A due anni dall'ingresso nell'Unione europea della Croazia le voci di alcuni intellettuali sullo stato dei diritti umani e sociali nel Paese
(Originariamente pubblicato da H-Alter il 25 maggio 2015, titolo originale Hrvatska nakon "mrkve i batine" )
Alla vigilia del secondo anniversario dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea, si ha l’impressione che proprio in questo biennio si sia verificato nel paese un crescendo di sentimenti discriminatori, che vanno acutizzandosi di settimana in settimana, accompagnati da un rapido deterioramento degli standard di tutela dei diritti umani e dalla riduzione delle risorse destinate ai servizi pubblici e alle istituzioni.
Nonostante la cornice legislativa ed istituzionale nel paese sia sostanzialmente ben definita, l’attuazione delle leggi e delle politiche pubbliche rimane, a dir poco, scarsamente efficace. Ci si chiede, quindi, dove stia esattamente il problema: nel fatto che non è più la logica del bastone e della carota a condizionare la società o/e che stanno riemergendo vecchie questioni irrisolte, coscientemente ignorate durante i negoziati di adesione a quella che veniva (e viene tuttora) lodata come la “nuova famiglia” europea?
Tenendo presente che la Croazia è riuscita con difficoltà ad arrivare alla chiusura del capitolo 23 dell’acquis comunitario (giustizia/diritti fondamentali), ci si aspettava che a seguito dell'ingresso gli standard e i criteri relativi al proseguimento delle riforme e alla tutela dei diritti umani venissero innalzati.
Marcia indietro?
Invece sta accadendo l’esatto contrario: vi è l’esclusione sociale delle minoranze, sia nazionali che sessuali, nonché di tutti coloro che vengono percepiti come “diversi” solo perché ritengono che la libertà di pensiero e di parola debba essere esercitabile anche al di fuori delle proprie quattro mura (basti pensare alla campagna per promuovere un referendum “anti-cirillico”, o a quello fatto sui matrimoni gay – per citare solo alcuni esempi di questa democrazia “populista”); vi è stata l’introduzione del reato di diffamazione nel codice penale; vi è stato un diffondersi del linguaggio dell’odio, alimentato dall’operato acritico dei media; inoltre la situazione della professione giornalistica si fa sempre più preoccupante, in attesa della tanto annunciata strategia per i media e di una maggiore trasparenza degli assetti proprietari; vi è un sistema giudiziario mal funzionante, caratterizzato dalla lentezza nel processare i crimini di guerra e nel risolvere la questione del ritorno e della sistemazione abitativa dei profughi di guerra, nonché dalla poca efficacia nella lotta alla corruzione; si è verificato il “caso” delle schede personali dei titolari di incarichi politici; vi è una situazione di incertezza creatasi intorno al futuro di una delle principali istituzione democratiche – quella del Commissario per le informazioni di rilevanza pubblica e per la protezione dei dati personali – a causa della riduzione delle risorse destinate al suo funzionamento, in aggiunta all’ultimo tentativo di limitare il diritto di accesso alle informazioni garantito dalla costituzione; vi è stata la rinuncia all’introduzione dell’ora di educazione civica nella scuola statale; si è verificato l’ennesimo rinvio della riforma della pubblica amministrazione. Questi sono solo alcuni dei problemi con cui si confronta oggi la nostra società.
Dato che tutto ciò sembra coincidere con l’ingresso della Croazia nell’Ue, la riemersione di questi problemi non di rado viene percepita come un riflesso, o addirittura un indicatore del fatto che il paese non era pronto per l’adesione: una volta liberati dalle pressioni esterne, stiamo assistendo al risvegliarsi dei vecchi demoni. D’altra parte, però, neanche la stessa Unione è da considerarsi sempre un buon esempio da seguire, come evidenziato dall’attuale situazione in Ungheria.
Ci siamo chiesti, quindi, quale sia attualmente la reale situazione in Croazia rispetto al periodo pre-adesione per quel che concerne lo stato di diritto, la qualità della democrazia, la protezione dei diritti umani e dei beni pubblici, il confronto con il passato, la lotta alla corruzione.
