I partecipanti alla Green Academy - IPE - Institut za političku ekologiju

Una scuola estiva, che riunisce attivisti e ricercatori, che si confrontano sui temi della sostenibilità e dell'eguaglianza sociale. Quest'anno, sull'isola di Vis, OBCT aveva il suo inviato

07/09/2018 -  Giovanni Vale

Come adattare il nostro stile di vita alle sfide imposte dal cambiamento climatico? Come conciliare le esigenze dei lavoratori con la tutela dell’ambiente? O ancora, che tipo di amministrazione immaginare per le città, attrici sempre più importanti nel panorama dell’innovazione politica? Tutte queste domande e molte altre sono state al centro della sesta edizione della Green Academy (Zelena Akademija), che si è tenuta la scorsa settimana sull’isola di Vis in Croazia (25–30 agosto).

Organizzata dall’Istituto per l’Ecologia politica (IPE) di Zagabria, l’accademia ha riunito quest’anno più di 130 ricercatori, attivisti e giornalisti attorno ai temi del cambiamento climatico, della decrescita e del cosiddetto “municipalismo”, il movimento che promuove l’uso della democrazia diretta e l’organizzazione di assemblee popolari per la gestione dei beni pubblici all’interno dei quartieri e delle città.

Intitolata “Andando oltre i frammenti” (Moving beyond fragments), la Green Academy di quest’anno ha riunito anche importanti esperienze politiche nate nei Balcani, da Zagreb je Naš, il movimento che è riuscito ad entrare in consiglio comunale a Zagabria proprio con un programma “municipalista”, a Ne Da(vi)mo Beograd, il fronte nato in opposizione al faraonico progetto di “Belgrado sull’acqua” e che propone un nuovo approccio alla gestione della cosa pubblica nella capitale serba.

Per una comunione tra ecologisti e progressisti

“La Green Academy è nata con un duplice obiettivo, da un lato fornire agli attivisti quella formazione politica che spesso non hanno, e dall’altro sensibilizzare il mondo accademico mettendolo in contatto con chi agisce politicamente sul campo”, spiega Vedran Horvat, direttore dell’Istituto per l’Ecologia politica e all’origine dell’iniziativa di Vis. Ma non si tratta soltanto di creare “una piattaforma” che permetta “il dialogo tra ecologisti e progressisti”: c’è infatti anche un’ambizione politica.

“Mi piace descrivere la Green Academy come un aeroporto”, prosegue Vedran Horvat, “da qui, partono poi le esperienze politiche, gli aerei, in diverse direzioni”. Nato nel 2010, come un’iniziativa della Fondazione Heinrich Böll e diventato poi nel 2015 il progetto faro del neonato Istituto per l’Ecologia politica, il laboratorio di Vis è stato “il luogo di nascita di molti dibattiti legati ad altrettante battaglie”. Horvat cita ad esempio “Zagreb je Naš e Ne Da(vi)mo Beograd”, che “sono stati nostri ospiti per molti anni”.

L’incubatore politico della Green Academy ha inoltre sede sull’isola di Vis per un motivo preciso. Tra le più lontane dalla terraferma, quest’isola, che fu durante la Jugoslavia una base militare inaccessibile agli stranieri, ha saputo mantenersi ai margini del turismo di massa. Solo negli ultimi anni, complici anche le riprese di “Mamma mia 2”, la fama internazionale dell’isola sta crescendo. Ma per gli organizzatori dell’accademia ecologica, Vis continua ad offrire quel “senso di lentezza” ormai perduto altrove in Dalmazia.

L’urgenza ambientale

Il cambiamento climatico con le sue conseguenze ambientali, politiche, economiche e sociali ha costituito il nucleo centrale attorno cui si sono sviluppati i lavori della sesta edizione della Green Academy. Il tono è stato dato da Brannon Anderson, professore alla Furman University (Greenville, USA). Parafrasando Games of Thrones, Anderson ha avvertito: “la decrescita sta arrivando, a breve non sarà più una scelta”. I moltissimi dati citati dal professore descrivono in effetti la gravità della situazione ambientale sul nostro pianeta.

La crescita iniziata nel secondo Dopoguerra e diventata esponenziale con gli anni Novanta ha portato ad un mondo in cui “appena il 18% delle terre emerse può essere considerato selvaggio”, ovvero non organizzato in qualche modo dall’uomo. Il rapporto con le altre specie animali è uscito anch’esso stravolto dall’ultimo secolo. “Se nel 1900, gli umani e il loro bestiame erano 4 volte superiori agli animali selvatici, nel 2000 quel rapporto era di 35 a 1”, analizza Anderson.

Ci sono poi le anomalie climatiche si moltiplicano anno dopo anno, le temperature in costante crescita, il dramma dei rifiuti che continuano ad essere riversati nell’ambiente… Ecco che “risolvere le disuguaglianze con un’ulteriore crescita è ormai impossibile”, conclude il professore, che invita ad “un cambiamento di valori”: “Europa e Stati Uniti devono ridurre drasticamente i propri consumi e assumersi la responsabilità per le disuguaglianze e le condizioni del pianeta: è un imperativo morale".

Decrescita in Croazia

Come immaginare allora la transizione economica che si impone per evitare il disastro ambientale? Le alternative all’attuale sistema incentrato sulla crescita infinita (ma in un mondo di risorse finite) sono state discusse durante i cinque giorni della Green Academy, partendo dal concetto di decrescita, dall’analisi delle proposte della democrazia collaborativa e fino al movimento del municipalismo. Nessuna soluzione miracolosa è emersa dalle discussioni. Al contrario, la strategia da seguire dovrà essere adattata ad ogni contesto sociale e ambientale.

“La Croazia potrebbe essere terrorizzata dall’idea di “decrescita” e per questo abbiamo qui una migliore traduzione: odrast (che indica piuttosto un maturare, un diventare più saggio), ma il paese è assolutamente pronto ad applicarne i concetti”, spiega Mladen Domazet, ricercatore all’Istituto per l’Ecologia politica di Zagabria. “La decrescita non è una mera riduzione di tutti i numeri che attualmente crescono, ma un modo alternativo per raggiungere una buona qualità della vita”, aggiunge Domazet.

In questo senso, la Croazia (come altri paesi) “incarna l’eredità di diversi modi alternativi (per vivere bene, ndr.) e, almeno in teoria, è in grado di scegliere tra di essi”. Dal punto di vista pratico, tuttavia, questo significa “ripensare la mania della crescita”, in particolare nel settore del turismo, dove il concetto di “sostenibilità” è andato perduto molti anni fa. “Serve un’azione politica ed una visione globale, affinché venga preservato quell’ecosistema da cui stiamo estraendo il surplus turistico”, conclude Mladen Domazet.

Una combinazione di comportamenti responsabili a livello individuale ed una più efficace partecipazione collettiva. Questa sembra essere la ricetta che soggiace a tutte le iniziative promotrici di un’economia sostenibile: limitare da un lato il proprio impatto personale sull’ambiente (rivoluzionando il proprio stile di vita) ed evitare dall’altro che lo stato promuova delle strategie di sviluppo indifferenti ai limiti ecologici e non sostenibili. E’ una sfida senza dubbio difficile, ma non più rimandabile.


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