Il recente tentativo del presidente serbo Aleksandar Vučić di recarsi a Jasenovac in "visita privata" e il prevedibile rifiuto da parte delle autorità croate hanno inasprito le relazioni fra i due paesi. La cronaca degli eventi e i commenti degli accademici
(Originariamente pubblicato da Novosti , il 21 luglio 2022)
La storia si è ripetuta talmente tante volte che possiamo già segnare sul calendario un promemoria per l’estate 2023: inasprimento delle relazioni tra Croazia e Serbia. Solitamente è l’operazione Oluja [Tempesta] a provocare l’acuirsi delle tensioni tra i due paesi, un’operazione che, da un lato del confine, viene ricordata come la più importante azione militare con cui la Croazia aveva ripreso il controllo del proprio territorio, e dall’altro lato del confine come il triste anniversario del giorno in cui 250mila serbi furono cacciati dalle terre che abitavano da secoli.
Di tanto in tanto la routine di uno scenario che si ripete ogni kolovoz o avgust [due termini, croato e serbo, per indicare il mese di agosto, ndt.], lo si chiami come si preferisce, ormai da quasi trent’anni viene scossa da altri anniversari ed eventi di una certa rilevanza. Quest’anno, ad esempio, il tentativo, poi andato a vuoto , del presidente serbo Aleksandar Vučić di recarsi a Jasenovac ha fatto sorgere la domanda: quante volte, in che modo e a quale scopo Vučić ha cercato (inutilmente), nel corso dell’ultimo anno, di entrare in Croazia e rendere omaggio alle vittime del regime ustascia? Una domanda che ben presto è diventata il tema politico più scottante di quest’estate.
La risposta esatta, secondo Vučić, è: tre volte – la prima volta a settembre dell’anno scorso, la seconda a marzo di quest’anno e la terza due settimane fa. Il premier croato Andrej Plenković ha invece fornito una riposta diversa, sostenendo che Vučić abbia cercato di recarsi a Jasenovac due volte: all’inizio di quest’anno e a metà luglio. C’è anche una terza risposta, offerta da una fonte anonima del governo croato – che quotidianamente forniva informazioni al quotidiano Jutarnji list in merito alle richieste di Vučić – secondo cui nel corso dell’ultimo anno il presidente serbo avrebbe espresso il desiderio di vistare Jasenovac solo una volta, venerdì 15 luglio.
Ad ogni modo, tutti i tentativi di Vučić di recarsi a Jasenovac sono andati a vuoto, per vari motivi: la prima volta non era il momento giusto a causa di alcuni problemi interni alla Croazia e la seconda volta a causa dell’arresto di Darko Horvat [ex ministro croato dell’Edilizia] e della morte del padre di Andrej Plenković, mentre il tentativo più recente di Vučić di visitare Jasenovac è stato definito dal governo croato come un tentativo di “provocare il caos in Croazia” alla vigilia dell’anniversario dell’operazione Oluja e di bypassare le procedure formali per far sembrare un gesto politico come “una visita privata”.
A riportare per primo la notizia sull’intenzione del presidente serbo di recarsi domenica 17 luglio nel complesso memoriale di Donja Gradina, sul lato bosniaco del fiume Sava, dedicato alle vittime di Jasenovac, per poi visitare Jasenovac e Pakrac, è stato il quotidiano zagabrese Jutarnji list. Così abbiamo saputo che Vučić ha rivelato a Milorad Pupovac, leader del Partito democratico indipendente serbo (SDSS), la sua intenzione di compiere una visita privata a Jasenovac per deporre una corona di fiori ai piedi del monumento di Bogdan Bogdanović. Vučić ha anche detto a Pupovac che, se voleva, poteva accompagnarlo e che, se lo riteneva necessario, poteva anche informare il governo croato della vicenda.
Il governo di Zagabria si è detto “sconcertato“ dalla mossa di Vučić, tanto che il ministro degli Esteri croato Gordan Grlić Radman ha definito il comportamento del presidente serbo “inaccettabile“, “malevolo“ e “ipocrita“, aggiungendo che, a differenza della Croazia, la Serbia non ha ancora fatto i conti con il passato.
Essendo stato più volte tirato in ballo, domenica 17 luglio Milorad Pupovac ha convocato una conferenza stampa , spiegando che nell’ultimo anno già due volte aveva svolto il ruolo di mediatore tra l’esecutivo croato e Vučić e che entrambi i tentativi di organizzare, seguendo le procedure formali, una visita del presidente serbo a Jasenovac erano falliti, così come è fallito anche il terzo tentativo, ed è un problema, secondo Pupovac, che ostacola le buone relazioni tra Belgrado e Zagabria.
