Il turismo è un settore economico chiave della Croazia. Che comporta però anche costi ambientali e sociali: come ad esempio il rischio dell'aumento della criminalità
Con l’evoluzione dei trasporti il turismo è diventato una fonte di crescita economica per molti paesi. In un precedente articolo avevo evidenziato come la Croazia vivesse di fatto di turismo: negli ultimi anni è infatti giunto a contribuire quasi al 20% del Prodotto interno lordo del paese. Numeri come questi possono facilmente portare a pensare che il turismo debba essere ulteriormente incoraggiato e promosso. Tuttavia, può essere meno evidente come troppo turismo possa anche costituire un limite – come evidenziato nel precedente articolo, in quanto si giunge a dipendere troppo da questo fenomeno esogeno. Oppure che possa implicare anche dei costi, principalmente di due tipi: sociali, ossia conflitti tra residenti e turisti, sovraccarico delle infrastrutture, aumento della criminalità; ambientali, ovvero inerenti ad una maggiore cementificazione, ad uso più intensivo delle risorse naturali, o a un incremento dell’inquinamento.
In una recentissima ricerca, Vedran Recher e Ivica Rubil, dell’Ekonomski Institut di Zagabria (EIZG), hanno messo in luce proprio alcuni di questi risvolti negativi che accompagnano il fenomeno turistico in Croazia. In particolare, analizzando un panel di dati che va dal 1998 al 2016, i due autori hanno trovato una robusta evidenza empirica che mostra come l’aumento esponenziale del turismo in Croazia ha portato con sé anche un incremento della criminalità, in particolare quella legata ai furti di oggetti. Come sottolineano Recher e Rubil, il maggiore tasso di criminalità dovrebbe essere interiorizzato come un costo proprio del fenomeno turistico, inteso non solo come costo diretto per la popolazione residente, ma anche in termini di rischio di pregiudicare l’immagine della Croazia come possibile destinazione agli occhi di un futuro turista. Andiamo dunque a vedere cosa dicono esattamente le stime calcolate sui dati analizzati dai due autori.
Come anticipato, i crimini presi in considerazione da Recher e Rubil sono esclusivamente i furti, suddivisi nelle loro diverse declinazioni: dalla semplice appropriazione di un oggetto, al furto di oggetti di valore o che implicano il superamento di alcune barriere fisiche, alla rapina commessa con atti di minaccia o violenza. Osservando la Figura 1, che rappresenta la serie storica dei furti denunciati (asse verticale sinistro) e degli arrivi turistici (asse verticale destro) in Croazia dal 1998 al 2016, si osserva innanzitutto come gli arrivi turistici praticamente raddoppiano, passando da circa 7 milioni a circa 15 milioni, di cui l’89% stranieri. Al contrario, per quanto riguarda i furti nel loro insieme, questi mostrano una tendenza alla crescita solo dal 1998 (circa 25 mila) al 2004 (circa 45 mila), anno in cui la tendenza si inverte. Così, nel 2016 si sono registrati quasi 15.000 furti segnalati in meno rispetto al 2004, riportando così il numero totale dei furti ai livelli del 1998.
Figura 1 – Serie storica del numero di furti (asse sinistro) e di arrivi turistici (asse destro) in Croazia
(Recher & Rubil 2020, p. 655)
Prendendo dunque in esame la serie storica di furti denunciati e di arrivi turistici, a prima vista non si direbbe che vi sia alcuna associazione nelle traiettorie di turismo e criminalità. Al contrario, si potrebbe concludere che il turismo, oltre ad essere un motore della crescita economica croata, abbia contribuito anche alla crescita sociale della Croazia, rendendola un luogo di fatto più sicuro e meno esposto ai fenomeni di microcriminalità. Tuttavia, nella loro analisi statistica Vedran Recher e Ivica Rubil hanno considerato anche altri fattori concorrenti per spiegare la traiettoria nel numero di furti denunciati, quali il numero di persone residenti o il numero di addetti alla sicurezza pubblica in un dato territorio, il numero di crimini risolti, la temperatura media ecc. Integrando l’analisi con queste variabili gli autori hanno potuto isolare meglio il legame tra arrivi turistici e numerosità di furti registrati in Croazia. Considerando questi ulteriori elementi, gli autori hanno statisticamente stimato come un aumento dell’1% negli arrivi turistici, negli anni analizzati, sia corrisposto ad un aumento dello 0,17% del numero di furti in generale e dello 0,22% dei furti più semplici. Gli autori precisano poi come questo valore sia probabilmente sottostimato, in quanto nei dati vengono conteggiati solo i furti denunciati e non tutti quelli effettivamente commessi.
Raffinando ulteriormente l’analisi per tenere conto dell’eterogeneità territoriale del fenomeno turistico in Croazia, gli autori giungono a concludere che l’associazione positiva tra numero di furti e arrivi sia quasi interamente da attribuire alle sette regioni costiere e principali mete turistiche, dove nel 2016 si è concentrato l’87% degli arrivi e il 95% dei pernottamenti turistici. Per capire meglio quest’ultima affermazione, possiamo guardare la Figura 2, la quale mostra il numero di furti denunciati e degli arrivi mensili nelle sette regioni costiere nel 2016. Dall’immagine si evince immediatamente come la crescita/diminuzione dei furti totali al mese ricalca in maniera precisa quella degli afflussi/deflussi turistici: così, entrambi i fenomeni si concentrano nei mesi estivi.
Figura 2 – Numero di furti (asse sinistro) e arrivi turistici (asse sinistro) mensili nelle sette regioni costiere della Croazia, anno 2016.
(Recher & Rubil 2020, p. 656)
In conclusione al proprio articolo, Recher e Rubil pongono comunque alcuni avvisi riguardo all’interpretazione delle loro stime numeriche. In primo luogo sottolineano come il dato più importante, ossia che un aumento degli arrivi turistici è di fatto legato ad un aumento ai furti di oggetti di proprietà, non va interpretato in maniera causale. Si tratta infatti di una mera stima empirica che indica un’associazione, ma da questa analisi non si può dire che in Croazia ci sono più furti perché nel corso degli anni sono arrivati più turisti. Infine, gli autori precisano che i loro dati non distinguono tra chi sia il soggetto che subisce il reato, se una persona locale piuttosto che un turista. Tuttavia, secondo gli autori, è possibile speculare sul fatto che nella maggioranza dei casi le vittime siano proprio i turisti, dato che nelle principali regioni costiere gli arrivi di questi ultimi superano di gran lunga la popolazione residente, per un rapporto che può anche giungere a sfiorare i 10 turisti per ogni persona residente.
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