Le opinioni degli intellettuali
"Nei giorni precedenti l’ingresso ufficiale della Croazia nell’Ue, le organizzazioni della società civile aderenti alla rete Platforma 112 hanno esplicitamente avvertito che una volta entrati a far parte dell’Ue, avremmo assistito al deteriorarsi degli standard di tutela dei diritti umani", ricorda Gordan Bosanac del Centro studi per la pace di Zagabria. “Purtroppo siamo già stati testimoni del fatto che, per quanto riguarda la cultura dei diritti umani e della tolleranza, in Croazia si agisce innanzitutto in base al principio del bastone e della carota, e questo la dice lunga sulla nostra società. Appena il bastone è scomparso dal campo visivo - e quando ci si è resi conto che non c’è più nemmeno la carota - le cose sono andate progressivamente deteriorandosi. In Croazia capita spesso di sentire discorsi del tipo Fino a quando tollereremo che la minoranza terrorizzi la maggioranza – con riferimento sia alle minoranze sessuali che a quelle nazionali – usati come argomento contro la necessità di proteggere i diritti delle minoranze. Tuttavia, la sfida maggiore, che dovrà ancora essere affrontata, resta quella rappresentata da una vera e propria epidemia di violazioni dei diritti socio-economici dei cittadini che continua a generare l’ingiustizia e il malessere sociale. Questo, però, non è un problema locale bensì paneuropeo”, ha aggiunto l'attivista.
Dal canto suo, il filosofo e sociologo Srđan Dvornik ritiene che, con l’adempimento dell’obbligo di garantire condizioni minime di rispetto dei diritti umani, la situazione sia migliorata per certi aspetti, peggiorata per altri. “Una volta esaurita la frenesia legislativa, dovuta alla necessità di allinearsi all’acquis comunitario, nonché quella elettorale, ci si trova nuovamente di fronte allo scatenarsi di quel rozzo sciovinismo che considera la Croazia un paese dei croati - dove i serbi sono gli ospiti da cui si aspetta obbedienza e invisibilità - l’amore per la patria un dovere e i governi ‘non-populisti’ massimi traditori”, afferma Dvornik, aggiungendo però che si è anche imparato qualcosa. A suo avviso le aspettative dei cittadini, sia rispetto allo stato di diritto sia rispetto alla partecipazione democratica e giustizia sociale, sono cresciute, cosicché anche il fenomeno dell’attivismo civico e impegno sociale risulta più diffuso: “Quando i veterani di guerra stanno accampati per mesi davanti al ministero competente, presumibilmente per rivendicare i propri diritti, il problema non sta nel loro attivismo bensì nella sua dubbia natura civica. Il fatto che una tale azione riesca a protrarsi per così tanto tempo e a suscitare così tanta attenzione, anche se negativa, non è altro che un sintomo del mancato distacco dalla tradizione bellica nella quale i cosiddetti ‘veterani’ detengono un ‘posto speciale’”, spiega.
“Finché la priorità strategica dell’HDZ era l’ingresso nell’Ue, le leggi venivano approvate sul modello di quelle dei paesi civilizzati. Anche se non con metodi civili, ma questo sarebbe già troppo da chiedere, le minoranze venivano rispettate, e via dicendo. Ma ora che facciamo parte dell’Ue, la materia prima di cui siamo fatti sta nuovamente riemergendo in tutto il suo autoritarismo e collettivismo nazionalista su cui un solo - e unico - partito nazionalista detiene l’egemonia. Neanche i partiti che si dichiarano, più o meno vagamente, ‘non nazionalisti’ sono finora riusciti a liberarsi completamente da questa egemonismo, per cui oggi risulta possibile interpretare la loro inefficacia come conseguenza di una scarsa devozione alla nazione/patria”, avverte il filosofo.
Anche il politologo Berto Šalaj, professore alla Facoltà di Scienze Politiche di Zagabria, è del parere che, per quanto riguarda le problematiche di cui sopra, la situazione non è sostanzialmente cambiata rispetto al periodo pre-adesione. “Il motivo per cui oggi si ha l’impressione che la situazione stia peggiorando è da ricondursi al fatto che certi problemi latentemente presenti nella società croata - inclusi quelli che sono stati temporaneamente nascosti sotto il tappeto allo scopo di dimostrare all’Ue che il paese era pronto per l’adesione - in questo periodo stanno riaffiorando. Un altro fatto importante è che questa eruzione di fenomeni negativi, a cui assistiamo, sta avvenendo proprio in prossimità delle elezioni politiche, alle quali l’HDZ concorrerà nei panni dell’opposizione. La storia del pluripartitismo in Croazia, anche se relativamente breve, ci suggerisce infatti che ogni qualvolta la cosiddetta opzione di sinistra sta al governo, le forze di destra, guidate dall’HDZ, ricorrono all’artiglieria pesante per mobilitare i propri elettori”.