Il giorno dopo, lunedì 18 luglio, si sono fatti sentire anche i leader dei due paesi. Nel corso di una conferenza stampa Vučić ha spiegato in modo dettagliato i suoi tentativi di diventare il primo presidente serbo a recarsi a Jasenovac, accusando l’esecutivo croato di avergli impedito, per ben tre volte, di visitare Jasenovac perché – come ha sottolineato Vučić – la leadership di Zagabria evidentemente ritiene che non sia mai il momento giusto per una visita del presidente serbo al più grande campo di annientamento del popolo serbo. Vučić ha poi spiegato brevemente quando e a chi si è rivolto per chiedere di organizzare una visita a Jasenovac. “Il 2 settembre 2021, quindi un mese dopo l’anniversario dell’operazione Oluja, abbiamo contattato per la prima volta il gabinetto di Plenković chiedendo di poter visitare Jasenovac in data 10 settembre. Il 4 settembre abbiamo ricevuto la risposta [del governo croato] che ci chiedeva di posticipare la visita a causa dei loro problemi interni. Abbiamo accettato, decidendo anche di non rendere pubblica l’intera vicenda. Ma non finisce qui. Il primo marzo 2022 abbiamo reiterato la richiesta, chiedendo se io potessi visitare Jasenovac il 5 settembre. Due giorni dopo ci è stato comunicato, ancora una volta, che una mia visita a Jasenovac non sarebbe stata gradita. Anche quella volta non ci siamo lamentati con nessuno, mantenendo un atteggiamento corretto nei confronti dei nostri vicini. Così siamo arrivati al terzo tentativo: ho contattato Pupovac, mettendolo al corrente della mia intenzione di visitare Jasenovac e dicendogli che, se voleva, poteva informarne il gabinetto Plenković. Quindi, non sono mai stati tenuti all’oscuro delle mie intenzioni, né in questi giorni né a marzo, né tanto meno a settembre dell’anno scorso“.
Mentre la conferenza stampa di Vučić era ancora in corso, si è fatto sentire anche il premier croato Andrej Plenković, affermando che il governo di Zagabria ha inviato un messaggio a Vučić spiegandogli che non era il momento giusto per una visita di questo tipo, che peraltro doveva essere formalmente annunciata, anche perché inevitabilmente avrebbe comportato conseguenze politiche. Plenković ha poi precisato che quando arriverà il momento giusto per organizzare una visita di Vučić a Jasenovac, se ne potrà discutere. “Quando giungerà il momento, la visita avrà luogo. La strategia del fatto compiuto non è apprezzata da nessuno, nemmeno dalla Croazia. Riteniamo che in questo momento tale visita sia inopportuna. L’importante è dimostrare il rispetto reciproco nelle relazioni bilaterali, senza dimenticare che siamo due stati. Gli stati comunicano tra loro allo stesso modo in cui comunicano le persone“, ha affermato Plenković, sottolineando che ogni leader politico che intende recarsi in Croazia deve annunciare la visita. Il premier croato ha infine precisato che la questione della visita di Vučić a Jasenovac verrà nuovamente affrontata solo “quando si placheranno gli animi“. “Aspettiamo che la bufera si plachi, e poi quando sarà instaurato un dialogo costruttivo, ne riparleremo“, ha concluso Plenković.
Nel frattempo sulla questione sono intervenuti sia quelli che hanno veramente qualcosa da dire sia quelli che cercano solo di provocare un ulteriore inasprimento delle relazioni, già pessime, tra Croazia e Serbia, un inasprimento che i nazionalisti, da entrambi i lati del confine, sfruttano per soddisfare i propri interessi e di solito a pagarne le spese sono le minoranze nazionali.
Un altro aspetto importante della vicenda riguarda la recente caduta di un aereo ucraino che trasportava dalla Serbia in Bangladesh un carico di 11,5 tonnellate di armi. L’incidente ha fatto sorgere speculazioni sul fatto che la Serbia stia vendendo armi in sordina all’Ucraina.
Allora cos’è accaduto veramente?
Đorđe Pavićević, professore presso la Facoltà di Scienze politiche di Belgrado, spiega a Novosti che Vučić “solitamente crea situazioni simili per saggiare fin dove può arrivare, oltrepassa i suoi poteri, e se riesce a cavarsela, si sente incoraggiato a continuare a comportarsi in questo modo“.
“In questo caso specifico, credo ci siano vari motivi che hanno spinto Vučić ha comportarsi così, innanzitutto l’attuale situazione della Serbia sul piano internazionale. Quindi, Vučić con tutta probabilità sta cercando di distogliere l’attenzione dai problemi legati alla politica estera della Serbia. Penso soprattutto alla polemica sull’introduzione delle sanzioni contro Mosca e più in generale alle relazioni bilaterali tra Russia e Serbia, al fatto che Russia Today sta aprendo una sede a Belgrado, e poi alla vicenda dell’aereo caduto, una vicenda ancora avvolta nel mistero, perché non sappiamo con esattezza se e di che tipo di traffico di armi si sia trattato. In questo contesto [alla leadership serba] giova la narrazione secondo cui i croati maltratterebbero il presidente serbo e ostacolerebbero le buone relazioni tra i due paesi“, spiega il professor Pavićević.
