La Croazia è scossa dalle proteste di piazza. Manifestano i giovani che si organizzano tramite Facebook e manifestano anche i veterani di guerra. I primi chiedono le dimissioni del governo di Jadranka Kosor, i secondi che si mantenga “la dignità della guerra patriottica”
“HDZ ladra, avete derubato la Croazia” e “Jaco, vattene”, slogan che ormai da giorni echeggiano per le vie e le piazze di Zagabria, dove migliaia di persone, perlopiù giovani dimostranti organizzati attraverso Facebook, chiedono sempre più energicamente che la premier Jadranka Kosor e la sua Unione democratica croata (HDZ) lascino il potere.
Da Zagabria, le proteste di piazza si sono progressivamente trasferite, anche se con un minor numero di partecipanti, in altre città croate: Split, Rijeka, Osijek... I manifestanti non cedono, anzi, sono sempre di più. Sinora non si sono verificati incidenti di rilievo, a parte sabato scorso a Zagabria, dove vi sono stati dei feriti sia tra i dimostranti che tra la polizia. Gli scontri hanno avuto avvio nel momento in cui i manifestanti hanno deciso di raggiungere piazza Sveti Marko, sede del governo e del parlamento croato, luogo in cui è vietato per leggere tenere manifestazioni.
Le proteste dei veterani
Gli analisti concordano nel sottolineare come, dopo una settimana di proteste di piazza a Zagabria, una cosa è chiara: il totale disorientamento dei manifestanti. Sabato scorso infatti, in una delle piazze principali di Zagabria, manifestavano anche diecimila veterani di guerra. Ovviamente rigorosamente separati dai manifestanti precedentemente citati. La loro richiesta è che si fermi ciò che hanno definito “persecuzione dei difensori croati della patria” e che si conservi “la dignità della guerra patriottica”. Il motivo che li ha spinti in piazza è stato l’arresto in Bosnia Erzegovina di uno dei difensori di Vukovar, Tihomir Purda, sulla base di un mandato d'arresto serbo per crimini di guerra. Purda comunque nel frattempo è stato rilasciato perché la Serbia ha rinunciato al procedimento giudiziario.
I veterani di guerra accusano il governo di tradire gli interessi nazionali e si oppongono alla normalizzazione delle relazioni con la Serbia. I veterani hanno chiesto inoltre l’abrogazione della legge grazie alla quale sono stati amnistiati i serbi di Croazia per la rivolta armata del 1992. Ma a dire il vero si sono sentite anche proteste contro l’ingresso del Paese nell’Unione europea.
Le proteste dei giovani
Nel frattempo l’altra manifestazione, quella partita dalle pagine di Facebook, chiedeva le dimissioni del governo accusato di ruberie, corruzione, di non aver fatto nulla per evitare l’esercito di disoccupati che ha raggiunto quota 335mila, le difficili condizioni economiche e il drammatico calo degli standard di vita. Anche loro, come i veterani, hanno comunque incendiato la bandiera dell’Unione europea, così come quella del maggior partito di opposizione, SDP. Tutto ciò indica che le proteste, perlomeno in questa fase, sono ancora poco articolate e soprattutto che ai manifestanti non è ancora chiaro dove vogliono arrivare. Ma ciò non significa che la cosa non si chiarisca prossimamente.
La premier Kosor per ora ha ignorato le manifestazioni, alle domande dei giornalisti non ha risposto e non ha nemmeno preso in considerazione la richiesta dell’opposizione di riferire in Parlamento cosa stia succedendo nel Paese. La Kosor, evidentemente, considera le proteste ancora non sufficientemente massicce per poter scuotere il governo e costringerla alle dimissioni. La premier spera, secondo alcuni analisti, che la rivolta si attenui e che il suo governo duri fino alla fine del mandato. Le elezioni in Croazia è probabile vengano indette entro la fine dell’anno, anche se per legge l’attuale governo potrebbe rimanere in carica sino al marzo 2012. I manifestanti però chiedono che il governo se ne vada subito. Mercoledì sera, per la seconda volta in una settimana, lo hanno urlato insistentemente sotto le finestre dell’edificio dove abita la premier Kosor.
Il sostegno di due parlamentari
Proprio mercoledì 2 marzo, i manifestanti hanno ottenuto il sostegno di due membri del parlamento, anch’essi scesi in piazza. Insieme con circa cinquemila giovani hanno manifestato i deputati Dragutin Lesar, capo del neonato Partito laburista, e Damir Kajin, membro della Dieta democratica istriana (IDS). Questi sono per ora gli unici parlamentari che hanno appoggiato le proteste, fatto che ha dato una nuova dimensione alla rivolta, che ora potrebbe articolare in modo più chiaro i propri obiettivi politici.
Tuttavia, il problema è che l’opposizione per ora non ha avanzato una chiara e netta richiesta di elezioni anticipate. A dire il vero lo ha fatto, ma molto timidamente, lasciando l’impressione di non essere interessata ad assumersi responsabilità. Consapevole forse delle condizioni in cui versa il Paese e dei pesanti tagli che dovrà fare se dovesse andare al governo, sembra intenzionata a mantenere la posizione attuale.
Secondo la maggior parte degli analisti politici, sarebbe meglio per la Croazia andare ad elezioni anticipate, perché il governo in carica è ormai delegittimato da sette anni di potere dell'HDZ caratterizzati da gravissimi fatti di corruzione, ma anche perché non sembra aver alcuna idea su come far uscire il Paese dalla profonda crisi in cui versa. Anche se la premier Kosor, quando un anno e mezzo fa prese il posto di Ivo Sanader, dopo le dimissioni a sorpresa di quest’ultimo, aveva creato le condizioni per far sì che non ci sarebbero più stati intoccabili davanti alla legge (Ivo Sanader per ora si è salvato dal processo per furto allo Stato solo perché è temporaneamente fuggito in Austria, dove si trova in carcere in attesa di estradizione da due mesi e mezzo), alla fine non è riuscita a fermare il rapido peggioramento delle condizioni economiche. E l’unica possibilità per far sì che lo Stato funzioni in qualche modo è individuata in un ulteriore indebitamento con l’estero. Debito che già ora ha raggiunto la paurosa cifra di 44 miliardi di euro.
Prima delle proteste di piazza il governo di Jadranka Kosor non sembrava pronto a prendere decisioni dolorose senza le quali sembra impossibile uscire dalla crisi economica. Ora lo è ancor meno.
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