrici innovative, commercianti coraggiosi, canoisti intrepidi, guide sapienti e tante altre epifanie raccontate tramite fotografie, video e testi, cronache danubiane.
E poi c’eravamo noi. Che per due settimane abbiamo vissuto il Delta e poi su fino alla splendida Ruse, sempre con occhi aperti e orecchie antenne, pronti a caccia di storie, quasi come fosse un gioco di squadra, una vera e propria caccia al tesoro.
E allora ascoltiamoli questi racconti, queste testimonianze, che hanno reso il nostro cammino più ricco.
Luciano - Tulcea, Sulina, Romania
Ex marinaio, è da 8 anni, da quando suo figlio - finita l’università marittima - si è sistemato a Londra, che lavora sul Delta del Danubio. Con il suo motoscafo 12 posti guida i turisti tra i canali e i laghetti del tratto di fiume che va da Tulcea al Mar Nero, dove il Danubio fa da confine con l’Ucraina.
Prima il Covid e poi la guerra hanno fatto calare il turismo.
Ai suoi clienti mostra la flora e la fauna (soprattutto ornitologica), parte della biodiversità che si incontra lungo il percorso.
“Il Danubio sta male, da qualche mese qui nel Delta il livello non è mai stato così basso: - 2 metri si è abbassato perché in centro Europa non piove”. Alla domanda
– "Ti sei mai fatto il bagno qui?"
risponde ridendo:
“Il bagno lo faccio a casa…”
Il primo incontro che facciamo sul Danubio con la Convivenza non è fra popoli: è una Convivenza più ancestrale, che sposta il concetto di “confine” ad un livello più ampio, quello fra antroposfera e biosfera, fra l’uomo è il fiume.
Roberto - Tulcea, Somova, Romania
“È il mio diciassettesimo anno qui in Romania, l’anno prossimo divento maggiorenne!” Così ride Roberto, il nostro ‘oste’, qui a La Sapata (n.d.t. Buca scavata con la zappata, o zappa), cantina vitivinicola che 10 anni fa ha messo in piedi con il suo socio, Roberto anche lui.
“In questa regione, la Dobrugia, convivono pacificamente da sempre decine di etnie diverse. In particolare queste terre sono perfette per la viticoltura: la terra, il clima, hanno da sempre favorito la coltivazione. Quando siamo arrivati abbiamo subito capito che il ‘saper fare vino’ italiano poteva apportare una certa innovazione al settore locale. I vitigni autoctoni e la viticoltura, ma soprattutto le attività di wine marketing, dalla scelta del brand fino al design dell’etichetta e la comunicazione, hanno fatto del nostro prodotto, per scelta strategica autoctono e biologico, uno dei prodotti romeni più apprezzati all’estero”.
Le nuove convivenze parlano di scambi culturali e commerciali, ma soprattutto di scambi di saperi, antichi e nuovi. Molti italiani come Roberto, hanno trovato casa e lavoro qui in Romania. Spesso anche un amore, come Roberto appunto.
Ioana - Niculitel, Romania
“Studio lingue e letteratura straniere a Bucarest, posso aiutarvi a tradurre…”. Ioana viene chiamata d’urgenza da sua madre per fare da interprete e lei si precipita per accogliere un gruppo di italiani che camminano fra le lande vinificate di Niculitel.
“Niculitel è abbastanza lontana dal Danubio, qui non c’è quel miscuglio di uomini, culture e religioni che ci sono a Sulina, Tulcea o Isaccea...”. Ogni città ha la sua vocazione.
E infatti la vita, in questo paesino di collina fra Tulcea e Isaccea, ruota intorno al Monastero del Gallo, un luogo sacro dove riposano le spoglie di quattro santi.
“Come si fa a riconoscere che sono ossa di Santo? Semplice, se sono bianche sono sicuramente sante!” Fratello Efrem (alias Eugenio), spiega orgoglioso mostrando la ‘dorosità’ dei mosaici pseudo-antichi della chiesa.
Qui oltre al pope ci sono 30 frati e, forse una suora… sicuramente alcune donne anziane che contribuiscono alla vita della comunità.
Marian (You Hub) - Isaccea, confine portuale Romania-Ucraina
“Quando in febbraio scoppiò la guerra, con un mio amico decidemmo di vedere cosa stava succedendo alla frontiera di Isaccea. C’erano tanti volontari, ognuno con la propria organizzazione. Sono rimasto. Non so perché sto qui, non c’è un perché non dovrei esserci… La guerra? Rischiare la vita per aiutare gli altri non mi preoccupa: potrei morire adesso, qui, inciampando su un cavo, un banale incidente…”
Marian 36 anni di Tulcea, ha deciso di recarsi alla frontiera di Isaccea quando, all’inizio del conflitto, passavano di lì più di 5000 persone al giorno.
Parla un inglese perfetto per reggere un’intervista, non appreso a scuola dove ci tiene a dire “studiavo francese”, ma appreso da autodidatta. “A 16 anni ascoltai ‘The Colors of Love’ degli ‘Snap!’… e allora canzone dopo canzone imparai il mio inglese”.
