Milorad Pupovac - foto SNV

Milorad Pupovac - foto SNV

Mentre la Croazia ufficiale celebra l’anniversario dell’operazione Oluja, con la quale riconquistò la regione della Krajina causando l’esodo di 200mila serbi, Milorad Pupovac leader del Partito Democratico Indipendente Serbo, denuncia un aumento nel paese della retorica anti-serba. Lo abbiamo intervistato

05/08/2024 -  Giovanni Vale Zagabria

La Croazia celebra oggi l’anniversario dell’operazione Tempesta (Oluja), con cui nel 1995 vinse la sua guerra d’indipendenza. Nell’agosto di 29 anni fa, l’esercito croato riconquistò in pochi giorni la cosiddetta “Krajina”, la regione a maggioranza serba che quattro anni prima si era autoproclamata indipendente. L’operazione causò l’esodo di oltre 200mila serbi e oggi quelle terre sono tra le più povere e spopolate del paese. Ne abbiamo parlato con Milorad Pupovac, il presidente del Partito Democratico Indipendente Serbo (SDSS).

A distanza di 29 anni dalla fine della guerra, le regioni che facevano parte della Krajina sembrano dimenticate da Zagabria. Spesso mancano le infrastrutture di base, non ci sono investimenti e la popolazione si riduce di anno in anno. Perché?

Noi non abbiamo dimenticato quei luoghi, ma la Croazia non si comporta come dovrebbe. Ogni volta che avanziamo delle richieste a favore di quelle terre è come se chiedessimo qualcosa di cui la Croazia non ha bisogno. È un comportamento che dura da anni. Noi sappiamo che senza elettricità, acquedotti, strade, trasporti pubblici, senza centri sociali e culturali pubblici, protezioni sanitarie solide e senza investimenti nello sviluppo economico, non ci può essere vita in quelle regioni. Servono più programmi, più fondi e più attenzione.

Perché non succede? È un comportamento voluto, ovvero c’è discriminazione nei confronti dei serbi?

Sì, si può dire che c’è discriminazione. Ma c’è anche incuria e disinteresse. E non c’è governo che non abbia avuto questo approccio [nella storia della Croazia indipendente, nda.]. Non è un’esclusiva dell’attuale esecutivo.

Negli ultimi mesi la comunità serba, il suo settimanale Novosti e lei stesso – in quanto principale rappresentante dei serbi – siete stati al centro di pesanti attacchi. La retorica anti-serba sembra peggiorare in Croazia. È così?

Purtroppo, nonostante gli sforzi perché questo non succeda, la retorica anti-serba non solo è aumentata, ma è diventata la normalità sia nei media che nella vita politica. La si considera come una sorta di retorica costante, piuttosto che una cultura politica inaccettabile. Attaccare un partito minoritario come l’SDSS e attaccare me come suo leader è diventato un semplice riflesso della vita politica, a destra ma non solo.

Il fatto che io come rappresentante della minoranza più popolosa e vulnerabile della Croazia sia da anni il politico più impopolare nei sondaggi è già di per sé scioccante. E nessuno si chiede perché. Perché la lotta per i diritti dei serbi in Croazia dovrebbe portare odio? Perché dovrebbe portare ad una percezione negativa? Il fatto che i serbi vogliano partecipare al governo per risolvere i problemi che abbiamo menzionato prima – elettricità, acqua, strade, sviluppo e uguaglianza di base – è qualcosa che dovrebbe essere dato per scontato e invece non solo non lo si capisce, ma non lo si approva, lo si vieta.

I serbi sono ancora oggi trattati come nemici della società e questo nonostante la nostra politica affondi le sue radici nel pacifismo già da prima della guerra, e sia continuata così anche durante e dopo il conflitto.

Dopo le elezioni legislative del 17 aprile, il Movimento patriottico (DP) di estrema destra è arrivato al potere, formando un'alleanza con il premier conservatore Andrej Plenković. In cambio del suo sostegno al governo, lestrema destra ha chiesto lesclusione dei serbi dalla nuova coalizione (mentre in precedenza il posto di vice-premier era occupato da un serbo). Un’occasione persa?

