Da 13 anni la comunità islamica di Bulgaria è spaccata da leadership concorrenti. La lotta per il controllo del Consiglio Generale dei Muftì, organo di rappresentanza dell'Islam in Bulgaria, non rappresenta però solo uno scontro tra fazioni, ma anche fra vecchie e nuove generazioni
In Bulgaria, la spaccatura interna al Consiglio Generale dei Muftì (Glavnoto Myuftiistvo), organo di rappresentanza della comunità musulmana nel paese, dura ormai da ben 13 anni. Al momento la comunità ha due leader concorrenti: Nedim Gendzhev, ufficialmente riconosciuto dall’autorità giudiziaria, ma non dalla stessa comunità islamica, e Mustafa Hadzhi, eletto da un’assemblea straordinaria autoconvocata.
I credenti musulmani insoddisfatti dalla leadership di Gendzhev negli anni hanno organizzato più assemblee, nelle quali sono stati eletti vari muftì alternativi, scelta costantemente annullata dai tribunali bulgari. Di fatto oggi Gendzhev è divenuto una figura inamovibile nell’establishment musulmano di Bulgaria.
La spaccatura all’interno della comunità musulmana si è recentemente trasformata in guerra. Lo scorso 27 novembre un magistrato e ufficiali di polizia hanno sostenuto l’ingresso di Nedim Genzhev e dei suoi sostenitori all’interno della sede del Consiglio Generale dei Muftì a Sofia, nonostante la resistenza del gruppo avversario.
Secondo il capo gabinetto di Genzhev, il magistrato è stato chiamato in causa sulla base di imposte e contributi non pagati per più di 380mila leva (circa 200mila euro) nel periodo 2005-2008, quando Mustafa Hadzhi amministrava la struttura.
Più tardi, però, sostenitori dello stesso Hadzhi hanno preso letteralmente d’assalto la sede del Consiglio al grido “Allah è grande”. Mustafa Hadzhi ha dichiarato ai media che “l’intero apparato dello stato è impegnato a sostenere Gendzhev. Il potere giudiziario e quello esecutivo, rappresentato da giudici e polizia. Siamo tornati ai tempi cupi del regime totalitario”. La polizia ha poi sigillato l’accesso alla sede del Consiglio, lasciando vari uomini a guardia dell’edificio.
La saga dell’elezione del Muftì capo e le spaccature all’interno della comunità musulmana di Bulgaria hanno trovato alimento nello stesso regolamento del Consiglio, secondo il quale solo la direzione, oggi affidata a Genzhev per decisione dei giudici, ha il potere di convocare un’assemblea degli organi direttivi, sede in cui è possibile eleggere un nuovo leader.
Nonostante migliaia di credenti abbiano convocato varie assemblee generali, che hanno proceduto all’elezione di diversi Muftì capo, i tribunali ne hanno poi annullato ogni decisione. Le decisioni dei giudici hanno provocato naturalmente vibrate proteste, ma senza portare a risultati concreti.
Quando nel maggio 2010 i giudici hanno annullato l’elezione di Mustafa Hadzhi, confermando la leadership di Nedim Gendzhev, migliaia di musulmani hanno protestato per l’ennesima volta. Nelle città e nei villaggi abitati da popolazione islamica si è assistito a manifestazioni di protesta, mentre una petizione contro Gendzhev raccoglieva oltre 250mila firme.
Gli avversari dell’attuale Muftì capo sottolineano gli aspetti oscuri del suo passato, legato alla “Darzhavna Sigurnost”, i servizi segreti del passato regime comunista. Gennzhev è stato infatti collaboratore dei servizi, e dopo essersi laureato in legge è divenuto ufficiale di polizia. Durante il “processo di rinascita” (il cambiamento forzato dei nomi della popolazione musulmana di Bulgaria, negli anni ’80) Gendzhev viene nominato muftì della città di Kardzhali, a larga maggioranza turca e musulmana. Negli anni tumultuosi della transizione, Gendzhev diviene un fattore centrale negli organi di guida della comunità, e lo rimane fino ai giorni nostri.
