È tra le mete preferite dai turisti e sembra prossima all'UE, ma l'atteggiamento della Croazia nei confronti del suo passato fascista desta preoccupazione. Un'analisi della scrittrice Slavenka Drakulić per il quotidiano inglese "The Guardian". Nostra traduzione
Di Slavenka Drakulić, The Guardian , 29 agosto 2008, (titolo orig. "Shadows in the sunshine")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Maria Elena Franco
La Croazia è "un piccolo paese per una grande vacanza", come reclamizza la pubblicità. Ma dietro al marketing e alle relazioni ottimistiche di milioni di turisti che trascorrono qui la loro "grande vacanza" ci sono notizie meno allegre, che gettano una spiacevole ombra sul piccolo paradiso turistico che si affaccia sull'Adriatico.
Quest'estate Dinko Šakić, l' 86enne ex comandante di Jasenovac, il noto campo di concentramento della Seconda guerra mondiale, è stato sepolto in uniforme ustaša, l'equivalente croato dei nazisti. Dopo la guerra Šakić emigrò in Argentina, ma ritornò in Croazia nel 1991, dopo l'indipendenza. Venne accolto come una celebrità. Nelle sue interviste Šakić ha ribadito che non si pente di nulla. Ciò di cui si sarebbe dovuto pentire è che le decine di migliaia di detenuti di Jasenovac furono uccisi sotto il suo comando. Egli procedette personalmente all'esecuzione di due prigionieri ebrei. Il governo di Franjo Tuđman non sembrava voler condurre Šakić davanti ad un tribunale fino a quando Israele non si dimostrò perfettamente favorevole a processarlo. Così, nel 1998, Šakić venne condannato ad una pena massima di 20 anni.
Al suo funerale un prete domenicano, Vjakoslav Lasić, nella sua omelia ha consigliato ai croati di ammirare Šakić prendendolo come esempio.
Efraim Zuroff del Centro Simon Wiesenthal ha espresso le sue proteste al presidente Stjepan Mesić. Così lo scandalo ha avuto fine.
Poi, alcune settimane fa, Zvonko Busić, un 62enne croato che ha scontato 32 anni di prigione negli Stati Uniti per terrorismo, è stato accolto all'aeroporto di Zagabria da sostenitori ustaša con il tradizionale saluto fascista. Nel 1976 Busić dirottò un volo passeggeri TWA da New York diretto a Chicago, per lanciare dei volantini riguardanti la discriminazione dei croati in Jugoslavia. Contemporaneamente, una bomba messa da Busić alla stazione centrale di New York esplose, causando la morte di un poliziotto e ferendo tre persone. In Croazia, però, è considerato un eroe e un martire "per la loro causa"; le vittime, solo una sfortuna. È stato comparato a Begin, Arafat, Mandela, Che Guevara e Tito.
Come se ciò non bastasse, il paese è stato poi diviso dal cantante pop Marko Perković Thompson, il cui pubblico, che indossa magliette con simboli ustaša, alza abitualmente le mani con il saluto fascista - qualcuno gridando "A morte i serbi". I suoi concerti, che inneggiano all'odio nazionalista (proibito per legge) dovrebbero essere banditi oppure no? Recentemente il presidente Mesić non ha partecipato ad un torneo di tennis perché Thompson doveva suonare nella stessa città. Ad ogni modo, il Comitato di Helsinki - per i diritti umani! - ha difeso il diritto del cantante a tenere i suoi concerti. I sindaci delle città croate sono divisi: per alcuni di loro Thompson è un patriota; per altri è un promotore di valori fascisti.
Interessante che il comune denominatore di questi tre non sia solo la riabilitazione dell'ideologia fascista, ma anche l'apparente mancanza di volontà da parte delle istituzioni legali, quali la polizia e l'ufficio del procuratore, ad agire nei loro confronti. Ma come potrebbero, se ai concerti di Thompson presenziano perfino alcuni ministri?
Il dilemma che si pone, inasprire o meno la legge, è assurdo. Se l'antifascismo è affermato nella costituzione del nuovo stato croato, se la legge vieta l'incitazione dell'odio nazionale, religioso e razziale, allora dov'è il problema? Il problema è l'atteggiamento croato verso il suo passato. Documenti e dichiarazioni sono una cosa, ma la realtà è un'altra. In verità, prima dei suoi 17 anni di indipendenza, la Croazia fu solamente una volta uno stato indipendente: tra il 1941 e il 1945, quando era governato da un governo fantoccio nazista.
Questa è la storia su cui è ricaduta la Croazia di Franjo Tuđman, e gli stessi sentimenti continuano ad essere presenti. A dispetto dei discorsi politici che denunciano episodici revival di questa infame eredità, l'atteggiamento generale qui è che coloro che combattono per la "causa nazionale" non possono, per definizione, essere criminali. Ciò che conta non è il crimine, ma l'intenzione che ci sta dietro. Questa è la stessa logica che trasforma i criminali delle guerre nei Balcani, come ad esempio Mirko Norac, in eroi.
I politici croati, in particolare il primo ministro Ivo Sanader, promuovono a gran voce i valori europei e dichiarano il loro impegno per entrare nell'Unione Europea. Mentre tali comportamenti anti-europei crimini di guerra, terrorismo e fascismo, che potrebbero essere vietati per legge, in pratica sono tollerati e perfino alimentati. L'Ue ha bisogno di questa Croazia - un paese che sta mostrando al mondo la sua bella versione estiva, ma che tiene nascosti alcuni valori discutibili?
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