Il Parlamento europeo sembra molto più propenso della Commissione e del Consiglio ad aprire ai Balcani occidentali. L'Europarlamento ha richiesto recentemente di includere questi paesi nella Conferenza sul Futuro dell'Europa che si aprirà il prossimo 9 maggio
Chi pensava che la nuova metodologia dei negoziati che divide i 35 capitoli in 6 gruppi adottata dal Consiglio nella primavera dello scorso anno avrebbe sbloccato finalmente il processo di allargamento dell'Unione Europea è stato costretto a ricredersi.
Si trattava di una pia illusione, l'ennesimo pretesto per ritardare a data da destinarsi un appuntamento annunciato, promesso e, oramai, nei fatti accantonato. Sono altre le priorità per Bruxelles. I paesi dei Balcani occidentali possono aspettare.
Continua, così, la leziosa manfrina delle relazioni annuali della Commissione sullo stato di avanzamento del cammino di adesione dei paesi candidati mentre le rispettive opinioni pubbliche assistono tra la rassegnazione, la frustrazione e il disinteresse a un gioco che rischia davvero il massacro.
Il 2020 ha registrato la luce verde all'apertura delle trattative di adesione per Albania e Macedonia del Nord che si è subito tramutata in rossa per il veto bulgaro al mandato negoziale per l'ex repubblica jugoslava che ha risucchiato anche Tirana.
Quando non è la Francia è l'Olanda e se non è l'Olanda ci pensa la Bulgaria o qualche altro paese membro. C'è sempre un intoppo, un intralcio burocratico, un escamotage tecnico o un potenziale contenzioso bilaterale per rimandare ad libitum gli impegni presi che non si vogliono mantenere. Salvo poi, improvvisamente, rendersi conto che in mancanza di attori credibili saranno altri a colmare le caselle vuote sullo scacchiere della geopolitica regionale.
Cina e Russia hanno, così, vita facile nei Balcani grazie ad un'insinuante diplomazia sanitaria, prima della mascherina e poi del vaccino, ad accreditarsi come partner affidabili se l'Ue rinuncia a svolgere il proprio ruolo dimenticando colpevolmente di dare seguito alla prospettiva di adesione accordata solennemente ai sei paesi dell'area già nel lontano 2003, al vertice europeo di Salonicco, e riaffermata negli anni successivi.
L’allargamento all’Europarlamento
Se l'allargamento perde colpi a livello di Consiglio non altrettanto si può dire per quanto riguarda l'Europarlamento. Il problema per i candidati è che le decisioni rimangono saldamente nelle mani dei governi dei paesi membri e non degli eurodeputati. Questi ultimi, però, hanno comunque l'opportunità di far sentire la propria voce che, anche se non risulta determinante, misura il polso e la temperatura dell'opinione pubblica europea nei confronti dell'azione più emblematica e rappresentativa della politica estera comune.
La scorsa settimana i deputati europei hanno discusso e adottato le prime quattro relazioni sui paesi in via di adesione in risposta a quelle presentate dalla Commissione nell'autunno scorso. Albania, Macedonia del Nord, Kosovo e Serbia sono stati messi sulla graticola in un dibattito che ha presentato importanti spunti di interesse destinati a caratterizzare l'intera legislatura.
Per quanto riguarda l'Albania la linea della relatrice Isabel Santos, portoghese del gruppo socialista, è stata sostanzialmente confermata. Pur evidenziando carenze e incertezze nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, critica comune a tutti gli stati dei Balcani occidentali, l'Eurocamera chiede al Consiglio di aprire i negoziati di adesione senza ulteriori ritardi perché ciò lede la reputazione dell'Ue e ne mina la credibilità.
Stessa richiesta anche per la Macedonia del Nord nel documento presentato da Ilhan Kyuchyuk, bulgaro del gruppo Renew. L'appello, nonostante non sia direttamente citata, è rivolto anche e soprattutto alla Bulgaria. Le parti, recita il testo, dovrebbero affrontare separatamente le questioni bilaterali che non hanno rilevanza nel processo di allargamento. A questo proposito va sottolineato, purtroppo, l'attivismo sfrenato e, per certi versi, spregiudicato della maggior parte degli eurodeputati bulgari contro Skopje che ha impedito una formulazione più esplicita.
Nel corso del dibattito i nazionalisti di Sofia non hanno risparmiato accuse pesanti arrivando persino a paragonare la Macedonia del Nord alla Corea del Nord. Non va dimenticato, però, che per i delegati bulgari la discussione rappresentava l'opportunità di continuare sulla scena continentale, senza esclusione di colpi, la campagna per le elezioni legislative in corso in patria.
