Dal pane dolce di Surami alle amache di Khashuri, molti abitati situati lungo l’autostrada georgiana E60, che collega il paese da est a ovest, sono conosciuti per i loro prodotti caratteristici. Ora, però, la modernizzazione della E60 sta minacciando di trasformarli in città-fantasma
(Pubblicato originariamente da OC Media , tit. orig. "Forgotten by the highway")
L’autostrada georgiana E60, l’arteria principale che collega il paese da est a ovest, sta attraversando una fase di trasformazione radicale.
Un nuovo progetto di modernizzazione prevede circonvallazioni, passaggi sopraelevati e gallerie. Mentre queste novità sono sicuramente bene accolte dagli automobilisti, che risparmieranno tempo prezioso durante la loro guida attraverso il paese, le cittadine che ora si trovano lungo strade che diverranno secondarie devono fare i conti con la devastazione economica.
In effetti, come ho scoperto, oltre ai danni economici provocati dalla pandemia di covid-19, molti venditori di strada della Georgia temono che la loro professione sia sulla via dell’estinzione.
La strada delle amache
Un tempo chiamata “il centro della Georgia”, la cittadina di Khashuri è un punto di snodo che collega Tbilisi con la natura rigogliosa del parco nazionale di Borjomi a sud-ovest e con la costa del Mar Nero a nord-ovest.
Un tempo Khashuri fungeva da giunzione tra due delle destinazioni turistiche più popolari del paese ed è tutt’oggi conosciuta per la produzione e la vendita di articoli per le vacanze, in particolare amache e sedie tessute. Ora, però, la strada principale della cittadina, una volta colorata da centinaia di amache di differenti forme e colori, è quasi del tutto spoglia.
Ho trovato solamente due venditori che stessero ancora lavorando in tutta Khashuri e soltanto uno di loro ha acconsentito a parlare con noi.
“Noi siamo in pensione e non abbiamo nemmeno un’automobile”, mi ha raccontato Mediko Arjevanidze, una signora di 77 anni che vende amache insieme al marito. “Stiamo cercando di vendere le rimanenze ma questa settimana, per esempio, non abbiamo venduto un singolo articolo”.
Mediko e suo marito non creano personalmente le amache, bensì le acquistano e le rivendono con un profitto di meno di un euro per amaca.
“Questa era la via delle amache”, ha raccontato la donna. “Ora la vita è diventata estremamente e insopportabilmente dura”.
Mediko ha rifiutato di farsi fotografare.
Il dipartimento stradale ha annunciato la costruzione di un mercato per i venditori di amache di Khashuri lungo il nuovo tratto di autostrada - ora come ora, non è stata fissata nessuna data di apertura.
Pane dolce
La cittadina di Surami si trova proprio in fondo alla strada che parte da Khashuri. Al limite settentrionale della città, lungo l’autostrada, vi sono file di stand di nuova costruzione, di fronte ai quali le donne sventolano il nazuki - un pane dolce tipico della Georgia che viene cotto in un forno di pietra.
Questa specialità culinaria è diventata un simbolo di Surami e alcune persone viaggiano dalla capitale alla piccola cittadina di 7,500 abitanti soltanto per assaporarla.
Mentre prima il traffico fluiva attraverso il centro della città, ora la nuova autostrada E60 lo ha portato oltre il confine settentrionale della stessa. I forni della città sono stati costretti a trasferirsi per adattarsi al nuovo flusso del traffico. Tea è proprietaria di uno di quei forni.
Originariamente il negozio di Tea si trovava nel centro della città, ma ha preso in affitto un nuovo spazio per circa 50 euro al mese quando la circonvallazione dell’autostrada è stata aperta. Lei e sua madre lavorano cinque giorni a settimana dalle 5 del mattino fino a tarda sera, mentre nel fine settimana è la cognata di Tea a gestire il forno.
Tea mi ha spiegato che considera una fortuna il fatto di aver potuto trasferire la propria attività. “Non possiamo permetterci di smettere di lavorare”, ha detto. “Siamo state fortunate - a certe persone non è rimasto niente”.
Ciononostante, come quasi tutti, Tea ha sofferto per le ripercussioni economiche della pandemia e spiega che la contrazione dell’afflusso di viaggiatori ha dimezzato i suoi introiti.
Nonostante una diminuzione del numero dei clienti, Tea e la maggior parte degli altri fornai di strada continuano a trascorrere le proprie giornate presso i loro forni, tenendo d’occhio la strada mentre cuociono nuove infornate di nazuki.
Nazi Laphachi ha 64 anni ed è una sfollata di Tskhinvali. Ha iniziato a lavorare come fornaia in attesa di un alloggio in una casa popolare a Tbilisi. Madre di tre figli e nonna di sette nipoti, si mantiene cucinando nazuki.
“I guadagni sono di circa 12 euro al giorno, ma devo coprire i costi degli ingredienti, della legna da ardere e dell'affitto, così alla fine rimangono circa 7 euro al giorno. È un bene che abbia già dei clienti che mi conoscono, è ciò che mi fa andare avanti”.
Le ceramiche del valico di Rikoti
Spingendosi più a ovest, attraverso il valico di Rikoti, si arriva al villaggio di Shrosha, storico centro di lavorazione della ceramica. In questo periodo, però, i residenti di Shrosha temono che il loro villaggio abbia i giorni contati. La circonvallazione dell’autostrada E60 lo costeggerà interamente, escludendolo dal flusso di traffico, vitale dal punto di vista economico.
La pandemia ha solamente gettato le basi per gli imminenti problemi economici, che saranno ancora più gravi.
“Se prima vendevamo prodotti per un valore di 25 euro al giorno, ora, dopo le restrizioni, ne guadagniamo circa 5”, mi ha raccontato Natalia Gelashvili, la quale produce ceramiche insieme al marito Davit Tkemaladze. I turisti in cerca di souvenir, disposti a spendere anche 80 euro alla volta, costituivano la loro clientela principale, ma quest’anno, per via del turismo paralizzato dalla pandemia, sperano di vendere giusto quanto serve per coprire i costi di affitto e produzione, stando a quanto dice Natalia.
“Durante la mia gioventù c’erano più di ottocento famiglie a Shrosha, mentre ora sono circa 150”, ricorda Davit. Stando a quanto sostiene, la maggior parte di esse o si è trasferita in altre zone della Georgia oppure ha addirittura lasciato il paese.
Al giorno d’oggi, quasi tutti coloro che sono rimasti nel villaggio producono ceramica e, mentre il governo ha annunciato piani per la creazione di appositi mercati dove le persone potranno ancora vendere la propria merce, Natalia e Davit rimangono scettici rispetto alla fattibilità degli stessi.
“Sto pensando di comprare un furgone e di portare tutto in altre zone turistiche”, ha detto Davit, ma Natalia ha prontamente aggiunto: “Ma se moriremo tutti a causa del covid-19, nulla di ciò avrà più importanza”.
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