Noi rappresentanti dei serbi non volevamo partecipare al governo solo per avere un incarico. Volevamo farlo per ridurre l’ingiustizia contro i serbi e il sottosviluppo delle regioni in cui vivono, per rendere i serbi più eguali e più accettati nella società e perché ci siano meno discorsi di odio nei loro confronti, meno intolleranza.

Quello che sta succedendo è un problema serio. Il premier Plenković sta provando a risolverlo mantenendo aperta la comunicazione con noi e integrando alcune delle nostre proposte nel suo programma. Ma ciò non può compensare il valore simbolico della partecipazione dei serbi al governo, che è un segno del loro riconoscimento e coinvolgimento.

Plenković ha dovuto cedere alla richiesta del DP, che è un esempio perfetto di discriminazione politica su base etnica, contraria alla costituzione e alle convenzioni che la Croazia ha firmato col Consiglio d’Europa e con l’Unione europea.

Non è allora scandaloso il fatto che Plenković abbia accettato il ricatto dell’estrema destra?

Purtroppo non aveva altra scelta. Il modo in cui è stata portata avanti la campagna elettorale – compreso il coinvolgimento del presidente della repubblica – e il fatto che, dopo il voto, il Movimento patriottico sia diventato l’unico partner con cui poter dialogare ci ha portato a questa situazione. Dare la colpa solo a Plenković è un errore. Sono in tanti a doversi chiedere che cos’ha ottenuto la Croazia con una campagna elettorale del genere.

Nei pressi della sorgente del fiume Una, un investitore sta costruendo una centrale idroelettrica senza permessi. A Ervenik l’impresa che ha eretto delle pale eoliche rifiuta di versare quanto dovuto al comune . Sono entrambe località a maggioranza serba. Perché queste ingiustizie? Si può fare tutto contro i serbi in Croazia senza che ci siano conseguenze?

Per anni il sindaco di Vukovar e il suo partito hanno gestito delle falangi che picchiavano i giovani serbi. La polizia reagiva, ma la politica no. Finché un giorno quegli ultras non hanno attaccato un gruppo dove c’era anche un croato, il nipote di un celebre veterano di guerra. Allora è arrivata la reazione della politica. Non direi che si può fare tutto contro i serbi, sarebbe esagerato. Ma ci sono persone che hanno potere e soldi e che possono assicurarsi una protezione per le loro attività illegali. Soprattutto in quelle aree povere, come la sorgente del fiume Una o il comune di Ervenik.

Cosa vede nel futuro della Krajina? Cosa dovrebbe avvenire perché la situazione cambi?

Lo Stato dovrebbe investire più risorse in quei territori e implementare dei programmi di sviluppo economico, non solo per i serbi ma per chiunque voglia vivere in quelle zone. Oggi non accade, la Croazia usa i fondi europei, ma non come fanno altri paesi sviluppati dell’Ue, ovvero per portare infrastrutture e programmi nella aree sottosviluppate e spopolate.

Qui in futuro potrebbe svilupparsi il turismo, così come l’utilizzo controllato e regolato delle risorse naturali (acqua, vento, biomasse…). La mancanza di queste politiche oggi è un danno sia per i serbi che vivono in quelle zone sia per la Croazia. È come se Zagabria non avesse fatto i conti con la realtà, ovvero col fatto che tutto quello che fa contro i serbi lo fa in realtà contro se stessa. Quelle regioni e il rapporto con loro lo mostrano chiaramente.

Pensa che le cose cambieranno?

Noi lavoreremo perché le cose migliorino. E anche se stigmatizzati, non molleremo, continueremo a dedicarci a quelle genti, a quei territori e alla Croazia. Purtroppo le cattive relazioni tra serbi e croati e la mancanza di fiducia anche a livello regionale sono un ostacolo, non solo in Croazia, ma in tutti i Balcani occidentali.


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