In bici a Bucarest - © LCV/Shutterstock

In bici a Bucarest - © LCV/Shutterstock 

Dal 2020 al 2022 nove paesi hanno partecipato ad un progetto Interreg per migliorare la sicurezza di chi usa la bicicletta per spostarsi nella vita di ogni giorno o per svago. Due anni di ricerche per promuovere l'uso della bici riducendo il numero delle vittime

24/06/2024 -  Paola Rosà

Uno sguardo alla lista delle “cose da non fare”, ed ecco che l'esito di Sabrina , progetto Interreg sulla sicurezza dei tragitti in bicicletta nell'area danubiana, dimostra di aver pienamente colto nel segno, riuscendo ad avvicinarsi alla triste realtà: dalla Slovacchia alla Croazia, dall'Austria alla Bulgaria, e in tutti e nove i paesi esaminati, un quadro attuale piuttosto desolante e a tratti inquietante rispecchia purtroppo la maggior parte di quelle “esperienze da evitare” raccolte in due anni di interviste e workshop e analisi. In sintesi: l'incolumità di chi si muove in bici non merita la dovuta attenzione.

Estendendo l'analisi all'intera mobilità su strada, lo aveva detto anche Ferdinand Smith, presidente dell'EuroRAP, organismo UE per la sicurezza stradale, alla conferenza di apertura del progetto Sabrina nell'ottobre 2020: “La pandemia da Covid ci ha distratti da un'altra pandemia e dal fatto che nel mondo ogni giorno più di 3700 persone perdono la vita nel traffico”.

Gli aveva fatto eco Matthew Baldwin, vice direttore generale della Commissione Europea, coordinatore europeo della sicurezza stradale, che aveva snocciolato le stesse cifre: “Ogni anno, tutti gli anni, abbiamo più di un milione di morti, e solo nell'UE sono 23mila (di cui più di 2000 ciclisti), per non parlare dei 135mila feriti gravi”.

Troppi morti e feriti sull'asfalto

Il lancio del progetto Sabrina, focalizzato sulla sicurezza della mobilità ciclistica, ha scelto nell'autunno del 2020 una circostanza molto particolare, che ha riunito online oltre 250 esperti di sicurezza stradale e rappresentanti del settore nonché referenti dell'area trasporti da più di 40 paesi da tutto il mondo: si era aperto da poco il secondo decennio di azione per la sicurezza stradale proclamato dalle Nazioni Unite nell'agosto 2020 , con l'obiettivo di ridurre di almeno il 50% il numero di morti e feriti causati dal traffico.

Ed è alla platea degli utenti della strada che il progetto Sabrina si rivolge; agli utenti più fragili, pedoni e ciclisti, che rischiano di ostacolarsi a vicenda; ai veicoli di diverse dimensioni e velocità, che sembrano competere per lo spazio sulla sede stradale; ai gestori e agli amministratori, ai soccorritori e a chi ha in carico la manutenzione.

E per tutti, le “cose da non fare” sono un decalogo impagabile, emerso da centinaia di contatti con i soggetti più diversi in tutti e nove i paesi coinvolti nel progetto. “Senza eccezioni – si legge in uno dei documenti finali di Sabrina – i partecipanti alla consultazione hanno rilevato situazioni e comportamenti che minano la sicurezza delle infrastrutture ciclabili”. Si tratta di azioni “possibilmente da evitare in futuro”, tutte cose tuttavia che attualmente accadono un po' in tutto il mondo.

Si tratta ad esempio di quando si prendono misure una tantum, “solo perché magari avanza del colore o del cemento”, o si realizzano depliant patinati con dichiarazioni di principio senza prima consultare gli attori principali, o si progettano piste ciclabili che non hanno connessioni chiare con la viabilità esistente (“Una pista ciclabile in mezzo al nulla non sarà mai utilizzata”); oltre alle scelte politiche azzardate, come la mancanza di una strategia, il ricorso a troppi compromessi o l'assenza di organismi appositamente delegati e di coordinamento, ci sono anche decisioni pratiche da evitare, come costringere pedoni e ciclisti negli stessi spazi, variare la tipologia degli incroci, trascurare la manutenzione delle infrastrutture e “prendere magari Amsterdam e Copenaghen come modelli” senza tener conto della diversità delle situazioni.

L'analisi ha ovviamente compreso l'esame dei dati sugli incidenti che coinvolgono le bici, e una prima lacuna è emersa proprio nella disponibilità di numeri disaggregati: esistono dati generali, secondo cui ad esempio nell'UE ogni anno perdono la vita 2160 ciclisti (così nel 2018), mentre sono 262mila quelli che tra il 2010 e il 2018 hanno subito conseguenze pesanti per un incidente grave.