Il Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS), partito di riferimento della minoranza turca, sostiene la lotta di gran parte della comunità musulmana contro la leadership di Gendzhev. Il DPS ha allarmato varie istituzioni europee a riguardo, e nello scorso ottobre si è rivolto anche al premier turco Recep Erdoğan.
Il Movimento ha poi presentato un disegno di legge per sbloccare la situazione. In casi eccezionali, proponeva il DPS, quando non è possibile convocare gli organi direttivi delle rappresentanze religiose secondo le procedure standard, l’iniziativa deve essere presa dal Tribunale distrettuale di Sofia.
Secondo i dati forniti dal DPS, al momento dei 30 membri del Consiglio Generale dei Muftì soltanto 14 sono ancora in vita. Di fatto è quindi impossibile la sua convocazione legale.
La proposta del Movimento è stata però bocciata dal parlamento bulgaro, perché interpretata come un intrusione dello stato nella gestione degli organi di rappresentanza delle comunità religiose. Secondo molti degli imam più giovani, però, è proprio con la mancanza di decisioni che lo stato sta influenzando la vita dei musulmani di Bulgaria.
Molte critiche sono poi arrivate sull’azione condotta lo scorso 6 ottobre nella regione dei Rodopi da polizia e DANS (gli attuali servizi di intelligence).
Le forze di sicurezza annunciarono allora di aver individuato un’organizzazione islamica radicale, dopo aver fatto irruzione nelle abitazioni di 13 imam, poi rivelatisi essere sostenitori della fazione di Mustafa Hadzhi. Nel villaggio di Lazhnitza, le forze di polizia hanno incontrato l’aperta opposizione della popolazione, che ha impedito agli agenti di uscire dalla casa in cui avevano fatto irruzione.
Secondo il portavoce del Consiglio generale dei Muftì, Yusein Hafazov, le istituzioni supportano chiaramente e in contravvenzione alla legge le pretese di Nedim Gendzhev di rimanere al suo posto. Hafazov sostiene che in molte città e villaggi le attuali organizzazioni musulmane vengono smantellate, e al loro posto ne vengono registrate di nuove, direttamente legate a Gendzhev.
La maggior parte dei delegati di un’eventuale futura conferenza generale, da cui potrebbe essere eletto un nuovo Muftì capo, vengono designati proprio da tali strutture locali.
La “guerra” per il Consiglio Generale dei Muftì è anche lo scontro tra due diverse generazioni. Gendzhev rappresenta la vecchia guardia, che a suo tempo non si è rifiutata di collaborare con l’apparato repressivo del vecchio regime. L’altra fazione raccoglie invece gli imam più giovani, che spesso hanno studiato in paesi islamici, e che Gendzhev non esita a definire “talebani”.
È evidente che lo scontro riguarda, oltre alla lotta per il potere, anche la gestione di importanti risorse economiche. Entrambe le parti si accusano di oscure macchinazioni. Gendzhev, ad esempio, ha autorizzato suo figlio a ritirare 600mila leva (300mila euro circa) dal conto del Consiglio e a reindirizzare la somma sul conto della Fondazione internazionale per lo sviluppo della cultura islamica, diretta proprio dallo stesso Gendzhev.
Il muftì di Haskovo, Basri Eminefendi, ha a sua volta accusato l’attuale Muftì capo di aver venduto illegalmente proprietà della comunità musulmana (i cosiddetti “vakuf”).
Secondo Antonina Zhelyaskova, storica e studiosa dell’islam in Bulgaria, la convocazione eccezionale di un’assemblea è l’unica decisione in grado di far uscire la comunità musulmana fuori dal vicolo cieco in cui si è cacciata.
Per la Zhelyaskova la posizione di Gendzhev all’interno della comunità è insostenibile, visto che buona parte di questa lo accusa di tradimento, visto il suo ruolo ambiguo durante gli anni del “processo di rinascita”.
In ogni caso, il tempo sembra giocare a sfavore dell’attuale Muftì capo. La vecchia generazione, presto o tardi, dovrà lasciare il campo. La speranza è che la nuova sia in grado di gestire i problemi più importanti della comunità islamica in Bulgaria, e che lo stato faccia finalmente un passo indietro e rinunci a esercitare la propria influenza su questioni prettamente religiose.
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