Impegnato al gazebo del caffè, c’è Andreas, il fondatore della ong per cui Marian fa il volontario, You Hub, di Timișoara. Oggi ha 28 anni, 23 quando nel 2017 quando You Hub mosse i primi passi, nell’aiuto umanitario e all’infanzia. “Qui ad Isaccea, quello che facciamo è dare un primo aiuto, conforto con del cibo, ci occupiamo dei bambini… Oggi fa caldo ma a febbraio questa è una delle frontiere più fredde e ventose fra Ucraina e Romania.”
Ma i doni più grandi e più belli che porgono a chi attraversa la frontiera sono gli abbracci. Così come si legge sulla spilla che Marian porta fiero sul suo gilet blu. ‘Free Hugs’.
Auriel - Isaccea, Cetatea Noviodunum, Romania
“Qui siamo a Noviodunum, così la chiamavano i romani, e qui c’era il ‘limes’ dell’Impero.”
Auriel è il responsabile del sito archeologico più importante di quel tratto di Danubio che è confine geografico e amministrativo fra Romania e Ucraina.
Da sempre in quel punto del fiume popoli, commercianti, eserciti, esiliati… passavano.
Nel medioevo, con i bizantini prima e con gli ottomani poi iniziò a delinearsi l’attuale nome di Isaccea.
Ma la storia di questo guado del Danubio, vede sovrapposizioni di popoli. Senza contare gli insediamenti locali preistorici qui passarono proprio tutti: persiani, celti, greci, romani, valacchi, bizantini, genovesi, ottomani, romeni, ebrei, ucraini…
“Riceviamo un po’ di fondi dallo stato per continuare gli scavi iniziati negli anni ‘50 del secolo scorso, qui abbiamo ritrovato una torre che probabilmente faceva parte di una fortezza difensiva prima celtica e poi romana. Abbiamo studiato il terreno con tecnologie avanzate di scansione laser con il drone e questo sito ha ancora moltissimo da dare: abbiamo collaborazioni con università straniere, inglesi soprattutto, ma il progetto prevede l’apertura di un museo qui sul posto, proprio dove ora riponiamo e cataloghiamo tutto quello che il fiume e gli scavi ci regalano."
L’identità di questi posti è molteplice e cangiante, popolazioni su popolazioni hanno stratificato la loro presenza è lasciato sempre qualcosa, non solo a livello archeologico, ma anche culturale, facendo di Isaccea una città aperta all’accoglienza, anche oggi.
Alexander - Harsova, Romania
“Noi partiamo da Passau e arriviamo a Sulina. La Princesse Amadeus porta una sessantina di turisti fra inglesi, americani, australiani, francesi, tedeschi… anche l’equipaggio è internazionale: romeni, italiani, molti asiatici.”
Alexander Safety Manager della Amadeus, è fermo per un paio di ‘mici’ e una birra in un bar al centro di Harsova: fra qualche ora ripartirà, seguendo la corrente.
Per chi è appena approdato qui dal fiume è impossibile non aver notato una nave, un battello da crociera che con la sua linea, con una grande ruota a metà dello scafo, ricorda altri tempi e altri fiumi: Nilo o Mississippi.
Eppure la crociera sul ‘bel Danubio blu’ è ancora in voga.
Alexander è di Costanza, non quella tedesca, ma quella sul mar Nero. “Io sono nato da queste parti, ieri risalivamo il fiume, questo fiume enorme, da Sulina e mi sono messo a piangere, lo ammetto, mi sono emozionato. Questa è casa mia.”
Diana - Harsova, Romania
“Per noi il Danubio è speranza!” Questo ci ripete con occhi sgranati e lucidi Diana.
Lei si occupa di mantenere in ordine il verde pubblico ad Harsova.
Ci spiega che il fiume è essenziale per l’economia, prevalentemente agricola, della città. “Con le sue acque irrighiamo i campi. Irrigavamo i campi! Ma quest’anno dobbiamo fare i conti con la secca e non possiamo più pompare l’acqua.”
Queste parole sono pronunciate un po’ dolorosamente perché dal crollo del regime tutti i comuni interessati dall’area protetta del Danubio, devono sottostare ad alcune regolamentazioni che prima con Ceaușescu non esistevano.
Allora Diana indica una nave da crociera ancora attraccata all’imbarcadero poco sotto un ristorante, probabilmente attirata dalle cupole dorate della chiesa, e pronuncia ancora la parola ‘speranza’: il fiume porta anche questo, turismo e lavoro in una comunità vitale ma agli sgoccioli.
Simona - Calarasi, Romania
“Questo camping nasce sulla spiaggia di Calarasi, è della mia famiglia fin dai tempi di mio nonno. Iniziò come struttura del regime, ma dieci anni fa lo abbiamo risistemato, reso più moderno, ma sempre nel rispetto della natura.”
Simona racconta orgogliosa la storia del suo bellissimo camping posto sulla spiaggia (diventata enorme grazie a questo periodo di secca) al di là del Danubio e posto di fronte al parco che è il cuore di questa cittadina di confine.