Pavićević ritiene che sia “impossibile che Vučić non sapesse che la Croazia con tutta probabilità avrebbe reagito in quel modo“, aggiungendo che “questo incidente insensato, e in realtà insignificante, probabilmente giova sia a Vučić sia a Plenković“. Anche alcuni media croati, conclude il professor Pavićević, si sono lasciati andare all’isteria.
E l’isteria collettiva è stata ulteriormente alimentata da alcune organizzazioni. L’associazione dei veterani di guerra croati “Hvidra” ha definito il tentativo di Vučić di recarsi a Jasenovac una provocazione serba senza precedenti, chiedendo che a Vučić – che i veterani croati chiamano “il piccolo Milošević” – venga impedito di entrare in Croazia . I veterani sostengono inoltre che Pupovac, che ha fornito un appoggio “vergognoso” al presidente serbo, non sia altro che un “portavoce” di Vučić e “una serpe in seno alla Croazia”. L’Associazione dei fondatori dell’Unione democratica croata ritiene invece che i tentativi di trattare la Croazia come un paese non sovrano siano inopportuni e inaccettabili.
Il premier Plenković ha replicato alle critiche della destra croata affermando: “Per quanto riguarda Pupovac, è vero che collaboriamo e in molti hanno già criticato il governo, stigmatizzando anche me stesso, per la decisione di collaborare con la minoranza serba. Ciononostante, siamo riusciti a ottenere la fiducia non una, ma due volte. Questa politica non ha alternative. In Croazia ci sono delle minoranze che, politicamente parlando, fanno parte del popolo croato. Questo ci permette di rafforzare la posizione dei croati all’estero”.
Quanto alle reazioni della Serbia, il ministro dell’Interno Aleksandar Vulin ha definito il governo croato “ustascia”, ed è stato subito denunciato dalla coalizione delle forze di opposizione “Zajedno za Vojvodinu” [Insieme per la Vojvodina] di cui fa parte anche l’Unione democratica dei croati della Vojvodina (DSHV). La ministra delle Miniere e dell’Energia Zorana Mihajlović ha cancellato la visita ufficiale a Zagabria, mentre la premier Ana Brnabić ha paragonato l’intera vicenda con un’ipotetica situazione in cui al presidente israeliano sarebbe impedito di visitare Auschwitz. Infine c’è stato uno scambio di note di protesta tra Belgrado e Zagabria.
Tutto questo è accaduto pochi giorni dopo un incontro tra Vučić e Tomislav Žigmanov, leader del DSHV, nel corso del quale Žigmanov si è detto disposto ad entrare nel nuovo governo serbo. Solo successivamente il leader dei serbi della Vojvodina ha messo in guardia sul fatto che l’ultimo inasprimento delle relazioni tra Croazia e Serbia, legato al tentativo di Vučić di recarsi a Jasenovac, potrebbe portare ad un drammatico aumento di sentimenti anticroati in Serbia, nonostante la minoranza croata non abbia contribuito in alcun modo all’acuirsi delle tensioni tra i due paesi.
“Il DSHV non si lascerà coinvolgere in questa nuova ondata di inasprimento delle relazioni tra Croazia e Serbia, anzi ci opporremo in modo chiaro e inequivocabile a tali tentativi”, ha dichiarato Žigmanov.
La mossa di Vučić è stata criticata dallo storico tedesco Alexander Korb , esperto della storia dello Stato indipendente di Croazia (NDH), secondo il quale si tratterebbe di “una provocazione ben calcolata”. In un’intervista rilasciata alla Deutsche Welle Korb ha dichiarato che “si tratta di un gioco politico avviato dal governo serbo, un gioco in cui anche il governo croato non si è comportato nel migliore dei modi”. Korb ha poi spiegato che “l’esecutivo croato poteva immaginare che vietare a Vučić di entrare in Croazia sarebbe stata una mossa controproducente. Penso che avrebbero dovuto ragionare a mente fredda, inviare una nota di protesta [a Belgrado] e poi permettere a Vučić di visitare Jasenovac e rendere omaggio alle vittime, anche a costo di violare le regole della politica internazionale. Il memoriale di Jasenovac non appartiene al governo croato. Occorre sottolineare che a Vučić non solo è stato impedito di recarsi a Jasenovac, ma anche di entrare sul territorio della Repubblica di Croazia, una piccola precisazione, ma non insignificante. Quindi, c’era da aspettarsi che i giornali aprissero con titoli critici [nei confronti del governo croato] del tipo ‘La Croazia impedisce a Vučić di recarsi a Jasenovac’, critici perché Vučić è presidente della Serbia e il popolo serbo fu la prima vittima, in termini numerici, di Jasenovac“. Lo storico tedesco ha infine criticato la Croazia per “lo scarso impegno nel mantenere viva la memoria in modo dignitoso e rendere possibile uno studio sistematico della storia“, una mancanza di impegno testimoniata anche dalle condizioni in cui versa il complesso memoriale di Jasenovac.
