Sono nove i partiti che entrano in parlamento a seguito della prima applicazione della nuova legge elettorale. Sogno Georgiano si conferma prima forza politica del paese. L'opposizione non riconosce il risultato e scende in piazza
Il 31 ottobre, dopo una campagna elettorale non facile, si è votato in Georgia. I risultati sono provvisori, mancando i ballottaggi di 16 seggi su 30 da assegnare con il metodo maggioritario. In aumento l’affluenza alle urne, nonostante la pandemia. I risultati parziali confermano che ci saranno 9 partiti nel nuovo parlamento. Erano solo 3 nella legislatura uscente, a dimostrazione di quanto una legge elettorale più inclusiva possa incidere sulla qualità della rappresentanza politica.
Non si è nemmeno registrata una eccessiva dispersione di voto: i nove partiti che entreranno in parlamento rappresentano il 91% dei voti espressi. Non si registra quindi sotto-rappresentanza di preferenze elettorali per l’alto numero di partiti in corsa. I 9 partiti sono riusciti ad attrarre 9 voti su 10. Per il proporzionale il quadro politico è chiaro: i due principali partiti, il Sogno Georgiano (48%) e il Movimento Nazionale Unito (27%) confermano le percentuali delle elezioni precedenti. Ma oltre all’Alleanza dei Patrioti (3%, ridimensionato rispetto al 2016), fra i banchi dell’opposizione ci saranno altri 4 partiti che si sono fermati anch'essi intorno al 3%: Georgia Europea, La Nuova Georgia, Lelo, e Girchi. Rientrano in parlamento i Laburisti e entra I Cittadini, nuova formazione, avendo entrambi superato lo sbarramento dell’1%.
L’opposizione, che ha creato un cartello, più che una coalizione, in fase pre-elettorale, si è compattata però nel denunciare come illegittime le elezioni. Ong locali, come Transparency Intenational Georgia hanno sottolineato un peggioramento del processo elettorale e anche le organizzazioni internazionali hanno segnalato una serie di violazioni , l’opposizione parla di illegittimità dei risultati e promette battaglia.
La piazza
Le diverse anime della Georgia si scontrano in primis nelle piazze, nelle strade e sui social. Anche queste elezioni hanno visto la durezza dello scontro fra posizioni diverse diventare fisico, oltre che verbale, durante la campagna elettorale. E non sembra da meno la fase post elettorale, con l’opposizione schierata davanti alla Parlamento a Tbilisi. Di nuovo la polarizzazione e le animosità personali della politica georgiana impediscono un dialogo politico più istituzionalizzato. E non è un problema che riguarda solo la comunicazione politica dei partiti.
Le reti televisive gerogiane, la tv è il media più popolare, sono assoggettate alla politica e alle sue frizioni. Dopo la contesa sulla proprietà di Rustavi 2, canale vicino al Movimento Nazionale Unito, i manager e buona parte dei giornalisti che la popolavano sono confluiti nelle reti di opposizione Mtavari Arkhi e Formula TV. Nelle mani di Ivanishvili (Sogno Georgiano) sono finite Imedi, Maestro TV, poi unite con il suo canale GDS. La predazione politica delle varie emittenti (si veda qui la vicenda del canale Adjara) non fa che acuire l’acredine nella popolazione, ledendo la cultura del confronto pacifico e misurato.
La conseguenza è che in assenza di spazi istituzionalizzati per il confronto, e soprattutto nel momento in cui il Parlamento non è ancora formato, lo spazio di espressione e scontro diventi la piazza.
Dietro i numeri, il paese
Il voto dei georgiani ci dice che non si vuole né rivoluzione, né stagnazione. Confermata una maggioranza molto solida, di un paese che però sta cambiando, soprattutto nelle città. Il sistema patriarcale perde colpi sotto gli attacchi di una società civile vigile, e con un quadro normativo che oscilla fra le pressioni modernizzanti e l’anima conservatrice che buona parte della maggioranza uscente ha espresso. Così la IX legislatura ha sì esteso il congedo parentale agli uomini, si è espressa per la pari retribuzione salariale fra uomini e donne e ha adottato una nuova legge sulle molestie nel posto di lavoro, ma ha allo stesso tempo ribadito che l’unione coniugale è solo il matrimonio fra uomo e donna, sbarrando la strada alle coppie di fatto e non eterosessuali. Ondeggiamenti che rispecchiano quelli di una società al bivio, in cui una parte è pronta a lasciarsi alle spalle i modelli comportamentali tradizionali, e una parte guarda con diffidenza se non timore a una Georgia diversa.
Nelle pieghe di questi timori si insinua la propaganda anti-occidentale, che sfrutta il luogo comune che modernità e diritti siano appannaggio dell’occidente, se non armi dell’occidente, e che pure contribuisce all’esacerbazione dei termini del dibattito politico interno. I circoli filo-russi fanno leva su una estraneità del mondo ortodosso rispetto al progresso occidentale, e fanno quadro intorno ai pilastri di nazionalismo, religione, conservatorismo, omofobia. Nel caso dei diritti delle minoranze affettive e di gender si trasforma quindi una battaglia civica in uno scontro culturale. La IX legislatura è quella che ha visto nascere gruppi come la Marcia dei Georgiani (2017) e iniziative come la chiusura di locali, o come la Giornata della Purezza della famiglia (ambedue 2018). Contro il proliferare di iniziative e gruppi ultra-conservatori se non apertamente nazisti alzano un muro le opposizioni, che vedono in essi la longa manus di Mosca, e denunciano il fascismo russo che coopta locali ultra-nazionalisti sul terreno comune di razzismo, xenofobia, omofobia, violenza e hate speech.
La X legislatura: verso il parlamentarismo vero?
La scelta del parlamentarismo in Georgia è molto significativa, e queste elezioni sono un passaggio importante. I paesi che sono emersi dall’URSS hanno tutti avuto lo stesso nemico nel percorso di trasformazione democratica: la mancanza di divisione del potere, ovverosia esecutivi ipertrofici in genere impersonati dal presidente della repubblica, che controllano completamente il parlamento e le corti. E intorno al capo, un sistema partitico (o statale) incentrato su personalità, legami informali, scarsa meritocrazia e nepotismo.
Con un percorso travagliato e complesso, dall’esito non scontato, la Georgia sta combattendo una guerra contro questo lascito. E una battaglia è quella per portare il parlamento al centro della vita politica, anche fisicamente. Nella legislatura uscente il Parlamento è tornato nella capitale, dopo la bizzarra riforma dell’era di Saakashvili che lo aveva dislocato a Kutaisi, seconda città della Georgia. Ma non è certo solo lo spostamento fisico che può ridare centralità e indipendenza al legislativo. Da qui la lunga lotta che ha portato alla nuova legge elettorale.
Con questa legislatura, se e quando si stabilizzerà lo scontro politico post-elettorale e ci saranno i dati definitivi per i seggi maggioritari , si arriverà al 2024, anno in cui anche il presidente della repubblica non sarà più eletto direttamente e quindi il capitolo della repubblica presidenziale sarà definitivamente chiuso. E forse questo sarà un tassello istituzionale importante per moderare la cultura politica del paese.
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