Tusia Beridze, frame da un videocllip del 2007

Tusia Beridze, frame da un videocllip del 2007 

Vive a Tbilisi, registra su etichette tedesche e fa tournées europee. Intervista alla musicista georgiana, capofila di un sound ipnotico. "Impossibile produrre in Georgia, per gli artisti l'estero è l'unica possibilità". La democrazia? "Da noi è dittatura in guanti bianchi"

12/01/2011 -  Francisco Martinez Tbilisi

Per tutti è Tusia Beridze o Tba. E’ più di un’artista pop post-sovietica, Natalie Beridze. Sarà per la sua musica elettronica assolutamente originale e magnetica. Vive a Tbilisi, ma incide su etichette tedesche e fa tournées europee.

Il suo sound ipnotico, fioritura continua di suoni nascosti, è un paesaggio di melodie in continua variazione. Produce lei stessa i suoi cd all’interno del collettivo georgiano ’Goslab’ (abbreviazione per ”Gosudarstvennaja Laboratorija”, in russo ‘laboratorio statale’, messo in piedi per partecipare come artisti alla “ricostruzione nazionale e sociale dell Georgia”. Oggi il gruppo è forse più noto all'estero che in patria, ndr). ”ForgetFulness” è il suo ultimo album.

Ho scoperto la tua musica in una compilation del 2005, "4 women no cry". È stata la svolta della tua carriera?

Non direi che un album più degli altri, tra quelli che ho registrato finora, sia stato un punto di svolta, a parte il primo direi. La fase più significativa per me risale al 2003, quindi a prima di "4 women no cry", lavorando per un’etichetta musicale di Colonia, la Max.Ernst: allora ho trovato davvero me stessa, con uno stile, perché grazie a loro la mia musica è diventata davvero accessibile ad un pubblico più ampio e ha avuto per la prima volta la possibilità di trovarsi un posto nel mondo.

In "4 women no cry" c’era una tua cover di "Gorod", il popolare brano degli Akvarium che compariva nel film ”Assa”. Perchè avevi scelto quel pezzo e perché non hai più registrato altre canzoni in russo?

Amo quel film e quella canzone, ecco perché. Non era previsto ne facessi una cover, ero lì con il microfono nello studio di Gogi Dzodzuashvili, lui ha preso la chitarra e abbiamo cantato "Gorod Zolotoj". La registrazione è venuta dopo, in una versione dolce e ironica, e decisi di aggiungerla alla track list.  

In generale però non mi piace cantare in russo nè in georgiano. Non c’è un vero perché. Mi piace allontanarmi dai recinti culturali e l’inglese è perfetto per questo.

Incidi a Berlino, fai concerti a Londra, Zurigo e in Germania. Ma continui a comporre a Tbilisi. Perchè hai scelto di restare in Georgia? E che significa fare musica elettronica a Tbilisi?

Non importa dove crei musica, ma la differenza totale viene dopo: in Georgia faticherei a progettare come e dove far conoscere il mio lavoro, dove suonare e vendere un prodotto musicale. Tutte cose quasi impossibili.

La copertina di "4 women no cry" (2005)

La copertina di "4 women no cry" (2005)

Qui in Georgia ci sono poche etichette e nessuna distribuzione. I giovani produttori georgiani cercano disperatamente contratti all’estero, e sostengo in pieno questa loro impazienza, perché per ora è l’unico modo per andare avanti, crescere e mettersi in gioco. Tutte e tre le etichette con cui ho lavorato sono in Germania, e così tutto quello che succede dopo la pubblicazione dell’album, succede fuori dalla Georgia.

A Tbilisi sei partner del collettivo Goslab, anche per l’aspetto della videoarte. In Georgia c’è spazio per artisti e movimento underground?

No, non faccio videoarte, a parte un paio di clip in passato. Uno di questi aveva vinto un premio ad un festival del cinema e così aveva attratto l’attenzione del pubblico. Ma di veri e propri movimenti artistici, ho paura che in Georgia praticamente non ce ne siano.

L'attenzione nazionale è tutta puntata sul risveglio - o sul sonno profondo - della Georgia, più che sull’evoluzione socio-culturale. In più è difficile considerare il nostro Paese piattaforma di un processo artistico vero e proprio. Ci sono artisti georgiani brillanti, ma per quanto ne so vivono tutti all’estero.

Ci sono artisti georgiani brillanti,

ma per quanto ne so

vivono tutti all'estero

Tusia Beridze

Perché tu resti a Tbilisi?

Sono partita 4 anni fa. E allora credevo sarebbe stata una breve assenza. Ma ora penso che non fa differenza dove ti trovi. Certo mi piace stare vicino alla mia famiglia. Stiamo spesso insieme a Berlino e forse mi trasferirò in Germania per un po’, ma non penso ad emigrare definitivamente, almeno non per ora.

Tu hai detto di sentirti influenzata dagli Smiths, da Lou Reed e David Bowie, da Kaftwerk… ma anche da Stravinskij, Prokofiev, Šostakovič e dal folk georgiano. Ti piace sentirti chiamare la ”Bjork caucasica"?

TBA alla consolle tratto dal profilo My Space dell'artista

TBA alla consolle (tratto dal profilo My Space dell'artista)

Assolutamente sì! Sono lusingata per il paragone, ma davvero tra noi non c’è analogia tranne per il fatto di essere musiciste donne ed entrambe provenienti da piccoli Stati. Non sono esattamente una fan del modo di cantare di Bjork, ma certamente lei è un’autrice e una producer eccezionale.

Come componi la tua musica?

Per me è difficile parlare del processo creativo. Come diceva Einstein ”il segreto della creatività sta nel tenere nascoste le proprie fonti”.

Uno dei tuoi album è "Georgia is like a spiritual Tokyo". Che cosa sta cambiando nella società georgiana?

Il mutamento è evidente: alla Tokyo spirituale si sta sostituendo la Dubai spirituale. Assolutamente non ho nulla contro questo scintillante, colossale bunker alimentato dal petrolio, ma per me è sconcertante averlo nel mio Paese, pur rappresentando per molti un mezzo di sopravvivenza. Oggi i nostri moderni idioti al potere pensano che un futuro senza frontiere culturali sia un paradiso orrendo e pericoloso.

Alle spalle hai studi di comunicazione e scienze politiche, che te ne pare dell'evoluzione politica degli ultimi anni in Georgia? È possibile consolidare la democrazia nel Paese?

Non riesco a prendere seriamente domande sulla ”democrazia”. Per noi passare dal comunismo alla democrazia è stato come passare dalla dittatura ad una dittatura in guanti bianchi, all’apparenza impeccabile per le sue buone maniere.


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