Gli skinheads in Croazia si confondono con la destra radicale nazionalista e patriottarda. Sono dei disadattati, spesso figli maltrattati e giovani socialmente emarginati. Le collusioni con la polizia, le simpatie dei media e l'impreparazione della magistratura in questa inchiesta di Feral Tribune
Di Natasa Govedic, Feral Tribune, 24 marzo 2005 (tit. orig. "Pakleni potiljci")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Iniziamo da un recente fatto documentato dalla polizia: domenica 13 marzo 2005, cinque di mattina, stazione centrale di Zagabria. Una ragazza, M. G., è ferma sulla banchina e aspetta il treno. La stazione è deserta, la città dorme. Dal treno che sta arrivando proprio al vicino binario scende una coppia: uno skinhead pelato e vestito in modo riconoscibile, in compagnia di una ragazza. Lo skin dice brevemente qualcosa alla sua accompagnatrice, e poi corre verso la venticinquenne M. G. che sta aspettando il treno, la offende dicendole "puttana comunista", colpendola a pugni in faccia. M. G. cade a terra, il viso insanguinato. La ragazza dello skin, dall'altra parte del binario, guarda tranquillamente la scena. Non mostra nessun segno di inquietudine per la scena di cui è testimone. Dopo che M. G. è stata buttata per terra, il ragazzo pelato e la sua accompagnatrice continuano per la loro strada. Come se non fosse successo nulla. Perché, sotto il profilo politico, nel nostro Paese la violenza razzista non ha lo status di un fatto importante.
Se qualcuno vi picchia o vi ammazza perché siete Pachistano, Rom o punk, perché state camminando lentamente ad una parata gay o perché gli zigomi del vostro viso tradiscono il fatto che siete una Giapponese, o forse semplicemente perché non vi mostrate entusiasti verso le urla dei tifosi alla fine della manifestazioni sportive, lo Stato non mostrerà una particolare preoccupazione per le vostre ferite o la vostra morte.
Come dice Zoran Pusic ("Zarez", 7 novembre 2002): ciò che da noi è particolarmente preoccupante è il fatto che i fenomeni che accomunano gli skins e che sono caratterizzati dalla violenza politica, dal razzismo, dal sostenere l'intolleranza etnica, vengono considerati poco importanti. Il motivo per cui gli skins non sono un fenomeno marginale e per cui sono più pericolosi che in altri luoghi, è l'atmosfera che permea la società, laddove si cerca di presentare il loro vandalismo unito con il loro essere Croati più o meno come una giovanile smoderatezza. Sui media, specialmente in televisione, per anni è stata condotta una politica che relativizzava i movimenti estremisti e la promozione della violenza politica, mostrandoli come delle prese di posizione tollerabili. Non è raro che le trasmissioni televisive che parlano dell'estremismo politico mettano da un lato quelli che sostengono la pulizia etnica e difendono i crimini e dall'altro, come estremisti, le persone che si impegnano per la difesa dei diritti umani, per l'uguaglianza delle persone, per la punizione dei crimini di guerra. Se qualcuno nel parlamento può dire: "I Serbi non sono più un problema politico, ma un problema ecologico", non bisogna stupirsi che, in un villaggio sperduto, questo possa essere tradotto alla lettera. Alla fine, letteralmente, è stato detto.
Gli skins e la polizia
Gordana Vulama, portavoce del MUP (Ministero degli affari interni, ndt) di Zagabria, ha dichiarato al Feral che la polizia dispone di dati secondo i quali a Zagabria formalmente non opera un gruppo di skinheads, ma si considerano come loro "simpatizzanti" una cinquantina di ragazzi, privi di "una chiara piattaforma politica". Generalmente si tratta di minorenni in un'età compresa tra i sedici e i diciotto anni, fra i quali non esiste una gerarchia diretta, ma alla polizia è noto che i più crudeli fra di loro sono allo stesso tempo anche i "più rispettabili". Vulama dice che si ritrovano nei "quartieri", e sono collegati anche alla violenza delle tifoserie, ma "non ci sono dati su una loro più forte organizzazione politica ".
