Lavoratrici georgiane nel settore minerario durante uno sciopero della fame nel 2012 (OC Media)

Lavoratrici georgiane nel settore minerario durante uno sciopero della fame nel 2012 (OC Media)

Agli inizi di febbraio la Radiotelevisione pubblica georgiana ha annunciato un radicale taglio dei propri dipendenti. Così avevano fatto altre istituzioni poco prima. Ed il governo sembra poco interessato a difendere i diritti del lavoro anche nel privato

24/02/2017 -  Tatuli Chubabria*

(Pubblicato originariamente su Open Caucasus Media il 21 febbraio 2017)

Nel presentare se stesso come all'avanguardia nel creare "un ambiente favorevole alle imprese", il governo georgiano non vede alcun problema nell'aumento del tasso di disoccupazione o nel rendere i lavoratori più vulnerabili allo sfruttamento. Ma per la gente che attualmente sta protestando nelle strade è inaccettabile che i piani per la crescita e lo sviluppo comportino il sacrificio dei diritti degli impiegati del settore pubblico e, più in generale, dei lavoratori.

Nel 1989 il settore pubblico assorbiva la maggioranza della forza lavoro totale dell'Unione Sovietica, superando il 90% in alcune repubbliche. Lo spostamento verso un'economia di mercato comportò un cambiamento radicale nella struttura dell'impiego in tutte le repubbliche post-sovietiche. La percentuale della forza lavoro georgiana impiegata nel settore pubblico è continuata a diminuire per molto tempo anche dopo la transizione, passando ad esempio dal 20% al 15% nell'ultimo decennio.

Per ovviare ai conseguenti malumori pubblici il precedente partito al governo spesso ha mostrato dati di una rampante crescita economica, sorvolando sul fatto che quest'ultima non fosse accompagnata da una riduzione della povertà o da una diminuzione significativa della disoccupazione. Inoltre i governi successivi - pur di non peggiorare il già basso livello di occupazione - hanno sempre negato che il settore privato favorisse lo sfruttamento dei lavoratori, la sottooccupazione, i bassi salari e condizioni lavorative a rischio.

I membri dell'OCSE, un club di paesi sviluppati, hanno un tasso medio di occupati nel settore pubblico pari al 21%, che non garantisce soltanto istituzioni pubbliche forti ed efficaci, ma permette anche di moderare gli eccessi del mercato. Tagliare sui dipendenti del settore pubblico non è - per i dimostranti radunati davanti alla Radiotelevisione georgiana lo scorso 9 febbraio - il piano di sviluppo aziendale più adeguato perché non fa altro che mercificare un altro bene pubblico, mentre viene messa a rischio la sicurezza del lavoro di molti.

La gente che dimostra in strada è cosciente che sono governo, politici e, a volte anche i media mainstream i colpevoli. Colpevoli di giustapporre una crescita economica senza maggiore occupazione allo stato sociale, colpevoli di imporre una scelta tra l'una e l'altro. Peggio ancora, il governo sta fuggendo le proprie responsabilità del ridurre la disoccupazione, opporsi al deterioramento dello standard di vita di chi un lavoro ce l'ha, scegliendo invece un cammino di sviluppo economico esclusivista.

Nei mesi scorsi lo stato ha licenziato migliaia di impiegati pubblici. Il 30 gennaio, è stato annunciato che il solo ministero della Difesa avrebbe licenziato 2.250 suoi impiegati. Sono seguite altre notizie sul fatto che la Televisione pubblica georgiana avesse troppi dipendenti. Inoltre vi sono voci secondo le quali sono in pericolo anche 13.000 posti di lavoro presso le ferrovie georgiane. Il peggio è che per promuovere la crescita economica vengono prese decisioni politiche che fanno vacillare il settore pubblico. Una svolta deleteria per chi si aspettava che il governo avrebbe seguito il suo piano di sviluppo "Georgia 2020 " volto a promuovere una crescita inclusiva e la valorizzazione del capitale umano.