Altrettanto acceso è stato il confronto su Kosovo e Serbia. Per quanto riguarda il primo, in particolare, l'Europarlamento è l'unico organo dell'Ue che ne riconosce l'indipendenza al contrario di Consiglio e Commissione che nei documenti ufficiali utilizzano il termine "Kosovo" con un asterisco che porta a una chiosa a piè pagina che fa riferimento alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite che mantiene l'ex provincia serba in un limbo giuridico.
Nella risoluzione introdotta da Viola von Cramon-Taubadel, tedesca del gruppo verde, si afferma in modo netto e inequivocabile che l'indipendenza del Kosovo è irreversibile e si invitano i cinque paesi membri che ancora non la riconoscono a farlo. In un altro capoverso gli eurodeputati reiterano con urgenza la richiesta al Consiglio di liberalizzazione del visto per i cittadini kosovari, vergognosamente relegati in un ghetto da Bruxelles nonostante le autorità di Pristina abbiano soddisfatto dal 2018 tutte le condizioni imposte dalla Commissione.
Come da consuetudine per evitare ogni equivoco i paragrafi relativi al dialogo fra Belgrado e Pristina contenuti nelle relazioni su Serbia e Kosovo sono identici. Nel rinnovare alle parti l'invito a mettere in atto in buona fede tutti gli accordi fino ad oggi raggiunti, compresa la formazione dell'"Associazione delle municipalità serbe", l'assemblea di Strasburgo chiede al Servizio Diplomatico Europeo di creare un meccanismo per monitorarne e verificarne periodicamente l'attuazione riferendone regolarmente all'Europarlamento, compito al quale i diplomatici dell'Ue si sono sempre sottratti abbandonando, in pratica, il dialogo a sé stesso e ai veti incrociati.
La relazione sulla Serbia è quella che ha riservato più sorprese oltre che a scatenare uno strascico di polemiche. Il relatore, il popolare slovacco Vladimir Bilčík ha dovuto faticare non poco per trovare un punto di equilibrio fra chi voleva un linguaggio più duro nei confronti di Belgrado, verdi e socialisti in testa, per quanto riguarda, in particolare, la situazione dei media e lo stato di diritto e chi invece, il gruppo dei popolari (SNS, il partito di Vučić appartiene alla stessa famiglia politica), cercava di ammorbidire il testo fino a sterilizzarlo.
Alla fine è uscito un testo ancora più critico dell'originale che ha mandato su tutte le furie il presidente serbo Aleksandar Vučić che ha contrattaccato accusando l'Eurocamera di dire bugie palesi.
Anche il presidente del parlamento serbo Ivica Dačić e il primo ministro Ana Brnabić hanno reagito stizziti alla risoluzione adottata. Le autorità serbe dovranno farsene una ragione. In mancanza di convincenti miglioramenti del clima politico e del trattamento riservato ai giornalisti investigativi e alle ong difficilmente il parlamento europeo ammorbidirà i toni nel corso della legislatura.
La lettera a Borrell
"Pensiamo sia giunto il momento di dare uno sguardo strategico ai Balcani occidentali", è l'appello contenuto nella lettera inviata il 5 marzo all'Alto Rappresentante per la Politica Estera e Sicurezza Comune Josep Borrell con la firma in calce dei ministri degli Esteri di Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Irlanda, Romania, Slovacchia e Slovenia.
"Come Unione Europea dovremmo accostarci alla regione non solo attraverso la lente dell'allargamento ma anche attraverso l'ottica della politica estera", continua il testo che chiede una risposta comune agli sviluppi interni nei paesi dell'area e all'intervento attivo di attori terzi (Cina e Russia, anche se non sono citati).
La lettera dovrebbe essere all'ordine del giorno della riunione Consiglio Affari Esteri del 19 aprile. Ancora non si sa quali siano le proposte sul tavolo che saranno discusse. Ci vorrebbe un segnale forte che il processo di allargamento è vivo e vegeto.
Basterebbe, a questo proposito, rispondere favorevolmente alla richiesta dell'Europarlamento, contenuta in tutte le quattro relazioni adottate la scorsa settimana, di includere in modo appropriato, sia a livello governativo che non governativo, Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia nella Conferenza sul Futuro dell'Europa che si aprirà il prossimo 9 maggio.
Se il futuro dei Balcani è nell'Ue allora progettiamolo assieme. Smettiamola con l'ipocrisia.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Parlamento dei diritti 3", cofinanziato dall'Unione europea (UE) nel quadro del programma di sovvenzioni del Parlamento europeo (PE) per la comunicazione. Il PE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è di OBC Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'UE. Vai alla pagina “Il Parlamento dei diritti 3”.
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