"Andiamocene anche noi come ha deciso di fare l'Italia". In Bulgaria non si vede l'ora di lasciare l'Iraq senza infastidire l'alleato americano. Ed allora bastano alcune parole di Berlusconi - seppur poi smentite - a scatenare la bagarre politica
Alcuni mesi fa il settimanale Avvenimenti paragonava l'Italia alla Bulgaria, un titolone in prima pagina. Un brutto modo per descrivere una situazione italiana non felice attraverso un pregiudizio ed una categoria ereditata in modo acritico dal passato. Un titolo che certo non aiuta a conoscere meglio la Bulgaria, Paese che nel 2007, con tutta probabilità, entrerà a far parte a pieno titolo dell'Unione europea.
Eppure in questi giorni le vicende che accomunano i due Paesi sono più frequenti che mai. Soprattutto in merito alla presenza di entrambi in Iraq. L'Italia ha pianto tutta assieme il sacrificio di Nicola Calipari, caduto sotto il "fuoco amico". Il governo italiano ha drizzato la schiena ed alzato un po' la voce per ottenere spiegazioni all'alleato americano. Pochi giorni dopo una pattuglia di militari bulgari, impegnata in un controllo, è finita sotto il fuoco di un blindato USA nei pressi della città di Hamza, a circa 150 km a sud di Baghdad. Gardi Gardev, 31 anni, è rimasto ucciso.
Dell'incidente non vi è stata la diretta telefonica come nel drammatico caso di Calipari e della Sgrena. E le autorità bulgare hanno cercato di mettere la verità sotto silenzio, per non imbarazzare l'alleato. Ci sono voluti alcuni giorni perché un militare bulgaro in stanza in Iraq pubblicasse su di un sito dell'esercito una lettera nella quale denunciava l'accaduto e chiedeva che gli USA, "come avevano fatto per l'italiano", perlomeno si scusassero.
Il Ministro della difesa Nikolay Svinarov ed il Primo ministro Simeone di Sassonia Coburgo Ghota furono obbligati al dietrofront. Senza però grande convinzione. Per gli USA la Bulgaria è un alleato dalla posizione geostrategica importante, membro di quell'Unione europea che si sta sempre più allargando e porta verso il Caucaso ed il Medio oriente. Ma resta un alleato che, come molti Paesi della sfera ex sovietica, pur di legittimarsi agli occhi del Grande Fratello farebbe di tutto. Facile da accontentare anche solo con una pacca sulle spalle.
Ma la maggioranza dell'opinione pubblica, sia italiana che bulgara, questa guerra non l'ha mai voluta. E le elezioni parlamentari in entrambi i Paesi non sono affatto lontane. Il 25 giugno prossimo si voterà in Bulgaria, dove favorito sembra essere quel Partito socialista bulgaro che ha fatto del no alla guerra - non però per spirito pacifista - un proprio cavallo di battaglia. In Italia l'appuntamento con le urne è in invece per il prossimo anno.
All'ennesima morte di un soldato italiano in Iraq Berlusconi non ha resistito al suo fine senso di sopravvivenza e capacità di odorare l'opinione pubblica. Ignorando il Parlamento ha dichiarato a "Porta a Porta" che il governo aveva intenzione di avviare il ritiro dall'Iraq in settembre. Ha poi aggiunto di averne già parlato con il Premier britannico Blair. Immediata la smentita stizzita di Blair alla quale è seguita una telefonata dalla Casa Bianca a Berlusconi. Berlusconi è allora dovuto tornare sui suoi passi chiarendo di avere solo espresso un desiderio, nel caso in cui la situazione di sicurezza in Iraq lo avrebbe consentito.
In Bulgaria la dichiarazione di Berlusconi in merito ad un possibile ritiro è stata subito ripresa dai media locali. Molto meno spazio è stato dato invece alla rapida rettifica. Vivaci sono state anche le reazioni politiche. Per conto del governo è intervenuto il Ministro della difesa Svinarov il quale ha affermato che un gruppo di esperti stava già lavorando ad un'ipotesi di riduzione del contingente bulgaro e di ritiro entro la fine del 2005. "Potremmo anche lasciare l'Iraq entro il 2005, come farà l'Italia". Il governo di Simeone di Sassonia Coburgo Ghota ha seguito quindi la strada indicata dal Premier italiano, per ritornare in auge presso un'opinione pubblica che è - secondo un recente sondaggio - al 60% favorevole ad un ritiro immediato Se lo fa Berlusconi, che è sempre a braccetto con Bush, forse riusciamo a toglierci dall'impiccio iracheno anche noi, senza causare le ire americane, sembra essere il pensiero che ha guidato le prese di posizione delle autorità bulgare.
La sponda italiana è stata subito sfruttata anche dal Presidente bulgaro Parvanov, che non ha mai nascosto la sua contrarietà all'avventura irachena. "La situazione attuale rende possibile fissare l'orizzonte della presenza bulgara in Iraq per la fine del 2005", ha dichiarato la più alta carica del Paese, aggiungendo poi che la decisione del ritiro deve essere presa in un clima di mutua comprensione con gli alleati. Un ritiro che a suo avviso non deve anticipare i tampi ma avvenire in ogni caso in tempi rapidi. Parvanov si è inoltre auspicato che su questa questione vi sia un adeguato dibattito pubblico ed in Parlamento.
Sarà una brutta sorpresa - se di sorpresa si può parlare - per la Bulgaria il fatto che il governo italiano in realtà dall'Iraq non se ne andrà così presto. Silvio Berlusconi ha ancora qualche mese per trovare una strategia di ridimensionamento della presenza italiana in Iraq che non innervosisca troppo USA e Gran Bretagna. Simeone di Sassonia Coburgo Ghota ha invece molto meno tempo. Le elezioni sono vicine. E con tutta probabilità non sarà il governo dell'ex Re della Bulgaria a decidere il ritorno in patria del contingente bulgaro.
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