Sabrina avrebbe voluto promuovere una raccolta di dati più dettagliata, che includesse ad esempio tutti gli incidenti, anche quelli che non comportano conseguenze sanitarie o assicurative. Ma l'obiettivo è arduo in tutti e nove i paesi coinvolti, Austria, Bulgaria, Croazia, Moldavia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, un'area dove in ogni caso la proporzione dei decessi di ciclisti in rapporto alla popolazione è più alta che nel resto dell'Unione Europea.

Tranne singoli esempi di monitoraggio specifico (come a Praga e in Ungheria), gli incidenti che coinvolgano biciclette non sono registrati come categoria a parte, e gli episodi meno gravi non compaiono nelle statistiche.

Proteggere, ma anche educare, chi pedala

Va precisato che il focus di Sabrina sulla sicurezza dei ciclisti riguarda qualsiasi tipo di percorso, dalle piste ciclabili alle strade con corsie riservate, dai tragitti condivisi con i pedoni alle carreggiate dove la presenza di bici sia semplicemente segnalata come possibilità, senza che vi siano cordoli né segnaletica orizzontale: tra gli utenti della viabilità, i ciclisti sono i più vulnerabili, e la sicurezza ne va tutelata evitando il più possibile conflitti, competizioni e contrasti con gli altri utenti della strada, questo il sunto delle raccomandazioni finali.

La bici per Sabrina non è infatti soltanto uno strumento di svago e sport, ma a tutti gli effetti un mezzo conveniente di trasporto (si spendono dai 175 ai 300 euro l'anno contro i 2500-8500 di un'automobile), dal basso impatto sociale (un chilometro di tragitto urbano in auto fa spendere fondi pubblici per 37 centesimi, contro i 29 degli autobus, mentre lo stesso tragitto in bici produce un beneficio pubblico di 68 centesimi) e dagli alti vantaggi per l'ambiente (si risparmia 1 kg di anidride carbonica ogni 7 chilometri percorsi in bici invece che in macchina).

Notevole si dimostra il risparmio in termini di tempo, spazio e rumore: in una strada urbana larga tre metri e mezzo in un'ora passano 7 volte più bici che auto, e una macchina parcheggiata occupa l'area di 15 bici. Per cui, consapevoli che un medesimo utente della strada è di volta in volta automobilista, ciclista, pedone, passeggero di autobus o viaggiatore in treno, i gestori della mobilità dovranno sollevare lo sguardo all'insieme dell'utenza e – anche considerando gli effetti positivi sulla salute fisica e mentale, e l'accessibilità del mezzo a prescindere dal reddito – promuovere la multimodalità.

La soluzione, secondo gli studi di Sabrina, sta nella combinazione di più mezzi e nell'offerta di un tragitto che rispetto a quello in auto sia o più breve o più conveniente o più sicuro o tutte e tre le cose. Secondo una ricerca condotta nei Paesi Bassi, l'83% dei viaggi in treno sono viaggi multimodali, e il 44% dei pendolari che usano il treno raggiunge la stazione in bici da casa e/o usa la bici per arrivare al posto di lavoro dalla stazione di destinazione.

Di qui la necessità di prevedere non solo infrastrutture viabilistiche (si tratti di piste ciclabili o corsie evidenziate), ma anche azioni e servizi, come parcheggi custoditi, noleggio o condivisione delle due ruote, facilità di trasporto delle bici in treno, esenzioni per il trasporto di quelle pieghevoli.

Dai divieti alle raccomandazioni

Grazie alla pluralità dei soggetti coinvolti da Sabrina, le soluzioni suggerite sono il risultato di una meticolosa analisi dei rischi: oltre ai partner del progetto infatti (dall'università di Zagabria all'Automobil Club moldavo, dal ministero delle Infrastrutture sloveno a fondazioni, aziende, consorzi e comuni nei diversi paesi), la consultazione ha coinvolto diverse decine di organismi del settore, come ad esempio la federazione europea dei ciclisti, l'agenzia austriaca per l'ambiente, l'ufficio turistico di Pola e l'automobile club in Croazia, diverse università e comuni in Bulgaria, uno studio di progettazione urbanistica in Repubblica Ceca, l'associazione ungherese del cicloturismo, il politecnico di Bucarest e il governo regionale di Bratislava in Slovacchia.