Se però prendessimo in considerazione quanto scrive lo Jutarnji List il 20 novembre 2000, quando le giornaliste Jasmina Trifunovic e Nina Peric - Midzor parlarono con "il portavoce" degli skins di Zagabria, che disse di "operare" già da dieci anni sotto il nome di Ante (in onore di Ante Starcevic), vedremmo che gli skins confessano in modo esplicito non solo l'ideologia di destra ma anche quella dell'ultradestra, nella quale, come dice Ante, "non dovrebbero esistere i diritti delle minoranze nazionali", così come "in Croazia non dovrebbero vivere gli stranieri, gli omosessuali, i pedofili, i Rom e i drogati".
In un testo del Vecernji List (11 marzo del 2003), gli skins di Zagabria hanno detto di considerare come loro nemici principali i Serbi, i comunisti, gli ebrei e i cittadini non bianchi della Croazia, mentre considerano "traditori" degli ideali degli skins, perché "non abbastanza nazionalisti", i partiti politici locali, come HSP o HDZ. La retorica con la quale gli skins si autopresentano o vengono presentati dalle redazioni dei media locali, d'altra parte inclini a trattare il linguaggio dell'odio come opinione "di rilievo" e con ciò a contribuire alla cultura dello sciovinismo pubblico, non è un segreto: gli skins dichiarano loro "avversari" letteralmente tutti quelli che non sono guerrieri eterosessuali per una Croazia etnicamente "pulita". Persino un ottantenne nonnino su un tram mezzo vuoto (cfr. Novi List, 1 ottobre 2004).
Se misuriamo gli skins secondo la concezione "della forza" fisica maschile definita in modo sciovinista, il cui segno si intravede anche nella convenzione del loro aspetto militare, vediamo che si tratta di una vanteria da semplici codardi: perché gli skins attaccano esclusivamente chi è più debole di loro. Non ci sono casi noti in cui si sono scontrati con avversari politicamente o fisicamente "forti", per esempio Milan Bandic o il gruppo dei karateka asiatici. Gli skins non colpiscono là dove c'è la possibilità che il potere pubblico o individuale faccia resistenza.
Ma allo stesso tempo non ci sono dubbi che gli skins croati abbiano anche una chiara piattaforma politica: a prescindere dai fatti storici sul principio della subcultura degli skins in Gran Bretagna, che alla fine degli anni sessanta si è plasmata grazie alla valorizzazione positiva della classe dei lavoratori e del suo pesante lavoro fisico, accompagnato da prese di posizioni puritane, ma anche da generali posizioni antifasciste e dall'alleanza con i punk e con altri movimenti di protesta, l'odierna "importazione" delle ideologie skinhead in Croazia abbraccia gli opposti valori dello spettro neonazista e xenofobico, vicino alla piattaforma del Ku-Klux-Klan. Tuttavia, la polizia in Croazia generalmente tratta le aggressioni degli skins con le classiche denunce penali e d'infrazione, e non come una forma di violenza razzista. Perché? Come ci ha detto Dubravka Vesel, direttrice del Reparto della polizia per l'estremismo violento e il terrorismo, per quanto riguarda il comportamento da adottare nei vari casi di violenza, gli operatori di questo Reparto non hanno alcuna formula o protocollo di domande, il cui scopo sarebbe controllare la motivazione razzista di alcuni crimini. Le cose sono rese "particolarmente più difficili" anche dal fatto che l'attacco verso i cittadini stranieri di solito è accompagnato da offese che i cittadini stranieri non possono indicare nella denuncia, perché "non hanno capito la lingua".
