Il 1989, uno dei momenti cruciali della storia georgiana, ha lasciato una impronta nel dibattito politico fino ai giorni nostri. L'incapacità di capire ciò che stava avvenendo, in URSS e in Europa. Intervista a Ghia Jorjoliani
Ghia Jorjoliani è direttore del Centre for Social Studies (Centro per gli Studi Sociali, CSS) di Tbilisi, Georgia
Sono passati vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, da quel 1989 che è diventato simbolo di importanti cambiamenti in tutta Europa. Come ricorda quel periodo?
Nell'area dell'ex-Unione Sovietica, tutto è iniziato un po' prima del 1989, con la perestrojka. Il problema è che qui in Georgia la perestrojka non era affatto recepita dalla leadership locale del partito, come invece stava progressivamente avvenendo nei paesi baltici, o anche a Mosca, ed ha mantenuto uno stile di governo più "tradizionale". Quindi il movimento di protesta in Georgia è partito già nel 1987-1988, guidato da un gruppo di dissidenti radicali che erano stati in prigione, come Zviad Gamsakhurdia, che diventò poi il primo presidente della Georgia indipendente.
Quali erano le caratteristiche principali di questo movimento?
In altri paesi del blocco sovietico in questo periodo si stava sviluppando un'ala riformista all'interno del partito comunista, mentre questo non è successo in Georgia. Le persone che si opponevano al regime sovietico qui in Georgia continuavano invece ad agire proprio come dissidenti, come se in Urss non stesse cambiando niente, come se non ci fosse la perestrojka. Anzi, molti di loro dicevano che la perestrojka non era altro che una pensata del Cremlino per mantenere l'impero.
Ci sono stati dei tentativi di formare un'opposizione più moderata, che puntava alla riforme, in particolare il Fronte Popolare a cui io stesso ho partecipato. Ma soprattutto dopo il 9 aprile 1989 nella società si sono diffusi sempre di più sentimenti radicali, la leadership comunista era del tutto delegittimata, e i nazionalisti di Gamskhurdia avevano un sostegno popolare irresistibile.
Che cosa è successo il 9 aprile 1989?
Ai primi di aprile sono iniziate delle manifestazioni in protesta ad una dichiarazione del forum nazionale abkhazo in cui si richiedeva che l'Abkhazia non fosse più sotto il controllo di Tbilisi. All'inizio era una semplice protesta, non c'erano richieste specifiche. Ma dopo qualche giorno iniziò ad apparire sempre più forte lo slogan dell'indipendenza per la Georgia. Nessuno diceva o sapeva come questo sarebbe dovuto accadere, ma c'era questa richiesta.
Il 9 aprile le autorità hanno disperso questa manifestazione, a cui anch'io partecipavo, c'è stata della violenza e ci sono state delle vittime.
Cosa ha significato questa data per la Georgia?
Gli eventi di quel giorno hanno radicalizzato ulteriormente il contrasto politico. Penso che sia stato uno tra i momenti più importanti del ventesimo secolo per la Georgia. Il fatto che la manifestazione fosse stata dispersa con tanta violenza, è stato percepito come una vittoria. Questo è un atteggiamento che permane nel dibattito politico georgiano.
In URSS, un dissidente riteneva di avere ottenuto una vittoria quando riusciva a rendere evidente e pubblico quanto il regime sovietico era repressivo e criminale. L'obiettivo immediato era solo rendere pubblica questa cosa, non si pensava a che cosa avrebbe dovuto sostituire l'attuale regime.
Lo stesso accadeva in Georgia anche negli anni della perestrojka; non avevamo capito che c'era già una nuova situazione, che l'Unione Sovietica sarebbe presto diventata storia e che toccava a noi decidere come procedere.
Il problema è che questa percezione, cioè che la vittoria, si ottiene attraverso sconfitte e tragedie, è rimasta diffusa anche a vent'anni di distanza. Ad esempio, Saakashvili presenta costantemente la guerra che c'è stata in Ossezia come una vittoria. Nel corso del 2009 abbiamo visto un approccio simile anche da parte dell'opposizione; sembra spesso che per molte delle persone che protestano contro Saakashvili ciò che è importante sia rendere evidente tutto ciò che di male c'è nel suo governo. Questo fattore è evidente sia nello stile di operare dell'opposizione che del governo.
Ma perché il nazionalismo è diventato la forza dominante negli ultimi anni dell'URSS?
Durante l'Unione Sovietica tutti i popoli che vivevano in Georgia avevano una propria identità. I georgiani avevano anche un'identità territoriale, oltre a quella etnica, che non coincideva certo con quella degli abkhazi. C'era naturalmente anche un'identità sovietica, ma era generalmente debole tra i georgiani, ed è diventata sempre meno importante in quegli anni di risveglio nazionale.
In quel periodo si è resa più evidente la differenza tra queste identità e percezioni. Lo scontro su questioni come queste era reale, ed era inevitabile che emergesse. Ma si poteva ammorbidire se sia noi che gli abkhazi avessimo capito che bisognava trovare un modo per affrontare le nostre differenze in modo pacifico, trovare un compromesso.
In Georgia si sapeva cosa stava avvenendo in quei mesi in Europa centrale, in Germania o in altre repubbliche dell'URSS?
Certo, qualcosa si sapeva. Ma ciò che stava avvenendo nel 1989 in Polonia, ad esempio, era percepito unicamente come una azione anti-sovietica. Il fatto che "Solidarność" in Polonia fosse prima di tutto un movimento di lavoratori qui in Georgia non era percepito, non aveva importanza.
I radicali qui semplicemente non capivano, non capivano che nella leadership sovietica c'erano effettivamente persone che volevano delle riforme e che ciò che è successo non è avvenuto unicamente per merito loro, di Gamsakhurdia e dei nazionalisti, ma in buona parte proprio grazie a questi riformatori e ad altre forze esterne.
Quali erano i principali problemi che ha dovuto affrontare chi è arrivato al potere ?
Prima di tutto, il problema della guerra civile e dei conflitti in Abkhazia e Ossezia del Sud. Questi temi sono sempre rimasti al centro del dibattito politico, al primo posto nell'agenda delle questioni da discutere, e questo ha sicuramente reso più difficile il realizzarsi di normali processi politici. L'importanza di questo tema stava calando verso la fine degli anni '90, ma in particolare con l'arrivo al potere di Saakashvili è tornato ad essere dominante.
E poi una profonda incomprensione di ciò che significa "democrazia". Era diffusa la convinzione che contassero unicamente le elezioni e che queste servissero solo a stabilire chi sarebbe diventato il leader nazionale, che aveva quindi tutto il diritto di guidare il popolo.
Lo stesso era vero anche per la nuova leadership che era giunta al potere in Abkhazia. Anche loro erano dei nazionalisti, e anche loro come la leadership georgiana non capivano l'importanza del compromesso, non capivano che "democrazia" non è semplicemente e assolutamente "il desiderio della maggioranza delle persone che vivono in un territorio".
Ma la democrazia non funziona così. In democrazia, la maggioranza non può scegliere di ignorare le minoranze.
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