Il Memoriale di Kampor sull'isola di Rab/Arbe costruito su progetto dell'architetto Edvard Ravnikar e inaugurato nel 1953

Il Memoriale di Kampor sull'isola di Rab/Arbe costruito su progetto dell'architetto Edvard Ravnikar e inaugurato nel 1953 (Derbrauni, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons)

Oggi l’isola di Arbe (Rab) è una destinazione turistica molto popolare. Poco conosciuta è però la storia dell’ex campo di concentramento che vi trovava sede. Ed è per questo che un gruppo di storici si è impegnato per mantenere viva la memoria di quanto accaduto a Kampor

16/04/2021 -  Anja Vladisavljević

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 19 marzo 2021)

Herman Janež era ancora un bambino quando nel 1942 le truppe fasciste italiane bruciarono il villaggio di Stari Kot in Slovenia e portarono Herman e la sua famiglia nel campo di concentramento di Kampor costruito dal regime fascista sull’isola di Arbe (Rab) in Croazia.

“Il 16 luglio 1942 compii sette anni e quell’autunno dovevo iniziare la prima elementare. I miei coetanei ed io, penso che fossimo in sette, invece di andare a scuola, finimmo a Rab”, racconta Janež.

Herman e la sua famiglia furono internati nel campo sull’isola di Arbe per quattro mesi, per poi essere trasferiti nel campo di concentramento di Gonars nel nord-est Italia, dove rimasero dieci mesi.

Oggi Herman Janež ha 85 anni e vive in Slovenia. Ha dedicato la sua vita allo studio della storia del campo di Arbe. Dopo la Seconda guerra mondiale è tornato più volte sull’isola di Arbe per indagare e cercare documenti. Herman spiega di essere stato a Kampor 70 volte.

“La prima volta che andai all’isola di Arbe [dopo la guerra] fu nel settembre del 1953. Bisogna essere sufficientemente maturi, sia fisicamente che mentalmente, per capire tutto ciò”, spiega Herman.

Oggi l’isola di Arbe è una destinazione turistica molto popolare, ma la storia dell’ex campo di concentramento è poco conosciuta in Croazia, Slovenia e Italia. Ed è per questo che un gruppo di storici si è impegnato per mantenere viva la memoria di quanto accaduto a Kampor.

Recentemente l’associazione italiana “Topografia per la storia”, dedicata allo studio dei campi di detenzione e concentramento creati dal regime fascista durante la Seconda guerra mondiale, ha lanciato una campagna di crowdfunding per sostenere ulteriori ricerche sulla storia del campo di concentramento di Arbe.

I fondi raccolti verranno utilizzati per finanziare le ricerche storiche negli archivi italiani, sloveni e croati, nonché la creazione di un sito web dedicato alla storia del campo e di un database con i nomi di tutte le persone internate nel campo.

“Come un essere umano può diventare una bestia?”

Il campo di Arbe – istituito durante la Seconda guerra mondiale dopo l’annessione italiana di una parte della Slovenia, una fascia della costa adriatica orientale e alcune isole che oggi appartengono alla Croazia e al Montenegro – fu uno dei peggiori lager fascisti.

Secondo alcune stime, nel campo di Arbe furono internate tra 10 e 15mila persone, perlopiù sloveni, croati ed ebrei.

Herman Janež ricorda di aver patito fame e sete nel campo di Arbe. “Era già tanto se ci davano una manciata di riso… [Nel campo] non c’era l’acqua, eppure all’epoca sull’isola di Arbe c’erano 376 sorgenti [di acqua naturale]”, spiega Herman e aggiunge: “Io mi chiedo come un uomo possa diventare una bestia, un animale, e comportarsi in quel modo nei confronti di un altro uomo, nei confronti dei bambini”.

Prima che venissero costruite le baracche in legno gli internati dormivano in tende.

“Quando pioveva era un disastro, l’acqua penetrava nelle tende”, ricorda Janež.

Inizialmente le donne internate nel campo furono costrette a partorire in tende, in pessime condizioni igienico-sanitarie, e solo in un secondo momento un albergo situato nelle vicinanze del campo fu trasformato in un ospedale improvvisato.

Herman Janež, con l’aiuto di un’infermiera che lavorò nel campo di Arbe, ha scoperto che in questo lager nacquero circa 55 bambini, dei quali sopravvissero solo otto o nove.

Il lager di Arbe era composto da un “campo maschile” e un “campo femminile”, quest’ultimo destinato a donne, bambini e anziani. Nella primavera del 1943, con l’arrivo dei primi prigionieri ebrei, fu allestito anche un “campo ebreo”.

All’arrivo nel campo di Arbe, Herman venne separato da suo padre, che fu internato nel campo maschile, mentre Herman venne rinchiuso nella sezione destinata ai bambini. Nel lager di Arbe persero la vita sia il padre che il nonno di Herman, mentre sua madre morì un anno prima.

“Tutto ciò che contava per me è rimasto ad Arbe”, spiega Herman.

Herman ha visitato molte volte il cimitero dove sono sepolti gli internati morti nel lager di Arbe, ma non è riuscito a trovare la tomba di suo padre né quella di suo nonno, e questo lo rattrista molto.

“Ogni volta, prima di uscire dal cimitero, mi giravo indietro dicendo: ‘Siete qui, ma non so dove’”, racconta Herman.

“Il lager di Arbe è una storia italiana”

Lo storico italiano Eric Gobetti spiega a BIRN che “dei crimini fascisti in Italia si sa poco”, compresa la storia del campo di Arbe.

