Presentata di recente al Parlamento europeo, la piattaforma Digiwhist si basa sugli open data. I suoi strumenti consentono di orientarsi nella galassia degli appalti pubblici europei e scoprire dove si annida la corruzione
(Articolo pubblicato originariamente su VoxEurope il 13 agosto 2018)
Benché i paesi dell’Unione europea siano globalmente piuttosto meno corrotti rispetto alla media dei paesi del mondo, le pubbliche amministrazioni non sempre sono dei modelli di trasparenza e di probità. Secondo uno studio della Rand Corporation infatti, la corruzione nelle gare di appalto pubbliche costa agli stati membri 5,3 miliardi di euro ogni anno.
La corruzione nelle gare d’appalto pubbliche si manifesta tra l’altro con l’esclusione deliberata di alcune società dalle gare allo scopo di lasciarne in lizza una sola o introducendo termini brevissimi per partecipare alle gare. “La corruzione è un buco nero nel cuore dell’economia europea”, ha affermato Carl Dolan, direttore di Transparency International Europe, durante la presentazione al Parlamento europeo di alcuni progetti europei che puntano proprio ad aiutare a smascherare gli episodi di corruzione. Dolan ha aggiunto che, “se le società si accorgono che il processo di assegnazione degli appalti è truccato, possono rinunciare a prendervi parte e a perderci sono i cittadini perché queste gare non sono competitive.”
Dolan ha anche aggiunto che “negli ultimi 20 anni, la parte ‘hardware’ dell’anticorruzione è stata messa in piedi”, riferendosi agli strumenti giuridici, “ora è il momento di investire sul capitale umano, a cominciare dalla società civile. Questa purtroppo è soggetta a nuovi e sempre più forti vincoli e restrizioni dappertutto in Europa. Allo stesso modo, dobbiamo sostenere e proteggere gli informatori. Coloro che, dall’interno, denunciano le malversazioni di imprese ed enti pubblici devono avere una protezione giuridica e degli incentivi affinché rivelino quello che sanno. Abbiamo anche bisogno di strumenti che ci consentano di seguire i flussi di denaro, di conoscere chi controlla realmente le società che partecipano alle gare d’appalto e di norme che costringano i governi a raccogliere e condividere i dati sulle gare d’appalto”.
A facilitare il compito di chi punta ad indagare da vicino il tema è Digiwhist , un progetto europeo che punta a raccogliere, organizzare e rendere disponibili in maniera più semplice e chiara i dati sugli appalti pubblici di 35 Paesi europei (i 28 Stati membri dell’Ue più la Norvegia, la Svizzera, l’Islanda, la Serbia, la Georgia, l’Armenia e le istituzioni europee). Di recente i membri di Digiwhist – un consorzio formato da sei istituti di ricerca europei – hanno presentato il progetto all’interno del programma Horizon 2020, in occasione di una conferenza del Parlamento europeo a Bruxelles. L’obiettivo di Digiwhist è duplice: da un lato vuole fornire ai giornalisti, agli attori della società civile e ai policy maker strumenti che permettano di seguire il percorso dei finanziamenti pubblici usando le grandi quantità di dati che le amministrazioni pubbliche rendono disponibili (Big data); dall’altro saranno le stesse amministrazioni a poter usare Digiwhist per migliorare il loro funzionamento e affinare gli strumenti di lotta alla corruzione.
In occasione della presentazione del progetto al Parlamento europeo, l’eurodeputato Benedek Jávor (Verdi, Ungheria) ha ricordato che “ogni anno 120 miliardi di euro finiscono in bustarelle in tutta l’Ue. È poco meno del bilancio dell’Unione”. “Digiwhist consentirà di identificare le vulnerabilità delle legislazioni nazionali e della loro applicazione rispetto alla corruzione e, indirettamente, di aiutare i governi e la Commissione europea a migliorare le legislazioni e i sistemi di controllo. Alla fine, si tratta di aumentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche in Europa”.
EuroPAM e Open Tender, gli strumenti messi a punto da Digiwhist, “forniscono uno sguardo d’insieme sul fenomeno dello ‘state capture’, l'appropriazione di risorse pubbliche da parte di attori privati – non solo nei paesi noti per essere tradizionalmente corrotti, ma anche all’interno delle istituzioni europee”, ha affermato l’eurodeputata Ana Gomes (S&D, Portogallo), aggiungendo che “anche quando i casi di corruzione sono molto chiari, le autorità nazionali non fanno nulla. Nelle istanze europee si riconosce che ci sono dei problemi o dei casi singoli, ma a livello nazionale non viene semplicemente fatto nulla – nemmeno a livello giudiziario. I registri delle imprese sono pubblici, e così pure quelli sulle gare d’appalto. Il problema semmai è che i registri e le procedure sono resi poco chiari di proposito. A questo si aggiunge il fatto che le società e i governi invocano le norme sulla privacy per non rivelare dati come i codici fiscali e gli indirizzi dei beneficiari degli appalti. Questi ultimi non dovrebbero essere coperti dalle norme sulla privacy. Siamo pronti a dare battaglia su questo punto, perché la protezione dei dati personali non può essere invocata sistematicamente.”
