La chiusura della tv pubblica greca è stato un atto sconsiderato contro la democrazia. Un'intervista al giornalista greco Dimitri Deliolanes
E due. Dopo la riassunzione delle donne delle pulizie nei ministeri, il premier greco Alexis Tsipras centra un altro obiettivo del suo programma, pur tra mille difficoltà: ovvero la riforma della tv di stato “Ert”, chiamata nuovamente così dopo la parentesi “Nerit” sponsorizzata dalla troika, dove i giornalisti erano assunti a tre mesi con stipendi da fame (ma facendo salve tre starlette con ingaggi sontuosi).
L'affossamento dell'Ert non era avvenuto al fine di tagliare sedi e poltrone per venire incontro alle necessità di spending review imposta dai creditori della troika, ma per “pilotare una certa informazione”, dice ad Osservatorio Balcani Caucaso il giornalista greco Dimitri Deliolanes, da trent'anni corrispondente in Italia proprio di Ert e autore de “La sfida di Atene” (Fandango, 2015).
Quale il contributo che la nuova Ert darà all'informazione in un paese così scosso dalla crisi?
Un contributo fondamentale, nel senso che già in questi primi giorni di nuove trasmissioni, emerge come sia l'unico canale che fa informazione. Mentre dagli altri arriva solo propaganda.
Quali le basi programmatiche della riapertura?
Nel decalogo di Syriza, così come nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo governo, si parlava esplicitamente di controllo parlamentare per l'emittenza pubblica. Invece in Parlamento non c'è ancora una commissione di controllo, come accade ad esempio in Italia, in quanto per farla occorrerebbe una modifica costituzionale. Per questo motivo, le nomine dei nuovi vertici Ert sono avvenute dopo un'udienza nella commissione parlamentare sulla trasparenza.
Ecco che oggi c'è una Ert che funziona bene, con un ottimo livello qualitativo, anche perché i concorrenti non brillano di certo. Ma il governo, anche perché impegnato sul fronte debito, non è ancora riuscito a strutturare la commissione parlamentare. Al momento l'emittente è sottoposta al controllo del ministro senza portafoglio Nikos Pappas.
Che tipo di conseguenze, anche sociali, ha avuto la chiusura di Ert?
E' stato un atto sconsiderato del precedente esecutivo, dalle conseguenze impreviste. Sul piano sociale 2700 famiglie si sono ritrovare sul lastrico dopo una semplice dichiarazione televisiva dell'allora sottosegretario alla presidenza Simos Kedikoglou, ma questo è stato se vogliamo il meno. L'impatto maggiore sta nel fatto che un governo (quello guidato dal conservatore Samaras ndr.) dalla legittimazione fortemente contestata, ad un certo punto ha osato entrare nella camera da letto dei cittadini ellenici e decidere cosa dovessero vedere e cosa no. Uno choc inimmaginabile in una democrazia europea a cui la gente ha reagito con grandissima rabbia.
Quando è stata chiusa come procedeva Ert?
Non aveva grossi indici di ascolto, ma contava il fatto che esistesse in quanto servizio pubblico e soprattutto assicurava libera informazione, autorevole e certa, in occasione di ogni fatto mondiale che accadeva. Anche perché le altre emittenti, nella coscienza comune, non erano né autorevoli né sicure nelle informazioni che veicolavano. La chiusura di Ert è stata vissuta da tutti come un atto autoritario e di prepotenza.
Le modalità di chiusura possono essere avvicinate ad una forma di censura oligarchica, visto che si è trattato del primo caso assoluto in uno stato democratico?
Certo. In Italia alcuni commentatori ripetono che si è trattata di un'iniziativa presa per ragioni economiche e imposta dalla troika, ma non è così. Non c'è alcuna ragione economica per il semplice fatto che Ert era in attivo dal 2009, anche se modesto, e non pesava sulle casse dello stato.
Quali i motivi reali allora?
Secondo il premier Samaras, Ert non serviva abbastanza la propaganda governativa. C'era un polo all'interno dell'informazione che dava fastidio e disturbava la sinergia tra esecutivo e canali privati. Ert è stata chiusa perché informava e non disinformava.
Che beneficio hanno tratto le casse dello stato dalla chiusura di Ert?
Nessuno. Anzi, ha portato solo cause di risarcimento danni avanzate da tantissimi lavoratori per le modalità illegali di licenziamento, così come ho fatto io stesso, oltre a penali per annullamenti di contratti da versare alle società di produzione, come partite di calcio mai trasmesse. Il costo complessivo dei procedimenti giudiziari sarà elevatissimo. E' la ragione per cui nessuno ha mai invocato il criterio economico come input per la chiusura. Si tratta di milioni di euro buttati al vento in un momento in cui sarebbero serviti per altro.
Oggi il panorama mediatico greco è caratterizzato da emittenti private in palese conflitto di interessi, con editori che sono anche imprenditori presenti in appalti pubblici, proprietari di squadre di calcio, armatori: cosa farà il governo?
Il problema vero è nell'aggancio mortale tra i due vecchi partiti governativi, Pasok e Nea Dimokratia, e gli oligarchi che controllano i mezzi di informazione. Per queste ragioni sono già iniziate le prime schermaglie del governo Tsipras contro gli oligarchi. E' noto che esiste una richiesta di tasse arretrate da parte dell'esecutivo oltre che di contributi pensionistici mai pagati.
A giorni ci sarà un disegno di legge per la ridistribuzione delle frequenze televisive, che nel passato sono state sostanzialmente regalate agli editori privati dopo la chiusura di Ert nel 2013 per una cifra irrisoria. Prevista anche la rivalutazione, partendo da zero, delle concessioni. Sul giudizio complessivo peserà non poco la situazione economica delle emittenti, molte delle quali oggi sono tenute in vita solo dai prestiti compiacenti delle banche.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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