“Si stava meglio quando c’era la Jugoslavia”: è il commento principe nel paesino di Kumrovec, in Croazia, dove ogni anno si celebra la nascita di Josip Broz Tito
Motociclisti, famiglie, giovani coppie e, soprattutto, tanti anziani. Kumrovec ha accolto sabato scorso oltre 6mila persone - secondo le stime dell’agenzia croata Hina - venute a festeggiare il compleanno di Josip Broz “Tito” nel suo villaggio natale, al confine tra Croazia e Slovenia. È un evento che si ripete da decenni (da quando una statua del maresciallo è stata posta vicino alla sua casetta di famiglia nel 1948), ma celebrato ufficialmente per l'ultima volta trent’anni fa. Era il 1987 e Tito era già morto da sette anni. Qualche anno più tardi, con la fine della Jugoslavia, l’anniversario del 25 maggio è stato definitivamente archiviato e con lui anche il culto della personalità e la retorica del vecchio regime. Ciò che è rimasto, da allora, è un vago senso di rimpianto, una nostalgia per “i bei tempi” della giovinezza, vissuti in un paese più grande e più forte ed il cui leader era rispettato ed omaggiato (anche perché altrimenti non si poteva).
A Kumrovec, i seimila presenti ripetono dunque questo stesso messaggio, con poche variazioni: “La Jugoslavia non era perfetta, ma si stava meglio di oggi”. Che cosa era meglio? “I miei genitori avevano un lavoro sicuro, hanno potuto costruire una casa e si andava in vacanza ogni anno”, ricorda ad esempio Boris, venuto in moto dalla cittadina slovena di Ljutomer. “Ho 47 anni e mi ricordo bene quando ero un ‘giovane pioniere’ e a scuola si celebrava l’anniversario di Tito”, prosegue, assicurando che oggi parla spesso ai suoi due figli della Federazione socialista “perché è parte della nostra storia” e “perché la scuola non lo fa”.
Antun Nikolić, in piedi dietro al suo bancone di cimeli della Jugoslavia, ammette di essere venuto innanzitutto “per lavoro”. “Queste cose le posso vendere solo un giorno all’anno. Oggi, a Kumrovec”, spiega questo collezionista ed antiquario di Zagabria. Tra gli oggetti che propone ai passanti, figurano un vinile con i discorsi di Tito, diversi berretti da pioniere risalenti agli anni Cinquanta e ancora libri, fotografie, bandiere originali e materiale militare.
“C’è sempre molta gente all’anniversario del 25 maggio, ma il potere d’acquisto non è più quello di 5 o 10 anni fa”, prosegue Nikolić, che nei primi anni Duemila poteva incassare tra i 500 e i 1000 euro in una sola giornata a Kumrovec. Oggi, i visitatori provano i cappelli da pioniere, li rigirano tra le mani, ma spesso decidono di non spendere i 15 euro richiesti. “Ai tempi della Jugoslavia, non avevamo tanti centri commerciali, tante cose da comprare, però eravamo più ricchi. Ora, abbiamo accesso a tante cose, ma non possiamo permettercele”, si lamenta Antun Nikolić, che conclude, con ferma convinzione: “Chi conosce la storia e la politica della Jugoslavia, sa che si stava meglio prima”.
Poco lontano, ad uno dei tanti tavolini installati all’ombra degli ombrelli parasole, una giovane coppia di sloveni, ammette senza complessi di “soffrire di nostalgia”. “E’ vero che abbiamo pochi ricordi di quel periodo - dicono i due quarantenni - ma ci manca comunque”.
Jugonostalgia
Il fenomeno di Kumrovec rappresenta una realtà più grande, ritratta di recente in un sondaggio effettuato dalla Gallup e che può riassumersi così: a 30 anni di distanza dall’ultima celebrazione ufficiale del compleanno di Tito, la “jugonostalgia” è un sentimento diffuso.
Secondo lo studio della compagnia americana, basato su un campione di mille persone, l’81% dei serbi, il 77% dei bosniaci o ancora il 65% dei macedoni pensano che la fine della Jugoslavia abbia danneggiato il loro paese (in Slovenia e in Croazia, queste percentuali scendono però al 45% e al 23%).
La tragica fine della Jugoslavia, gli anni di guerra che ne sono seguiti ed il contesto economico difficile degli anni Duemila rendono piacevole il ricordo di Tito, ma non tutti cedono al rimpianto. Di fronte alla casa in cui è nato “il compagno” (come recita la targa sulla porta), Maja e Suzana aspettano di poter scattare una foto vicino alla statua del maresciallo. “Più che altro per ridere”, affermano divertite.
“I nostri mariti vengono da un paesino sloveno qui vicino, così passiamo a Kumrovec quasi ogni anno. È una bella scampagnata e c’è sempre tanta gente”, spiegano le due giovani donne. Non sono nostalgiche? “No, sappiamo cosa c’era dietro. Non dimentichiamo che Tito era comunque un dittatore”, avverte Maja, che aggiunge: “È comunque bello che tante persone vengano qui perché questa festa permette agli sloveni e ai croati che vivono a ridosso del confine di ritrovarsi. Altrimenti, non ci si frequenta proprio”.
Diventato un etno-villaggio con una trentina di case tradizionali risalenti a fine Ottocento e che presentano la cultura agricola ed artigianale della Croazia settentrionale, Kumrovec accoglie nel suo museo “Villaggio antico” (Staro Selo) circa 60mila persone ogni anno. E nella sola giornata di sabato, sono stati venduti oltre 1.800 biglietti, come annuncia la direttrice del museo Tatjana Brlek. “La casa di Tito non è l’unica cosa che i turisti vengono a vedere, ma è chiaro che tutti sanno che Kumrovec è il suo luogo natale”, spiega Brlek.
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