L'armata rosa
22 agosto 2013
Nel giugno 2011 erano stati trasformati in supereroi americani, da Superman all'Uomo ragno. Un anno più tardi si erano ritrovati con un cappuccio in testa, in atto di solidarietà con il gruppo russo Pussy Riot. La mattina del 21 agosto scorso, invece, i soldati di bronzo del monumento all'Armata rossa che svetta nel centro di Sofia, si sono risvegliati vestiti di rosa shocking.
"La Bulgaria chiede perdono", il messaggio lasciato in lingua ceca e bulgara dagli autori del nuovo "attacco cromatico" al monumento più controverso del paese. Il riferimento è al 45esimo anniversario della repressione della Primavera di Praga, quando le truppe del Patto di Varsavia (compresa una brigata meccanizzata bulgara) misero fine al progetto dei riformisti guidati da Alexander Dubček di dare vita in Cecoslovacchia ad un "socialismo dal volto umano".
Messaggio rilanciato dall'ormai tradizionale protesta anti-governativa, con alcune centinaia di persone che in serata hanno osservato un minuto di silenzio di fronte alle ambasciate di Repubblica ceca e Slovacchia nel centro di Sofia.
L'attuale lotta contro il governo guidato dal Partito socialista si fonde quindi simbolicamente con la richiesta di parte della società bulgara di "concludere il processo di liberazione dall'egemonia russa" eliminando anche i migliaia di monumenti del periodo comunista rimasti nel paese.
A questo proposito l'atteggiamento dei governi succedutisi dal 1989 è stato ambivalente. Nessuno ha proposto né portato avanti la rimozione dei monumenti socialisti (con alcune importanti eccezioni, come la distruzione del mausoleo a Georgi Dimitrov), lasciando piuttosto gli stessi all'abbandono e all'incuria, e facendo semplicemente finta che non esistano.
Difficile però far finta di non vedere il monumento all'Armata rossa, che domina incontrastato il cuore della capitale bulgara. E che proprio per questo, era e rimane l'epicentro della battaglia, politica, ideologica e simbolica, sulla rielaborazione del passato e dei suoi legami col presente.