E' il primo documentario, a distanza di oltre un decennio dalla guerra, firmato da una co-produzione serbo-croata. Il settimanale Feral Tribune intervista Janko Baljak, regista di "Vukovar - atto finale", realizzato insieme a Drago Hedl, nostro corrispondente dalla Croazia
Di Igor lasic, Feral Tribune, 20 gennaio 2006 (tit. orig. Kako su se slozili Mercep i Crncevic)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Perchè ha deciso di realizzare il documentario "Vukovar - atto finale", che sarà presentato per la prima volta alla fine di febbraio al Festival dei film documentari di Zagabria?
L'idea è partita da Belgrado, più esattamente dalla nostra casa produttrice B92, per la quale ho fatto dei documentari già una quindicina di anni fa. A distanza di 14 o 15 anni dall'epopea di Vukovar, l'idea si basa sull'intento di realizzare la prima coproduzione serbo-croata per un documentario. A differenza dei film che sono già stati fatti su questo tema dall'una o dall'altra sponda del Danubio, questo è il tentativo di vedere in modo oggettivo la verità. E' passato abbastanza tempo, adesso esiste una certa distanza storica per fare un film a mente relativamente fredda. Tutto ciò che abbiamo visto su Vukovar, di questa o quella casa di produzione, era più o meno propaganda, o era una storia parziale fatta per i vari raduni, avvenimenti, anniversari.
Nessuno ha mai affrontato il tema per raccontare dall'inizio alla fine la storia che abbiamo raccontato in questo film e che narra i sei mesi di Vukovar, dal maggio 1991 fino alla caduta della città, poi il crimine di Ovcara fino al processo dei colpevoli. Il film inizia e finisce con Ovcara, per questo motivo siamo anche in ritardo di alcuni mesi, perché abbiamo dovuto aspettare la fine del processo per avere anche quella parte del materiale, per concludere la storia.
Le riprese del film coincidono con il processo, avete potuto documentare direttamente lo sviluppo del tema?
Questa occasione certamente è stata molto emozionante anche perché successivamente abbiamo seguito le madri e le mogli, le famiglie dei morti di Ovcara. Avevamo la possibilità di parlare con loro a Belgrado e di condividere le loro emozioni, di vedere come reagivano alla notizia che il processo si sarebbe svolto a Belgrado. Durante il processo c'è stata tanta tensione, perché i familiari delle vittime e i famigliari degli accusati condividevano lo stesso ambiente, ed è stato molto sgradevole finché non li hanno divisi. A noi interessava come stavano le persone che hanno vissuto un'esperienza difficile, e quella parte ha una notevole dimensione umana. Ci sono diverse storie, ci sono quelli che a Ovcara hanno perso parecchie persone, il fratello, il ragazzo... Poi, l'intera storia della donna incinta che è stata esumata a Ovcara, le testimonianze dirette su come l'hanno portata fuori dall'ospedale all'ottavo mese di gravidanza. Ovcara in realtà è un film dentro il film, ecco perché la scelta di usare il processo come apertura del nostro film e di terminarlo con la sentenza che letteralmente mi è stata consegnata in versione audio, per poterla usare.
Il processo belgradese ai criminali di Ovcara è un segnale che in Serbia c'è un'applicazione più sistematica della legge o rappresenta solamente un caso isolato?
Personalmente vorrei credere che si tratti di una sorta d'avvio per una magistratura che sia indipendente, per come si sono comportati il giudice e la corte rispetto a questi avvenimenti. Credo si sia trattato di un processo molto professionale e che fondamentalmente non era motivato dal bisogno di far vedere la Serbia più democratica di quello che è. Ma alcuni altri processi non vanno nella stessa direzione, lo si vede concretamente, per esempio, dal processo per l'omicidio di Zoran Djindjic. E mentre mi ha sorpreso la velocità con la quale è stato annunciato il processo a Slobodan Davidovic, membro degli "Scorpioni" in Croazia, a Belgrado esistono già delle cose che ostruiscono l'avanzamento di questo caso giuridico. Invece, le famiglie delle vittime di Ovcara, dopo il processo, non erano soddisfatte - la vera soddisfazione per loro non esiste più - ma hanno detto loro stessi che il processo è stato corretto e che sono state inflitte le giuste punizioni.