“Molti di noi, dalla Romania vanno ogni tanto in Bulgaria, soprattutto i più anziani. Ma raramente avviene il contrario: la prima barriera che c’è fra noi e i bulgari è la lingua, completamente diversa dalla nostra…” e infatti al di là del fiume si cambia alfabeto, si cambia prospettiva e da lì la Romania, così vicina, diventa lontanissima.
Zdravko - Popina, Bulgaria
“Un tempo qui, intorno agli anni ‘45-‘50, il fiume ghiacciava, era tutta una distesa di ghiaccio: il termometro arrivò anche a -39ºC! Allora le persone con carri e cavalli, attraversavano il fiume e andavano a comprare cose in Romania che qui non c’erano”.
Così racconta, ovviamente come tramandato dagli anziani del paese di Popina, il rapporto che qui la gente – pescatori per la maggior parte – aveva con il fiume.
Di certo lui ricorda di leggendarie prede di pesca lunghe metri e pesanti quintali. E poi dei fasti di un paese ormai fantasma dove rimane ancora un prestigioso hotel con piscina che si affaccia sul Danubio.
“Le barche che venivano anche dalla Germania, da dove nasce ‘El Rio’, si fermavano anche qui!”
Parla in spagnolo Zdravko, dopo l’adolescenza a Popina si è trasferito per lavoro in Spagna e vi è rimasto per 14 anni. Ma probabilmente richiamato dal business e dagli affetti di famiglia è ritornato e adesso gestisce il suo market con caffetteria annessa: unico negozio aperto in un villaggio dove tutto sembra apparentemente vuoto, dove la gente lavora per curare il decoro urbano e dove i nonni vanno in giro con i nipotini. Dove si vive e si muore anche come testimonia il grande pannello dei necrologi lasciati in bella vista da oltre due anni.
Dice che il rapporto con la frontiera è buono, al massimo controllano i documenti se vedono gruppi o furgoni sospetti. Siamo pur sempre su uno dei passaggi (magari non il principale) della rotta balcanica… qualche giorno fa hanno arrestato e rispedito indietro un gruppo di siriani.
Werner - Tutrakan, Bulgaria
“Siamo partiti da Ingolstadt a fine giugno, e finiremo sul Mar Nero ad inizio settembre. Seguiamo la corrente, ma quando tira il vento come oggi è davvero dura!”
Werner partecipa con altri canoisti alla 65esima edizione del Tour Internazionale del Danubio: “Questa è la mia quinta volta nel Tour: amiamo tutti il fiume, la natura, siamo tutti legati a questo fiume in un modo o in un altro. Quest’anno però è diverso…”
Werner si riferisce all’attuale livello del fiume e racconta stupito di aver visto pure dei relitti di navi della Seconda guerra mondiale affiorare dall’acqua da quanto sia basso.
“Il Danubio è rallentato: è diventato un fiume lento!” Ritorna così a dare l’allarme su come il livello delle acque influenza il suo scorrere, o il suo ristagnare.
Alla gara partecipano sportivi da diverse nazionalità: americani, italiani, francesi, tedeschi. Anche loro per l’estate diventano ‘danubians’: percorrendolo tutto sono osservatori ideali per raccontare lo stato di salute di un fiume che, a modo suo, sta chiedendo aiuto.
Lidia - Tutrakan, Bulgaria
“Io sono nata a Dobrich, nord-est della Bulgaria, ma vivo qui a Tutrakan… io in realtà mi sento Dobrogea, più che bulgara. Questa è una regione strana, di passaggio fra nord e sud, ma soprattutto fra est e ovest, fra Asia ed Europa. Una terra strategica, di conquista e di passaggi, di fughe (soprattutto dopo le guerre): un crocevia militare ma anche culturale.”
È fiera Lidia di appartenere a questa terra di scambio.
“La mia famiglia è un miscuglio di origini diverse: Veliko Tarnovo, la vecchia capitale bulgara, Istanbul, una parte, il mio bisnonno è di Kavala in Grecia, un’altra parte della mia famiglia si trasferì durante la Seconda guerra mondiale nella zona del Delta, vicino Tulcea… provenivano dalla Germania”.
Una situazione comune in questa parte del mondo, che riguarda moltissime famiglie che poi con il regime, sotto il blocco sovietico, furono separate: “Il fiume per sua natura è sempre stato una via di comunicazione, di commercio, di scambio. Dopo la Seconda guerra mondiale, con il comunismo, era permesso solo una volta l’anno andare a trovare i propri parenti entro cinquanta km dal confine: il Danubio era diventato un muro. E se pensiamo che la distanza fra una ‘porta’ e l’altra è veramente tanta…”
Lidia si riferisce alla distanza fra le piattaforme o i traghetti che consentono il passaggio da una sponda all’altra, fra paesi diversi, alla distanza fra i ponti, rarissimi, lungo il confine.
Il Danubio che abbiamo fin qui risalito è tutto questo: via, muro, porta, fossato, ma soprattutto convivenza fra persone, popoli, passaggi, storie. Vita.
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