“Gli italiani, nel loro immaginario, coltivano l’idea del ‘bravo italiano’”, afferma Gobetti, aggiungendo che è opinione diffusa che durante la Seconda guerra mondiale gli italiani, guidati dal dittatore fascista Benito Mussolini, non fossero tanto crudeli quanto i loro alleati tedeschi.

Gobetti spiega che i cittadini italiani tendono ad associare il termine “campo di concentramento” alla Germania nazista, e non all’Italia fascista.

“Quando parliamo dei lager fascisti e del lager di Arbe, le persone rimangono sorprese, non solo gli studenti, ma anche gli adulti”.

Ed è per questo che Gobetti ha deciso di partecipare al progetto “Il campo di concentramento di Arbe: una storia italiana” per sostenere le ricerche e creare materiali pubblicamente consultabili sul campo di Arbe.

Nel 2022 gli ideatori del progetto intendono organizzare un viaggio della memoria all’isola di Arbe per commemorare l’80° anniversario dell’apertura del lager.

Gobetti spiega inoltre che i documenti relativi al campo di Arbe sono custoditi in vari luoghi, alcuni si trovano negli archivi militari a Roma, altri invece negli archivi croati e sloveni.

“Non si conosce il numero esatto di persone che morirono nel lager né tanto meno si conosce il numero complessivo degli internati, ed è per questo che abbiamo deciso di lanciare questo progetto”, afferma Gobetti, aggiungendo che in Italia è molto difficile ottenere la documentazione riguardante i campi fascisti perché le autorità “non vogliono che si indaghi su questo argomento”.

Secondo alcune stime, nel campo di concentramento di Arbe morirono circa 1400 persone, principalmente per fame e malattie.

“Ci sono molti documenti che suggeriscono che i generali italiani erano a conoscenza delle condizioni di vita all’interno del lager, ma non fecero nulla”, spiega Gobetti e ricorda che 100mila persone furono internate nei campi di concentramento fascisti in Croazia, Italia e Albania.

La propaganda antislava era diffusa in Italia anche prima dell’arrivo di Mussolini al potere nel 1922. Durante un discorso tenuto a Pola nel 1920 Mussolini definì la razza slava come “una razza inferiore e barbara”.

I fascisti crearono numerosi campi di concentramento lungo la costa adriatica orientale allo scopo di contrastare il sostegno fornito dalla popolazione slovena e croata ai partigiani guidati da Tito.

Inizialmente nel campo di Arbe furono rinchiusi solo i civili sospettati di fornire aiuto ai partigiani, ma nel 1943 – come spiega Eric Gobetti – vi furono internati anche circa 3000 ebrei.

Dopo la resa dell’Italia fascista, le guardie e i soldati italiani lasciarono l’isola di Arbe. Il campo fu liberato nel settembre 1943 dalle truppe partigiane con l’aiuto dei partigiani internati.

Successivamente il campo fu conquistato dai tedeschi e gli ebrei che erano troppo deboli per fuggire dal campo o per unirsi ai partigiani vennero catturati e deportati ad Auschwitz.

Come far convivere turismo e storia

Oltre ad occupare il Regno di Jugoslavia e ad annettere alcune parti della Slovenia e della costa adriatica, nel 1941 le forze dell’Asse, con l’aiuto del movimento ustascia, crearono lo Stato indipendente di Croazia (NDH).

La storia di Jasenovac, il più grande campo di concentramento ustascia dove persero la vita oltre 83mila persone (perlopiù serbi, rom, ebrei e antifascisti), è ben nota in Croazia, a differenza della storia del campo di Arbe, ancora poco conosciuta.

Ivo Barić, professore di pedagogia in pensione e noto attivista antifascista originario dell’isola di Arbe, ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della storia del lager di Arbe. Barić spiega che, nonostante l’isola di Arbe venga ora conosciuta come una famosa destinazione turistica, il lato oscuro della sua storia non è stato ancora del tutto dimenticato.

“È interessante notare che molti bambini che vivono sull’isola non hanno mai sentito parlare di questo campo di concentramento e i genitori non hanno raccontano loro nulla su questo argomento”, afferma Barić. Ma sono molte le persone che vengono ad Arbe anche per visitare i luoghi del campo. Barić ad oggi ha portato circa 300 gruppi di studenti e turisti a visitare il campo di Arbe.

Ogni anno a settembre, in occasione dell’anniversario della liberazione del campo di Arbe, sull’isola viene organizzata una cerimonia di commemorazione. Alla cerimonia tenutasi nel settembre 2020 hanno partecipato il presidente sloveno Borut Pahor e il suo omologo croato Zoran Milanović. È stata la prima volta che i presidenti dei due paesi hanno partecipato insieme alla commemorazione.

“Ogni anno, in occasione dell’anniversario della liberazione del campo, vi si recano molti sloveni, ma non tanti croati. È curioso che i croati dimostrino scarso interesse per il campo”, afferma Barić.

Anche la sua famiglia aveva sofferto molto durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1944 la loro casa sull’isola di Eso (Iž) venne data alle fiamme dai nazisti e la famiglia fu costretta a fuggire, trovando rifugio in un campo situato nel territorio italiano liberato dagli Alleati.

Barić visitò per la prima volta l’ex campo di concentramento di Arbe dopo la conclusione degli studi universitari e quella visita segnò profondamente la sua vita.

“Da allora sono rimasto legato a questa storia. Voglio che ne sia a conoscenza il maggior numero possibile di persone”, conclude Barić.


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