Se lo dice anche Natasa Kandic, che fra l'altro è sempre insoddisfatta di come vengono risolte le cose che riguardano i crimini di guerra, allora si tratta di una vera garanzia. Adesso si pensa che quel processo dovrebbe servire da modello, in futuro tutti i processi simili si misureranno con questo. Credo che lo sentirà anche il pubblico del nostro film, dalle parole di conclusione del giudice, dove si pronuncia non solo la sentenza, ma più che altro un invito alla civiltà, che queste cose non debbano più ripetersi e che non debbano passare impunite. Perché molti criminali passeggiano ancora a Belgrado e a Zagabria e in molte altre nostre città.
Il direttore di scena e il responsabile del team del film "Vukovar - atto finale" è Drago Hedl, redattore del Feral. Come vi siete trovati, come è stata la vostra collaborazione?
Non ci sono stati tanti dilemmi, lui già aveva già molta esperienza nella produzione di alcuni progetti di film su crimini di guerra. Per quanto concerne B92, Drago non debuttava ma si è imposto come la scelta migliore e più logica, considerando tutto quello che aveva già fatto. Ho visto quello che lui aveva già fatto, ma solo grazie a questo film lo ho anche conosciuto. Hedl certamente ha goduto di piena autonomia nel formare la sua squadra investigativa, anche qua a Belgrado hanno partecipato alcune persone. Lui li ha coordinati, ha suggerito diverse soluzioni come direttore di scena, ha condotto la storia da grande conoscitore. C'è stato tanto lavoro, il film è stato fatto in 15-16 mesi.
La composizione della squadra ricorda modalità che in passato sono state criticate. Ma a voi è servita molto bene ...
Naturalmente, è una divisione completamente razionale, contemporaneamente tenevamo conto dei contatti in Serbia e in Croazia. Era una soluzione naturale: per Hedl era più facile giungere a certe cose in Croazia, come è stato per i nostri collaboratori belgradesi in Serbia. Questo ci ha fatto optare per questa soluzione, tutto era motivato da motivi professionali. Alla squadra hanno partecipato Marija Molnar, Dragana Karpos, Jasna Jankovic, Filip Svarm e Klara Kranjc. Ma abbiamo avuto tanti problemi in Serbia. A differenza dei partecipanti croati alla guerra, i comandanti e i difensori della città che hanno vissuto questa epopea come una grande vittoria che è finita con il riconoscimento dello Stato e con la liberazione, qua in Serbia esiste una notevole dose di rimorso di coscienza, c'è l'impressione scomoda di aver partecipato a qualcosa di vergognoso, con una forza sproporzionatamente grande che si è rovesciata sulla città. I nostri collaboratori croati che abbiamo ripreso nel film, oggi sono più o meno attivi, oppure sono dei pensionati felici. In Serbia la maggior parte del vertice immischiato nella vicenda di Vukovar è finito all'Aia, oppure non sono in vita. Non siamo riusciti ad entrare in contatto con il "trio di Vukovar"- Sljivancanin, Mrksic, Radic - e nemmeno con Slobodan Milosevic...
Siete giunti fino a Tomislav Mercep, da parte croata il protagonista più sospetto della guerra di Vukovar. Come è stato in qualità di collaboratore?
Mercep era uno degli interlocutori più gentili, che senza pensarci su ha accettato di parlare, dopo aver sentito che si trattava di una produzione belgradese. Non ha posto alcuna condizione, ho parlato personalmente con lui a Zagabria. La cosa che ci interessava di più, riguardo a lui, era la storia dei civili serbi scomparsi che tuttora non sono stati ritrovati, e nel periodo del suo governo, quando era a capo della TO (difesa territoriale, ndt.) di Vukovar. Per noi era interessante come fosse possibile che un uomo potesse diventare il signore della vita e della morte, senza il cui permesso non potevano camminare liberamente a Vukovar - e uscire dalla città - nemmeno i parlamentari.
Sapete che Vukovar allo stesso tempo è il sasso su cui inciampa la Croazia, appesantito dal sospetto di tradimento da parte dei vertici dello Stato ...
Sì, nel film ci sono certi interlocutori che portano in quella direzione, persone più o meno amareggiate. Uno tra gli astiosi è anche Branko Borkovic, che testimonia degli ultimi momenti della resa della città. Mile Dedakovic non voleva parlarne. Ma nel film appare un numero notevole di distinti difensori di Vukovar. L'uomo che partecipa alla resa di Mitnica, Zdravko Komsic, Danijel Rehak, Vesna Bosanac... Abbiamo persino parte della storia cui siamo arrivati per caso nell'archivio militare, dove la dottoressa Bosanac in una vettura della JNA (esercito jugoslavo, ndt.) cerca la madre tra le macerie di Vukovar. Inoltre la parte legata a Sinisa Glavasevic, su cosa il suo appello e la sua voce hanno significato per la gente di Vukovar. Si tratta di una serie di piccoli film, perché oltre al quadro generale che trasmettiamo, ognuno ha anche il proprio dramma personale, i ricordi e le storie su come ha vissuto il tutto.
