Hvar, Faro di San Giorgio (foto F. Fiori)

Hvar, Faro di San Giorgio (foto F. Fiori)

"A Lesina sono arrivato la prima volta tanti anni fa a vela, andando d’isola in isola, in un insuleidoscopico viaggio delle meraviglie, dove ogni giorno era il vento a decidere la nostra rotta": così Fabio Fiori racconta il suo primo incontro con l'isola croata

20/05/2024 -  Fabio Fiori

Hvar per i croati, Lesina per i veneziani, Pharos per gli antichi greci, perché colonizzata dagli abitanti dell’isola di Paros. Per tutti, ieri come oggi, un’isola delle meraviglie, lunga e affilata come un coltello. Perché lunga quasi settanta chilometri e larga non più di dieci. Perché affilata, cioè tagliente e seducente, innanzitutto d’odori indimenticabili, di colori abbacinanti. Odori di rosmarino e lavanda, colori di mare e macchia.

Mazzo di lavanda benaugurale (foto F. Fiori)

Mazzo di lavanda benaugurale (foto F. Fiori)

A Lesina sono arrivato la prima volta tanti anni fa a vela, andando d’isola in isola, in un insuleidoscopico viaggio delle meraviglie, dove ogni giorno era il vento a decidere la nostra rotta. Noi ragazzi ebbri di luce e storie, di onde e incontri. La luce del tramonto filtrata dalle Pakleni e la loro storia, quando ancora si chiamavano Spalmadori. Le onde nervose del canale di Lesina, quando nel pomeriggio rinforza il Maestrale, e l’incontro con un kayakista polacco che andava felice e randagio di baia in baia.

A Lesina sono tornato di recente, con un piccolo, sbuffante, romantico traghetto Jadrolinija, in un approdo secondario, meno affollato, perciò più seducente. Sućuraj, San Giorgio, il piccolo e più orientale dei porti dell’isola, collegato a Drvenik, paese sulla Državna cesta D8, più nota come Jadranska Magistrala, une delle strade costiere più belle d’Europa.

Così la D116, che corre sull’isola da est a ovest, la si può considerare una sua variante, ancor più spettacolare, soprattutto se la si pedala o la si cammina. La D116 è la spina dorsale dell’isola, con lische che scendono ripide verso il mare, offrendo sempre un buon motivo per una divagazione, che sia un tuffo da un molo o una pivo in una konoba.

Tantissime quindi le tappe possibili, anche in un crescendo di architetture urbane: Jelsa, Vrbosca, Stari Grad, tutte costruite sul versante settentrionale dell’isola, quello rivolto alla terraferma.

L’eccezione, ancor più luminosa è la città capoluogo di Hvar, con un porto d’antica fondazione protetto naturalmente dall’arcipelago delle Pakleni. Una quindicina tra isole, isolotti e scogli un tempo chiamate Spalmadori, che distano solo mezzo miglio dal porto e meritano d’essere esplorate possibilmente a remi. Isole che devono il loro nome a una resina di pino utilizzata un tempo per calafatare le barche. Isole abitate fin dall’antichità, dove sono stati trovati resti di ville romane e di costruzioni religiose.

Hvar è stata per secoli la Lesina veneziana, di cui rimangono preziose testimonianze architettoniche. Leoni marciani appaiono ad ogni angolo anche al turista più distratto, così come chiese, campanili, conventi, palazzi, logge a cui s’aggiunge l’arsenale e il sovrastante teatro, sono stati realizzati nel periodo di influenza prima e dominazione poi, a partire dal XV secolo, fino alla caduta della Repubblica nel 1797. Il teatro è una delle più antiche istituzioni civiche d’Europa, inaugurato nel 1612 e riaperto qualche anno fa.

Un unicum architettonico, un connubio tra antiche arti: costruzione navale e rappresentazione teatrale, entrambe accomunate da vele/tele che s’issano e s’ammainano maneggiando cime, con l’aiuto di bozzelli, paranchi, bitte e tutto un armamentario molto marinaresco. Così come il palco assomiglia al ponte, con attori e attrici di grado differente, tutti però responsabili della buona riuscita della navigazione.

Arsenale e teatro delimitano parte del lato meridionale della Piazza Santo Stefano, che è idealmente tripartita: di verde, del piccolo giardino ottocentesco, d’acqua, quella del mandracchio veneziano, e di pietra, quella del lastricato che porta all’omonima Cattedrale, costruita tra Seicento e Settecento.

Dall’altra parte del teatro, c’è il grande albergo e il vecchio caffè, costruiti dagli austriaci ai primi del Novecento, riorganizzando precedenti architetture veneziane tra cui la loggia, dove si respira ancora l’aria di un turismo da Belle Époque.

In alto sulla collina, domina la fortezza spagnola, da cui si apre una spettacolare vista sulla città, sulle Pakleni e sul mare. Ma il mio luogo preferito è il Convento di San Francesco e il suo giardino, dove in qualsiasi stagione, anche nei mesi d’assedio turistico, si possono ritrovare antichi, necessari silenzi, musicati dalle onde, che lambiscono il suo muro perimetrale. Ombre e profumi cipressini invitano al raccoglimento, religioso o laico che sia, alla lettura o all’ozio, magari concedendosi anche un bagno di luce e di acqua.


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