Non c’è dunque da stupirsi se Gordan Bosanac ritiene che l’attuale tendenza verso la rimilitarizzazione della società croata – sorta al di fuori dell’ambito istituzionale con la protesta dei veterani, per poi diventare istituzionalizzata con l’elezione della nuova presidente – sia estremamente nociva. “Un fenomeno del genere non giova al nostro paese, non porta alcun valore aggiunto. Al contrario, proprio perché mancano nuovi valori sociali, certi politici riescono a strumentalizzare i fatti del passato e non di rado a trasformarli in odio e intolleranza. La guerra combattuta nel nostro paese si è conclusa nel 1995 e l’attuale tendenza a sottolineare l’importanza dell’esercito e a idealizzare i ricordi della guerra, ponendo l’accento sul particolarismo dei sentimenti di comunità presumibilmente esistiti in quegli anni, non fa altro che approfondire il trauma post-bellico di cui soffre questa società, rendendola chiusa in se stessa e costringendo la gente a sentirsi impaurita. Creare tale atmosfera nel momento in cui l’Europa si trova di fronte ad un flusso continuo di profughi provenienti dalle zone di guerra, di certo non favorisce il diffondersi di sentimenti di solidarietà tra i nostri cittadini. Anzi, produce un effetto contrario: le politiche orientate alla militarizzazione della società contribuiscono al dilagare di razzismo e xenofobia, creando un clima privo di presupposti necessari per l’emancipazione della società. Particolarmente preoccupante è il fatto che questo tema, imposto da certi ambienti, pare godere di un ampio consenso tra i partiti politici rappresentati in parlamento. L’annuncio dello svolgimento di una parata militare a Zagabria, appoggiato dalla maggior parte dei partiti, è solo l’ultimo degli eccessi di questa politica fallimentare".
Sarà però difficile andare avanti senza porsi l’interrogativo, ed affrontare le conseguenti risposte, su chi abbia fallito – i governi, l’opposizione, le organizzazioni della società civile, i cittadini, la comunità accademica...oppure tutti dovremmo assumerci la propria parte di responsabilità?
“Sì, ognuno ha la sua parte di responsabilità”, ammette Bosanac, aggiungendo però che “la responsabilità principale dell’attuale stato di cose è da ascrivere a coloro che hanno un effettivo potere di influire sui cambiamenti della società, in primis i partiti politici che si susseguono al potere. L’incompetenza di chi detiene il potere politico diretto e la percezione della politica stessa come un terreno fertile per perseguire le proprie ambizioni carrieristiche, o semplicemente per riaffermare il proprio ego, e non come una sfera riservata a chi si impegna per il bene comune, fanno parte di questo trend (negativo) a cui assistiamo ormai da anni. Tuttavia, spetta anche ai cittadini assumersi le proprie responsabilità dato che durante le campagne elettorali continuano a non riconoscere i candidati incompetenti che ricorrono alla retorica ideologica per nascondere la propria incompetenza, guadagnandosi in questo modo diversi incarichi di responsabilità. Certo, bisogna essere sinceri e dire che non tutti i politici sono fatti così, ma la maggior parte, purtroppo, lo è. Infine, c’è da dire che neanche la società civile – nonostante rappresenti il motore di molti cambiamenti positivi, in grado di far spostare determinati temi dai margini al centro del dibattito pubblico – riesce sempre ad articolare i propri messaggi in modo da guadagnarsi attenzione e sostegno di ampi gruppi sociali”.
Dvornik invece sembra ormai rassegnato: “Anche se non fossimo entrati nell’Ue, oggi non avremmo avuto un governo né migliore né peggiore di quello attuale, semplicemente perché l’offerta elettorale, le modalità con cui si svolgono le elezioni, e tutto ciò che nella società croata tende a prestarsi alla politica non avrebbero consentito un esito migliore. E in più, l’attuale governo si trova ad affrontare le sfide che neanche i politici più competenti e responsabili saprebbero come risolvere – la persistenza degli effetti locali della crisi finanziaria globale, accompagnata dall’inadeguatezza del sistema che non consente un esercizio responsabile della politica. Il fatto più scoraggiante, tuttavia, è che l’opposizione non solo non riesce ad offrire una concezione migliore dell’agire politico, ma persino tende a regredire alle posizioni del nazionalismo tudjmaniano degli anni Novanta. L’attuale agenda politica – dalla quale restano assenti molte questioni fondamentali, come la qualità di vita, il contrasto alla povertà, il cambio di paradigma nel rapporto tra economia e ecologia, la responsabilità politica – rimane incentrata sul binomio partigiani/ustascia, e questo anche, o soprattutto, per colpa dell’opposizione”.