“La corruzione ha un costo: è la differenza tra il prezzo di mercato di un prodotto – autostrade, beni di consumo, qualsiasi cosa – e prezzo realmente pagato”, ha sottolineato l’eurodeputata indipendente Monica Macovei (ECR, Romania): “e questo prezzo lo pagano i cittadini. Per questo”, ha aggiunto, “i giornalisti, la società civile e le autorità locali dovrebbero usare gli strumenti come EuroPAM e Open Tender. In molti paesi non c’è la volontà di usarli, ed è anche uno dei motivi per i quali vogliamo che venga creata una Procura europea.”
Disporre di dati precisi, affidabili e leggibili sugli appalti pubblici non è però scontato né semplice. Come ha spiegato la sociologa britannica Ella McPherson, “tra un paese e l’altro c’è una straordinaria diversità di pratiche: i 17 milioni di contratti d’appalto conclusi tra il 2009 e il 2017 che abbiamo monitorato rappresentano tra il 3 e il 9 per cento del Pil annuo degli stati interessati, mentre le stime indicano che gli appalti pubblici costituiscono tra il 12 e il 13 per cento del Pil annuo degli stati membri dell’Ue in media.” Per questo, aggiunge, “militiamo per l’open data – la messa a disposizione del pubblico dei dati in possesso dalla pubblica amministrazione – e perché i governi forniscano dei dati di qualità migliore, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.” “Non è una cosa impossibile”, ha rincarato Gavin Hayman, direttore della Open Contracting Partnership: “le Ong sono in grado di farlo. Si tratta di mappare gli appalti e di condividerli. Gli open data possono portare a dei cambiamenti sistemici dirompenti.”
La disponibilità di dati abbondanti, affidabili e leggibili è fondamentale anche per i data journalist che svolgono le loro inchieste basandosi proprio su di essi, ha infine sottolineato Frederich Lindenberg, dello Organised Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), un consorzio di giornalismo investigativo sulla criminalità organizzata e sulla corruzione in Europa: “Purtroppo, è davvero difficile ottenere dati sugli appalti pubblici. Al punto che spesso siamo stati costretti a crearci da soli le nostre proprie banche dati. Per questo, progetti come Digiwhist consentono di colmare il divario fra chi come noi indaga sull’uso dei fondi pubblici e le autorità, che potrebbero trarre beneficio dalle nostre inchieste nella lotta alla corruzione. In fondo”, ha aggiunto, “la nostra metodologia è semplice: follow the money, segui i flussi di denaro. Ma per questo, occorre sapere di chi sono i soldi, quindi di disporre di registri aggiornati e uniformi per esempio su chi possiede una società. Possiamo ottenerlo facilmente dalla Federazione Russa, chissà perché in Europa è praticamente impossibile!”
“Nella corruzione in materia di appalti possono esserci numerose sorprese e non sempre i paesi più virtuosi sono quelli che si crede: la società che ha pagato le multe più elevate per le bustarelle versate è una società svedese”, ha rincarato Alina Mungiu-Pippidi, della Hertie School of Governance di Berlino. Per l’esperta di corruzione, “accedere ai dati sugli appalti è fondamentale. Come ricercatori che lavorano con giornalisti e i rappresentanti della società civile, siamo pronti a dare una mano con formazioni e corsi di sostegno per orientarsi nel mare di dati disponibili (e non) a chi fosse interessato. Nel frattempo, occorre una vera politica europea degli appalti, perché agire ex post, dopo che la corruzione è avvenuta, è troppo tardi.”
Al Parlamento europeo
Nel settembre 2017 il Parlamento europeo ha pubblicato un rapporto sulla “Corruzione nell’Unione europea”. Lo studio prende in esame sia la corruzione percepita dai cittadini che il quadro giuridico, istituzionale e le politiche, così come le buone pratiche messe in atto a livello nazionale, regionale e locale. Nel dicembre dello stesso anno la commissione delle Libertà civili del Parlamento europeo ha messo in piedi un gruppo per il monitoraggio della situazione dello stato di diritto nell’Unione, con particolare attenzione verso la corruzione e la libertà d'informazione, dopo l’omicidio dei giornalisti anticorruzione Daphne Caruana Galizia a Malta Ján Kuciak in Slovacchia. Guidato dall'eurodeputata Sophia in ‘t Veld (Alde, Paesi Bassi), il mandato del gruppo di lavoro si conclude il 31 dicembre prossimo. Ne fanno parte anche gli eurodeputati Roberta Metsola (EPP, MT), Josef Weidenholzer (S&D, AT), Anders Primdahl Vistisen (ECR, DK), Judith Sargentini (Greens, NL), Barbara Spinelli (GUE, IT) e Laura Ferrara (EFDD, IT).
Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.
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