Contenimento e difesa
Oltre a ciò, la Vesel dice che, per quanto le è noto, i poliziotti del Reparto per l'estremismo violento non hanno mai stilato un programma speciale di educazione o corsi per riconoscere le violenze razziste e le loro retoriche, e ciò significa che fino ad oggi, di fatto, non sono qualificati per contenere la violenza razzista. La Procura della repubblica dovrebbe controllare la qualificazione dei crimini riscontrati dalla polizia e dovrebbe saper riconoscere se si tratta di razzismo oppure no. Persino quando la polizia evita di caratterizzare l'incidente come razzista, la Procura "quasi mai riqualifica le denunce della polizia", dice Vesel. Per Dubravka Vesel questa è anche la prova della giusta misura contro il crimine adottata dalla polizia, ma (sulla base della non efficacia delle misure legali per reprimere le violenze degli skinheads) è ugualmente legittimo supporre che nemmeno la Procura sia qualificata per misurarsi con la locale "supremazia bianca".
Adesso arriviamo anche al dato più affascinante sulla responsabilità sociale per la violenza dei gruppi sia di tifosi che di skinhead: fino ad ora non è mai stata adottata una misura del tribunale, ci dice Gordana Vulama, con la quale ai ribelli e violenti accertati in modo prolungato sia stato vietato l'ingresso sui campi sportivi o in qualsiasi altro modo sia stata impedita la ripetizione dei loro eccessi sciovinisti in ambienti pubblici. Le misure di punizione e di infrazioni che il tribunale determina nei confronti dei razzisti violenti non corrispondono al loro crimine: di regola non sono puniti per la violenza razzista e per l'odio, ma per "il disturbo dell'ordine e della quiete pubblica".
"I pulitori" etnici
E' interessante sapere che il sunnominato veterano degli skinheads Ante dice di percepire la polizia come un alleato nella "pulizia" della capitale, specialmente della Stazione centrale, dai cittadini "indesiderati". Visto che la polizia è "sempre sul luogo", in permanente pattugliamento, e da poco è anche iniziato il programma "Polizia nella comunità", la violenza razzista sui cittadini della Croazia continua a ripetersi: anzi, questo si verifica in località e circostanze altamente prevedibili. La polizia, invece, di regola opera con interventi di conseguenza, dunque dopo che la violenza si è manifestata, non investendo un particolare sforzo organizzativo per la sua prevenzione.
Nel caso della rottura di Mocvara da parte degli skinsheads, nel vandalismo nel netclub Mama o nella distruzione degli squat dei punk a Tresnjevka, la polizia ha avuto bisogno di alcune ore per arrivare sul luogo del delitto, attraverso lo stretto o largo centro di Zagabria. Dunque la polizia, in modo ripetitivo e "organizzato", è stata inefficace. A causa di tale "lentezza" nei paesi con una forte scena civile, come minimo il capo della polizia avrebbe perso il posto di lavoro e si sarebbe fatta un'inchiesta legale sulla responsabilità del Ministero degli affari interni, mentre nel nostro Paese le conseguenze risultano peggiori per la vittima: oggi a Zagabria sulla scena pubblica degli avvenimenti alternativi, i giovani non hanno alcuna fiducia nella polizia; in tutta una serie di casi non vengono denunciate le ripetute violenze degli skinheads durante l'ingresso ai concerti o davanti a quei luoghi che hanno la reputazione "di infangare" la croaticità definita in modo fascista.
Molti visitatori della Mocvara, per esempio, mi hanno detto di credere che la polizia e gli skins siano uniti da una sentita simpatia per i valori militaristi, e perciò non percepiscono la polizia come una reale difesa di TUTTI i cittadini, ma solo come un difensore di quei cittadini "capaci" e potenti. Secondo informazioni non ufficiali, tra le persone più rispettabili figurano anche i padri di alcuni campioni degli skinhead.
Birra al posto di prospettive
La polizia è incredibilmente lenta e quindi non è efficace quando si tratta di monitorare quelle località ritenute pericolose in un determinato periodo: gli skins saccheggiano più intensamente la città durante il week end, prima o dopo le partite (i loro legame con i BBB Bad Blue Boys, tifosi è ininterrotto), di solito si ritrovano intorno al chiosco che vende gli alcolici anche dopo la chiusura dei negozi. Il week end serve per ammazzare a buon mercato: prima la noia, e poi gli uomini. Il week end è il buco in cui si riversa l'alcool, la disoccupazione, l'ignoranza, l'esclusione sociale. Fra gli skins minorenni, come fra i seguaci dei BBB minorenni, il week end è la processione stradale dell'affascinante vandalismo: in base al livello di adrenalina che si raggiunge niente può essere paragonato con gli scontri provocati di proposito. Tranne, eventualmente, la guerra.
