Janko Bobetko

Janko Bobetko è morto martedì nella sua casa di Zagabria. Simbolo della guerra di indipendenza croata, era ricercato per crimini di guerra dal Tribunale dell'Aja. Il governo non ne consentiva la estradizione per motivi di salute

30/04/2003 -  Andrea Rossini

La Procura del Tribunale Internazionale dell'Aja ne esigeva l'estradizione per crimini contro l'umanità e violazione delle leggi di guerra. Il governo croato era riuscito per mesi a dare alla Del Ponte assicurazioni sulla propria buona volontà di collaborare con il Tribunale, rimandando allo stesso tempo la consegna dell'imputato per motivi di salute. Martedì, il generale Bobetko ha liberato dall'imbarazzo il governo socialdemocratico, morendo a 84 anni nella sua casa di Zagabria. Secondo la agenzia di stampa croata Hina, la morte sarebbe intervenuta per collasso cardio-circolatorio.
Bobetko era nato il 10 gennaio del 1919 vicino a Sisak. Dopo che gli Ustascia avevano ammazzato suo padre e tre fratelli, nel 1941 aveva aderito al movimento antifascista, divenendo membro della Unità Partigiana di Sisak. Nel periodo yugoslavo aveva fatto parte dell'esercito federale, la JNA, diventando generale nel 1954. All'inizio degli anni '70 era stato spinto ai margini della vita pubblica per il sostegno espresso nei confronti delle rivendicazioni nazionali croate. Dopo la dichiarazione di indipendenza del 1991, era entrato nell'esercito croato. Nel novembre del 1992 Franjo Tudjman lo aveva nominato capo di stato maggiore. Dal 1995 al 1999 è stato deputato per l'HDZ al parlamento croato.
Per molti Croati rappresentava un simbolo eroico della recente guerra di indipendenza del paese. Nelle pagine del mandato di cattura spiccato contro di lui il 23 agosto del 2002 da parte della procura internazionale dell'Aja, tuttavia, si trova un ritratto non propriamente eroico.
I capi di imputazione a suo carico erano quelli di "persecuzione su basi politiche, razziali o religiose" (crimine contro l'umanità); "omicidio" (crimine contro l'umanità e violazione delle leggi e dei costumi di guerra); "saccheggio di proprietà pubbliche o private" (violazione delle leggi e dei costumi di guerra); "distruzione vandalica di città e villaggi" (violazione delle leggi e dei costumi di guerra).
I fatti imputatigli erano quelli relativi alla cosiddetta "sacca di Medak", un'area di circa cinque chilometri quadrati comprendente le località di Divoselo, Citluk, Pocitelj e numerosi altri piccoli insediamenti. La sacca di Medak si trovava all'interno della autoproclamata Repubblica Serba di Krajina, a sud di Gospic. Ci vivevano circa 400 civili Serbi.
Il 9 settembre del 1993 le forze dell'esercito croato guidate da Bobetko, Ademi e Norac iniziarono a bombardare l'area. Dopo due giorni di combattimenti, i Croati avevano assunto il controllo di Divoselo, Citluk e parte di Pocitelj. L'avanzata si era poi arrestata.
I negoziati successivi tra forze serbe e croate risultarono nell'accordo del 15 settembre, che sanciva il ripiegamento dei Croati. L'Unprofor assumeva il controllo della sacca di Medak. Nel corso della battaglia, erano stati uccisi circa 100 Serbi. Di questi, 29 erano civili, donne ed anziani, assassinati al di fuori dei combattimenti. Molti i gravemente feriti. 164 case e 148 fienili e capannoni erano stati bruciati o fatti esplodere nei giorni in cui le forze croate controllavano la zona.
Nel libro di memorie "Tutte le mie battaglie", Bobetko aveva definito l'operazione condotta nella sacca di Medak come "brillante".
Ieri, presso il Ministero della Difesa, si è tenuta una commemorazione funebre cui ha partecipato anche il primo ministro Ivica Racan, insieme al presidente del parlamento Zlatko Tomic e al ministro della Difesa Zeljka Antunovic. Il presidente Stjepan Mesic ha mandato in sua vece un inviato, Petar Stipetic.
Bobetko avrebbe chiesto come ultimo desiderio che Mirko Norac, condannato il 24 marzo scorso dal Tribunale di Rijeka a 12 anni per i crimini di guerra commessi a Gospic, potesse partecipare al suo funerale. Nel corso di una intervista, il premier Racan ha affermato che una decisione in tal senso spetta alla autorità giudiziaria e non al governo: "Mi auguro tuttavia che venga fatto il possibile, e che in simili circostanze non venga mantenuta una posizione troppo rigida."


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