Interpellato dai giornalisti di Novosti, lo storico Tvrtko Jakovina, docente presso la Facoltà di Filosofia di Zagabria, spiega che la vicenda della visita di Vučić non ha portato alcuna novità, è una storia che si ripete ormai da quarant’anni, precisando che si tratta innanzitutto di una questione politica, una questione che dovrebbe essere affrontata dai partner di coalizione dell’HDZ, ma anche dal Partito popolare europeo a cui appartengono sia il partito di Plenković sia quello di Vučić.
“Possiamo discutere delle procedure diplomatiche, ammettendo ci sia qualcuno che lo ritene importante, possiamo discutere anche della comunicazione – che, pur essendo rimasta lontana dai riflettori, per non dire segreta, c’è sempre stata ed evidentemente c’è ancora – tra i vertici croati e serbi. Ma per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti di Jasenovac e la pietà per le vittime, non possono che ripetere quello che ormai da quarant’anni scrivono i media contrari al nazionalismo. Ecco, ad esempio, all’inizio degli anni Novanta, Milovan Đilas si oppose a Matija Bećković nel corso di una polemica sui tentativi di manipolare il numero delle vittime di Jasenovac. Reagendo all’affermazione di Bećković, secondo cui il numero delle vittime veniva volutamente minimizzato, Đilas chiese polemicamente: ’Non pensa che anche il tentativo di gonfiare le cifre, parlando di 700mila vittime, sia una manipolazione dei numeri?’. Parliamo dell’anno 1990. Oggi quasi gli stessi attori politici continuano a discutere della stessa questione, immagino non per caso. Se invece dovesse rivelarsi una discussione casuale, allora siamo di fronte a politici, e di conseguenza a popoli, immaturi. Ormai da decenni siamo fermi, non riusciamo a fare nemmeno un passo in avanti. Anche molti animali sarebbero già riusciti a cambiare, persino le piante sarebbero cambiate. Il problema è che evidentemente c’è qualcuno che vuole che la situazione rimanga com’è. Sono ormai trent’anni che non riusciamo a sistemare il museo di Jasenovac, a portarvi le scuole, a vietare il saluto ustascia... Lo stesso vale per la Serbia. Parlano dell’uccisione di un milione di serbi e non sono capaci di costruire un museo per rendere omaggio alle vittime. Tutto uguale“, conclude Jakovina.
Vesna Teršelič, direttrice di "Documenta – Centro per il confronto con il passato ", si dice dispiaciuta per il fatto che, a causa delle pessime relazioni bilaterali tra Belgrado e Zagabria, non si sia riusciti ad organizzare la visita dei rappresentanti della Serbia al memoriale di Jasenovac con calma e dignità, esprimendo pietà per le vittime.
“In un clima molto teso, caratterizzato dall’inasprimento delle relazioni tra i paesi della regione e dalla costante politicizzazione delle vittime, la visita del presidente serbo [a Jasenovac] non può in alcun modo essere considerata una visita privata. Parliamo di una visita che deve essere attentamente pianificata. Evidentemente non c’è l'effettiva volontà di trovare un accordo per via diplomatica, come del resto non c’è la volontà di affrontare altre questioni delicate, come la necessità di fare chiarezza sulla sorte delle persone scomparse [nelle guerre degli anni Novanta, ndt.] e di processare i criminali di guerra”, spiega Vesna Teršelič.
Ai politici importa ben poco delle vittime, ma sono molto bravi a litigare tra loro. L’anniversario dell’operazione Oluja si sta avvicinando, poi arriverà l’autunno e in autunno – per citare quella famosa fonte anonima del governo croato – a Vučić dovrebbe finalmente essere consentito di entrare in Croazia. Quanti temi di cui scrivere!
Per approfondire
Jasenovac è stato tra il 1941 e il 1945 il più grande campo di concentramento in ex Jugoslavia. Jasenovac rimane una pagina nera della storia del XX secolo tutt'oggi oggetto di strumentalizzazioni e controversie politiche.
Ne abbiamo parlato in maniera approfondita alcuni anni fa, nell'ambito di in un progetto europeo.
Si vedano un estratto dal documentario di OBCT "Il Cerchio del ricordo" (2007) a firma di Andrea Oskari Rossini e il Dossier "I memoriali della II Guerra Mondiale nella ex Jugoslavia ".
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