“Il problema fondamentale della nostra società”, sostiene il politologo Berto Šalaj, “non è circoscritto agli ultimi due anni, in quanto evidentemente più vecchio e complesso, e può essere sintetizzato come l’inesistenza di una cultura politica democratica e di valori che la caratterizzano, come la tolleranza, la promozione e protezione dei diritti umani, ecc. Questo fatto, però, non sarebbe tanto allarmante - soprattutto alla luce della relativamente breve tradizione democratica del nostro paese - se la classe politica fosse consapevole della necessità di stimolare lo sviluppo di tale cultura politica in quanto, a lungo termine, una precondizione necessaria per il funzionamento stabile ed efficace di un sistema politico democratico. Tristemente, la classe politica croata, sia gli esponenti di destra che quelli – e questo è un fatto che personalmente ritengo molto tragico e deprimente – che si dichiarano di sinistra, non solo resta inerte di fronte alla necessità di promuovere la cultura politica democratica, ma addirittura cerca di bloccare ogni iniziativa con la quale comunità accademica e società civile tentano di contribuire al miglioramento della situazione attuale. Il miglior indicatore di questo stato di cose è il fatto che la Croazia rimane uno dei pochi paesi democratici dove l’educazione civica, che dovrebbe rappresentare uno dei principali meccanismi di sviluppo della cultura politica democratica, non è sistematicamente implementata nel sistema di educazione formale”.
Come sottolinea Bosanac, in un simile ambiente non è facile trovare la forza né per una critica costruttiva né per ideare modelli innovativi nell’ambito sociale ed economico – una constatazione che emerge anche dall’ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica di Croazia pubblicato dalla Casa dei diritti umani di Zagabria – ma ciononostante bisogna persistere affinché all’atmosfera di ostilità ed intolleranza si sovrapponga il dialogo e si facciano reali passi avanti, e non meramente dichiarativi, soprattutto per le generazioni future. "Questo però richiederebbe, sul versante politico, l’esistenza di partiti più coraggiosi e meno opportunisti, capaci di percepire le riforme relative ad alcuni temi specifici, come ad esempio introduzione dell’ora di educazione civica nelle scuole, ideazione e attuazione delle politiche volte a favorire il confronto con il passato, ecc. come la cosa più normale nell’epoca in cui viviamo e non come fonte di discordia" spiega Bosanac, offrendoci infine una visione del futuro a cui aspirare: “La società che vorrei è una società che rispetta i diritti umani e rende possibile un’esistenza dignitosa a tutti i suoi cittadini. Finché non si raggiunge tale equilibrio, una profonda insoddisfazione continuerà a regnare tra la gente. Penso che, come società, non siamo ancora riusciti a trarre tutti i possibili benefici dall’appartenenza all’Ue, e qui mi riferisco ad una più stretta collaborazione con cittadini di altri paesi membri sulle questioni relative ai diritti umani e all’economia. Siamo ancora una società piuttosto isolata, immersa in conflitti interni. Per intenderci, non penso che abbiamo bisogno di una società priva di conflitti, ma mi piacerebbe vedere un approccio creativo alla loro risoluzione, un approccio che tende a trasformare ogni conflitto in una nuova opportunità di sviluppo e non in un ostacolo. Quel che manca, purtroppo, sono le competenze e capacità di chi riveste incarichi di responsabilità”.
Nemmeno la prognosi di Šalaj suscita più ottimismo: “Per quanto riguarda lo sviluppo della cultura politica democratica, in questo momento, purtroppo, non vedo la luce in fondo al tunnel. Temo che anche in questo ambito, come già accaduto in quello dello sviluppo economico, staremo ad assistere ad un’agonia senza fine”.
La posizione di Dvornik è altrettanto chiara. “Per esprimermi in termini astratti: la strada verso una politica migliore passa per il ripudio dell’esaltazione della comunità, patria e nazione come valori fondamentali, a favore di tutti i cittadini, della loro dignità e uguaglianza. La discriminazione e l’intolleranza si manifestano quando la comunità, quella nazionale, e la lealtà allo stato diventano criteri principali. Senza un netto distacco da questi concetti, è impossibile che avvenga una vera emancipazione, come ci mostra il tatticismo del SDP che dura ormai da 25 anni. Quindi, se si vogliono rivendicare i diritti dei lavoratori, occorre farlo nel nome dei lavoratori, e non in quello dei croati - che peraltro sono anche lavoratori. Oppure, se si vogliono dimostrare i valori dell’imprenditorialità, occorre farlo in modo da portare un reale beneficio alla società, e non lasciando che i grandi partiti continuino a scegliere chi andrà a guidare le principali imprese. È l’unica via per volgere al meglio la situazione, ivi compreso l’obbligo di non lasciare nessuno morire di fame e freddo. Nessuno, a prescindere dal suo essere croato/croata, serbo/serba, immigrato/immigrata o rom”.
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