Nella parte serba avete vissuto di più il rifiuto di collaborare?
Alcune persone hanno semplicemente cambiato idea, una cosa completamente comprensibile. Non giocava a nostro favore il fatto che circa nello stesso periodo in Serbia fosse stata scoperta la famosa cassetta di Natasa Kandic, con le immagini dell'assassinio dei civili bosgnacchi vicino a Srebrenica. Alcuni membri delle unità paramilitari serbe hanno cambiato idea riguardo al nostro film, si sono spaventati delle reazioni. Ci sono state situazioni in cui si incontrava un muro al solo vedere noi e il logo di B92, che in Serbia viene vissuto come un media traditore. Come se non facessimo niente altro che ricercare i nostri concittadini per le necessità dell'Aia ... Contemporaneamente anche Hedl ha vissuto cose spiacevoli, con Branimir Glavas in Croazia, così tutto è stato un po' complicato. La politica odierna e le nuove conoscenze si sono immischiate più volte nel film.
Oggi anche l'interesse per questo tema non è lo stesso nei due Paesi?
Ci sono state diverse reazioni. Primo, Vukovar per la Croazia ha un altro peso di quello che ha per la Serbia. Dopo Vukovar, in Serbia sono accadute tantissime cose diverse, dalla NATO e il Kosovo al Montenegro... I nuovi avvenimenti raggiungono e sostituiscono velocemente quelli vecchi. Per cui in Croazia ci aspettiamo le reazioni più forti. Ma, abbiamo impiegato la nostra professionalità, forti del desiderio di tentare nel modo migliore di rispondere ad alcune domande ancora aperte, che probabilmente susciteranno un'importante attenzione. Un buon film trova sempre il suo pubblico, mentre la propaganda è sempre propaganda.
Nel film non ci sono i commenti degli autori, tutto è misurato in modo molto oggettivo e come avete detto una volta, secondo il modello dei documentari della BBC. Fra l'altro, così è anche con gli altri vostri film, "Ci vediamo sull'annuncio funebre" (Vidimo se u citulji) oppure "Anatomia del dolore" (Anatomija bola)...
E' così, si tratta di un mio principio di base e di un atteggiamento riguardo le riprese dei film documentari, e di più. In breve, dare a tutti l'occasione di dire quello che pensano e quello che ricordano, perché nessuno di quelli che fanno i film è più intelligente o più informato di quelli che sulla propria pelle hanno vissuto quella guerra. La narrazione "off", o la voce narrante in questo caso sono molto sospetti e un modo controproducente per dire qualcosa. D'accordo con Hedl, sono rimasto sul procedimento filmico in cui alla fine parlano solo i nostri interlocutori. Solo l'intervista e l'archivio, di modo che lo spettatore possa da solo trarre le conclusioni.
Comunque, su Vukovar sono ancora in corso almeno due verità diverse, ma molto diverse, sulle due sponde del Danubio?
In Serbia ancora oggi, quando nominate Martin Spegelj, è come se aveste nominato un criminale nazista. La gente non vuole parlare, hanno un'immagine formale di lui. Anche per i croati alcune persone della Serbia sono bianche o nere. Forse, quando in questo film li vedete insieme o mentre si scontrano, iniziate a vedere con occhi diversi, con uno sguardo più oggettivo. Secondo me la verità non è mai da una parte sola, e fra la verità serba e la verità croata su una stessa Vukovar esiste un enorme abisso. Ma, mi ha stupito che Tomislav Mercep, nazionalista e sciovinista croato, possa trovarsi così facilmente sulla stessa lunghezza d'onda di Branimir Crncevic, su come è andata la guerra. Si metteranno più facilmente d'accordo loro due che qualcun altro... E mi ha sorpreso in modo piacevole che Branko Mladi Jastreb Borkovic e Rade Leskovac oggi possano trovarsi per fare affari e per amore verso gli animali, che abbiano anche degli altri temi oltre alla guerra. Così con questo film abbiamo voluto anche che le due parti si avvicinassero almeno un po' nel dialogo, che provassero a parlare un po' di questo.
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