In Croazia si decide, il prossimo fine settimana, chi guiderà il Partito socialdemocratico. Intanto un dato è già certo: la successione a Milanović avverrà senza fratture in seno al partito
Saranno Davor Bernardić e Ranko Ostojić a contendersi la presidenza del Partito socialdemocratico croato (Sdp). Alle primarie tenutesi lo scorso fine settimana i due candidati sono infatti arrivati in testa, qualificandosi - anche se con risultati molto diversi - per il secondo turno. Bernardić, il 36enne presidente della sezione zagabrese dell’Sdp, ha ottenuto oltre il 45,8% dei voti, mentre Ostojić (54 anni), ex ministro dell’Interno del governo Milanović (2011–2015) e popolare per la gestione della “crisi dei rifugiati”, si è fermato a quota 23,1%. Tra gli sconfitti, finiscono sia l’ex ministro della Giustizia Orsat Miljenić, votato dal 17% degli iscritti al partito, sia l’eurodeputato Tonino Picula, con appena l’11%, considerato fino a qualche mese uno dei maggiori favoriti alla successione al trono di Zoran Milanović.
Dopo che l’ex Primo ministro, uscito sconfitto dalle elezioni legislative dell’11 settembre, ha dichiarato chiusa la sua lunga parentesi da leader dei socialdemocratici (quasi dieci anni, a partire dal 2007), un fermento inedito ha scosso l’Sdp, portando alla presentazione di una decina di candidature, poi ridotte a sette. Oltre ai quattro uomini già citati, altre tre esponenti del partito (Karolina Leaković, Gordana Sobol e Vesna Škulić) si sono presentate per ottenere il poco invidiabile compito di ricostruire la sinistra croata, reduce da sei sconfitte elettorali consecutive negli ultimi quattro anni. Nessuna di queste candidate, tuttavia, ha superato la soglia del 2%, mentre l’affluenza, tra i circa 37mila membri del partito chiamati a votare, ha sfiorato appena il 50%, lasciando pensare che molto resti ancora da fare per mobilitare davvero l’entusiasmo della base socialdemocratica.
Bernardić e Ostojić, un confronto corretto
“Oggi ha vinto l’Sdp! Sono orgoglioso e felice”, ha dichiarato sabato sera Davor Bernardić, che prima dell’inizio della campagna elettorale, due settimane fa, era quello che aveva raccolto il maggior numero di firme a sostegno della propria candidatura. “Abbiamo dimostrato che siamo un grande partito e che possiamo lottare per la dignità dell’Sdp e della Croazia”, ha proseguito Bernardić, assicurando che, in caso di vittoria, avrà bisogno anche di tutti i suoi avversari e che “troverà un modo per includerli nelle attività del partito”. Lo stesso sfidante, Ranko Ostojić, si è congratulato dicendo che “a questo punto è l’Sdp che ha vinto”, dato che “siamo stati capaci di salvare la dignità del partito”.
Durante la campagna elettorale, in effetti, i toni sono rimasti corretti e i programmi dei candidati si sono concentrati sull’importanza di preservare l’unità del partito, anche a scapito di un confronto su idee e programmi diversi. Nonostante il distacco di oltre 20 punti, infine, l’ex ministro dell’Interno ha assicurato che non mollerà e si è detto “sicuro che sabato prossimo vinceremo”.
Come rimettere insieme i cocci del partito
Se le ipotesi di scissioni o di guerre intestine interne è stata per ora scongiurata, riuscendo al tempo stesso ad effettuare delle primarie credibili (diversamente dall’Hdz dove quest’estate Plenković era l’unico candidato alla successione di Karamarko), il lavoro dell’Sdp nel dopo Milanović è appena cominciato.
L’ex premier, che aveva portato i socialdemocratici al potere nel 2011, ha successivamente perso tutte le tornate elettorali, a livello locale, parlamentare, presidenziale ed europeo. Una serie di sconfitte a cui si è aggiunta, alle elezioni di settembre, la vertiginosa caduta del numero dei votanti in quota Sdp, scesi di oltre 100mila unità rispetto a fine 2015. Il definitivo corto circuito con il proprio elettorato tradizionale è il risultato dell’azzardato tentativo di inseguire a destra l’Hdz, volendo sottrarre ai conservatori guidati da Plenković gli elettori più nazionalisti. Si credeva, erroneamente, che questi fossero delusi dal recente comportamento dell’Hdz (che aveva portato alla fine prematura del governo Orešković) o comunque indecisi nel votare un “moderato” come l’ex eurodeputato Plenković.
La scelta di incontrare i veterani di guerra, in gran parte schierati a destra, e di provare a rabbonirli con frasi anti-serbe degne del peggior Karamarko si è dimostrata non soltanto inefficace nell’allargare l’elettorato socialdemocratico, ma ha finito con l’innervosire gli stessi simpatizzanti dell’Sdp. Così, ora, mentre l’ex premier Milanović inizia una carriera da consulente (con la neonata azienda “EuroAlba Advisory” destinata, secondo la stampa croata, ad aiutare il governo albanese sulla via dell’integrazione europea), il nuovo leader socialdemocratico dovrà cominciare col raccogliere i cocci rotti del partito.
Tra Davor Bernardić e Ranko Ostojić, il cambiamento più consistente rispetto all’amministrazione Milanović pare arrivare dal primo, non solo perché il secondo fu uno stretto collaboratore dell’ex premier o per la più giovane età (Bernardić ha vent’anni in meno di Ostojić), ma per il sostegno ricevuto da alcuni degli antagonisti di Milanović nel partito, come il governatore della Regione quarnerino-montana Zlatko Komadina o come lo stesso eurodeputato e candidato alla presidenza Tonino Picula, che ha già dato il suo sostegno a Bernardić.
In quanto ai programmi, entrambi i candidati hanno sottolineato la necessità di democratizzare maggiormente il partito e creare “un miglior Sdp”. Bernardić ha messo l’accento sulla “lotta per la socialdemocrazia” e, come Ostojić, ha citato la necessità di una “uguaglianza delle opportunità” e di una maggiore attenzione a quei lavoratori che stanno perdendo i propri diritti, argomenti tradizionali del partito socialdemocratico croato (e forse della socialdemocrazia in generale). Durante la presentazione del proprio programma, l’ex ministro dell’Interno ha citato Tony Blair, ma soltanto per ricordare l’importanza della conoscenza nello sviluppo della società e senza proporre azzardate “terze vie”. Bernardić ha invece invocato il “coraggio” che il partito deve saper trovare per affrontare le sfide legate in particolare al mondo del lavoro.
Che sia l’uno o l’altro a vincere sabato, la successione alla guida dell’Sdp si farà, stando almeno a quanto annunciato, senza drammatici strappi interni.
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