Tra il 2013 e il 2015, il governo ha introdotto degli emendamenti al codice del lavoro georgiano introducendo garanzie per migliorare la protezione dei lavoratori nel paese. Per esempio, sono state reintrodotte ispezioni sul posto di lavoro per valutare le condizioni di salute e della sicurezza, ispezioni totalmente abolite nel 2006 sotto il precedente governo. E' stato poi adottato un meccanismo di mediazione nelle vertenze, così come un "formato di negoziazioni tripartito", che permette alle autorità pubbliche, ai lavoratori e ai datori di lavoro di impegnarsi a dialogare. Inoltre, sono emerse organizzazioni di lavoratori indipendenti per difendere i diritti dei lavoratori nei settori di occupazione più a rischio.

Anche se il governo attuale ha creato nuovi meccanismi di welfare, la traiettoria di sviluppo complessivo non è cambiata molto. Lo stato fornisce garanzie sociali inadeguate e non ascolta le richieste della società civile, cosa che è stata visibile ed esplicita già dal 2012.

Per molti giorni alle notizie che evidenziavano che il settore pubblico sarebbe stato ulteriormente ridotto si aggiungevano i video pubblicati sui social media nei quali giovani dipendenti di negozi quali ad esempio la catena di supermercati Fresco o la catena di librerie Biblus, denunciavano gravi condizioni lavorative, basse retribuzioni e maltrattamenti subiti da parte dei datori di lavoro. In risposta il ministero del Lavoro, Salute e Affari Sociali ha affermato che le proteste rappresentavano semplicemente casi singoli di vertenze sindacali tra specifici impiegati e datori di lavoro, negando così l'importanza o la necessità di una risposta del governo a quanto avveniva.

Inoltre il governo non ha commentato ancora il licenziamento di 350 impiegati della fabbrica Rustavi Azoti. E non l'ha fatto nemmeno il 2 febbraio, quando il giorno dopo i licenziamenti, lavoratori in sciopero, studenti e sindacati hanno occupato l'edificio amministrativo dell'impresa. Per oltre 10 giorni la gente ha dimostrato ogni giorno in strada sia a Rustavi sia a Tbilisi, richiedendo l'intervento dello stato.

Molti che si collocano a destra nel panorama politico georgiano sostengono che uno stato più grande e con più competenze non farebbe che nutrire la corruzione. Ma essi non ammettono che la loro argomentazione che mette sullo stesso piano regolamentazione e corruzione, abbia una natura politica. In realtà, difendere le condizioni del lavoro non va necessariamente a spese di una buona governance.

All'epoca sovietica non ci si fidava dei sindacati perché erano visti come un'estensione del partito. Da allora, da quando la produzione industriale è diminuita, l'agricoltura è diventata un settore caratterizzato da agricoltori autonomi che posseggono i propri terreni e il settore dei servizi non si è sviluppato abbastanza per permettere una sua sindacalizzazione, i sindacati sono rimasti deboli. Inoltre con assoluto disprezzo verso chiunque si batte a favore dei diritti dei lavoratori le aziende posseggono dei "sindacati gialli", i quali sono controllati dalle imprese stesse e non fanno certo gli interessi dei lavoratori. Nonostante la debolezza dei sindacati, per la folla radunata in strada è ormai chiaro che occorre insistere con una resistenza organizzata contro i principali datori di lavoro e porre domande sempre più esplicite per ottenere uno stato con più peso e con più competenze.

Dal 2005, le aziende di trasporto, di produzione industriale e di estrazione di risorse naturali del paese hanno ottenuto nuova vitalità e anche il terziario si sta rinvigorendo. È perciò allarmante che il governo rimanga immobile mentre i datori di lavoro violano il diritto nazionale, attaccano i sindacati e usano metodi oppressivi per soffocare le proteste. Se il governo inoltre continua ad infliggere colpi al settore pubblico, i lavoratori diverranno vulnerabili allo sfruttamento come non mai.

*Tatuli Chubabria è coordinatrice di progetti presso il Human Rights Education and Monitoring Centre (EMC) di Tbilisi.


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