È questa varietà di approcci ad aver conferito spessore alle soluzioni proposte, largamente condivise e quindi forse più convincenti. Nella maggior parte dei paesi dell'area tuttavia non esiste una forte spinta strategica di lungo respiro, si costruiscono piste ciclabili qua e là (in Bulgaria e Romania), ci si limita a guardare al turismo (in Slovenia), anche se singole campagne di sensibilizzazione riscuotono un chiaro successo (come Bike to Work in Slovacchia e coinvolgimento dei bambini in Ungheria e Slovenia) e qualcuno ha già cominciato la raccolta di dati statistici (Repubblica Ceca) e lo stanziamento di fondi a reti ciclabili più ampie (Ungheria).

Perché il traffico ciclistico possa essere trattato alla stregua di altre forme di viabilità, bisogna che vi sia una solida base strategica e nei documenti di Sabrina tale necessità compare più volte: una visione di lungo periodo può riuscire a intaccare quella mentalità che nel presente ostacola lo sviluppo della multimodalità, e viceversa, la crescente popolarità della bici può aiutare a smuovere gli investimenti pubblici.

Si tratta di un circolo virtuoso, e di un meccanismo che nonostante le diversità nazionali si applica bene un po' ovunque. Un esempio riuscito è la strategia nazionale slovacca che già nel 2015 prevedeva azioni spalmate su una decina d'anni, tra cui investimenti in infrastrutture, ricerca, sviluppo, allo scopo di trasformare la bici in “una componente regolare dei sistemi di trasporto cittadino e regionale”.

Niente copia e incolla con le buone pratiche

Sia nell'analisi dei rischi sia nella stesura delle raccomandazioni, la concretezza pervade il lavoro di Sabrina, a partire dall'apparato fotografico che mostra incroci pericolosi e intersecazioni improbabili, sottopassi dal soffitto troppo basso e folle di pedoni in attraversamento libero, semafori a rischio investimento e piste ciclabili che finiscono nel nulla.

Dalle foto si è passati alla ricerca sul campo e alle consultazioni, nella consapevolezza che le buone pratiche non siano ricette rodate valide ovunque e in ogni periodo, ma semmai suggerimenti da sviluppare e arricchire con la partecipazione degli attori in loco.

“Abbiamo incluso diverse tipologie di pratiche, quelle buone, quelle migliori e quelle promettenti – si legge in uno dei documenti finali presentati alla conferenza di Bucarest nell'autunno 2022 – cercando strategie, metodi e attività che avessero un grande potenziale e una buona accoglienza a livello pubblico e politico, che fossero trasferibili, anche se con modifiche, ad altri contesti e regioni, e che fossero sufficientemente documentate per poterne trarre beneficio”.

In sintesi: “Con le buone pratiche non si può fare copia e incolla”. Le strategie, la pianificazione e le caratteristiche concrete delle infrastrutture si adatteranno ad ogni paese pur non rinunciando a forzare qualche resistenza, tentando di scardinare ad esempio l'idea che la bici serva solo nel tempo libero. Il cambio di abitudini degli utenti della strada avverrà passo passo, sia per effetto di efficaci campagne di sensibilizzazione e di educazione, sia per l'oggettivo cambiamento delle condizioni di guida (limiti di velocità, restrizioni della carreggiata, obbligo di precedenza) o grazie a incentivi. Divieti e incentivi prendono spunto da esempi concreti, come quello romeno del CFE, una certificazione che premia chi passa dall'auto alla bici per andare al lavoro.

Nell'Unione Europea, Bucarest è la città più congestionata dal traffico, e vi si registra più di un quinto dei morti in bici (418 l'anno). La certificazione CFE è l'unica in Europa che attesti il livello di coinvolgimento, promozione e valutazione del sostegno che le aziende danno alla bici come mezzo di trasporto alternativo per i dipendenti. Partita nel 2014, l'iniziativa ha coinvolto più di 1700 persone in oltre 300 aziende (numeri di tutto rispetto, considerate le precarie condizioni di sicurezza per le bici e il fatto che l'auto in Romania è largamente vista come uno status symbol), e uno degli effetti forse più sorprendenti è stata la riduzione delle giornate di malattia chieste e godute dai lavoratori.

Ai progettisti, agli amministratori locali, ai decisori in genere, Sabrina raccomanda di considerare la bici come uno degli elementi costitutivi della mobilità, in tutte le fasi della pianificazione e dell'implementazione. Ma affinché i progetti possano effettivamente migliorare la situazione, convincendo più persone a cambiare mezzo, e attirando fondi sempre più consistenti verso la mobilità leggera, vanno seguiti cinque principi di base, che rendano l'opzione bici sicura, comoda, diretta, attraente e coerente.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Energy4Future" cofinanziato dall’Unione europea (Ue). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina "Energy4Future"


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