Riporto la dichiarazione dello skinhead Dido (Vecernji List, 11 marzo 2001): Siamo diventati skins perché eravamo troppo giovani per andare in guerra, e troppo vecchi per stare seduti a casa. Durante la guerra si è risvegliato il patriottismo, e lo abbiamo dovuto sfogare su qualcuno. A difesa degli skins bisogna dire che molti di loro sono cronicamente trascurati dalla famiglia oppure che sono figli maltrattati, spesso anche giovani che hanno abbandonato la scuola superiore (dunque non istruiti, e ancora meno professionalmente qualificati), e cercano di orientarsi sul mercato capitalistico che li degrada in molti modi. La loro ira, la loro impotenza sociale e di classe si trasformano in modo prevedibile nel linguaggio della violenza estrema, della quale non è responsabile soltanto un'istanza sociale, ma un'intera comunità.
E' sintomatica la dichiarazione del criminologo britannico John Munciej (2004): Sempre più giovani sviluppano il sentimento di essere stati traditi dalla società. Questi sentimenti portano facilmente al crimine e si trasformano in un terreno fertile su cui crescono tutti i tipi di estremismi politici. Credo di non esagerare quando dico che il comportamento "dei traditi" potenzialmente è distruttivo per la comunità sociale quanto un conflitto armato fra le nazioni in guerra. Alla Conferenza mondiale sulla lotta al razzismo (Durban, 2001) è stato concluso che non è sufficiente disporre di statuti che proteggano in modo dichiarato i diritti individuali dei cittadini dal comportamento violento dei ribelli: bisogna esigere dallo stato il finanziamento di una precisa definizione legale e di un monitoraggio della violenza razzista, come pure la pianificazione di sanzioni: con scadenze fisse e l'utilizzo internazionale dei risultati raggiunti. Si tratta dei cosiddetti "obblighi positivi" ai quali si attengono numerose istituzioni statali in tutta Europa, sorvegliate anche mediante il lavoro delle organizzazioni non governative (in particolare organizzazioni per i diritti umani), e il cui scopo è la creazione di una cultura dei media, di una cultura politica e di una cultura legislativa che in modo attivo infrangano gli stereotipi sciovinisti.
Il razzismo protetto
In altre parole, se venite picchiati alla Stazione centrale di Zagabria alle cinque di mattina, ciò non è accaduto né per caso né per "colpa" vostra. Ciò è accaduto perché il razzismo, da noi, a livello di diritto pubblico, dei media e dell'educazione non si distingue dal "patriottismo", e gli organi statali (specialmente la polizia, la magistratura e l'istruzione pubblica) stanno ancora letteralmente balbettando un dettagliato abecedario della violenza motivata dalla discriminazione razziale. L'ironia sociale è maggiore dal momento che l'odio, comprendendo la completa iconografia degli skinheads e la loro ideologia, risulta una merce di importazione più convertibile e ricercata (gli skins neonazisti di Zagabria sottolineano che il loro modello di comportamento e di pensiero è direttamente "preso" dal film australiano "Romper Stomper", trasmesso nella metà degli anni novanta dalla Televisione croata), di quanto lo siano gli standard internazionali dei diritti umani.
Una cosa, certamente, è comprensibile: la violenza è l'arcaico, onnipresente e radicato modello dei media, mentre la riattivazione dei criteri della tolleranza tra le razze, le classi, le etnie e i generi allo Stato costa molto lavoro, oltre che denaro. Ma, alla fine dei conti, la violenza è molto più cara quando priva in modo sistematico lo Stato della sicurezza locale, per non parlare del rispetto internazionale.
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