Sull'isola di Creta guardando ad un'altra isola, Gavdos, la terra più meridionale d'Europa. Continuiamo nel nostro reportage "Lettere da Creta"
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Nella stazione/kafeneion dei bus di Paleochora il tempo si è fermato. Gli arredamenti, se così si possono chiamare, gli avventori, le atmosfere sono quelle di 50 anni fa. E' al piano terra di una casa in cemento armato costruita frettolosamente negli anni Settanta, come la maggior parte degli altri edifici sulla strada principale. Sopra alla biglietteria, un banco di legno unto, c'è un grande pannello in compensato in cui è dipinta Creta in giallo, circondata d'azzurri. Una linea rossa unisce le principali città/fermate della KTEL. A sinistra l'immagine di uno dei primi bus degli anni Cinquanta, un torpedone che arriva sull'isola da occidente volando sul mare.
Una stanca, grassa, trasandata signora, sulla quarantina forse, fa la spola tra la biglietteria e il bancone. Vende biglietti ricordando con una cantilena che il giorno successivo le corse per Chanià saranno solo due, perché festivo. Ma tra un biglietto e una informazione, si alza per mescere vino bianco, accompagnato da piccoli piattini con olive e formaggio. Ai tavoli due operai bevono un caffè, vecchi signori fumano e scambiano qualche parola tra un sorso e un boccone. Chiedo alla bigliettaia informazioni per il traghetto per l'isola di Gavdos, ma non sa nulla e mi dice di scendere al porto.
E' la Gozo di Candia, come si legge sui vecchi portolani, da non confondere con quella più nota di Malta. Gavdos è a 27 miglia, 50 km, in direzione sudest da Paleochora ed è la terra più meridionale d'Europa. Ha un diametro di circa 7 chilometri e sulla rotta per raggiungerla c'è prima la molto più piccola Antigavdos. Se queste sono quelle più distanti dall'isola madre, ce ne sono decine di altre, piccole e grandi che la circondano da vicino, facendo di Creta un vero e proprio arcipelago. Vorrei andarci, magari anche solo per vederla arrivando dal mare, fare una camminata e passarci una notte.
Prima di andare al porto salgo al castello. Paleochora è stata per secoli avamposto della cristianità, periodicamente sotto assedio del saraceno. Costruito su una piccola penisola, la prima volta dai veneziani nel XIII secolo e poi più volte distrutto e ricostruito. “Sopra asprissimo, e dirupato Grebano Marco Gradenigo, il quale col titolo di Duca governava il Regno per la Repubblica, nel 1280 fece erigere un Castello, a cui diede il nome di Selino”, scriveva nel suo isolario uno dei più illustri cartografi del Seicento: Vincenzo Maria Coronelli. Oggi la piazzaforte è un bel affaccio sul Mar Libico, con i ruderi presi d'assalto non da feroci corsari ma da esuberanti erbe e arbusti. E' la phrygana, profumatissima e coloratissima in queste settimane d'aprile, cioè la variante greca della gariga costiera, formata da origani, timi, sparzie, ginestrini, euforbie, capperi, cipolle e agli dove il terreno è più morbido. Il mare e il cielo sono imbronciati, perciò ancor più lontano e seducente è il profilo scuro in controluce di Gavdos che acuisce la mia insulomania, cioè l'irrefrenabile attrazione per le isole, piccole e grandi, vicine e lontane, reali o fantastiche.
Scendo al porto, che è poi un semplice molo dove partono e arrivano i traghetti. O almeno dovrebbero partire e arrivare i traghetti, perché è deserto, le acque sono alte, c'è gran risacca di mare morto e alcune onde lo superano. Vado allora a chiedere informazioni in una taverna poco distante. Ai tavoli c'è solo un uomo che, dopo il primo saluto, capisce subito che sono italiano. Sorride, s'alza in piedi e mi allunga la mano per salutarmi.
“Kalós irthate! Benvenuto! Cosa fai qua, in questa stagione?”.
“Beh... già quando ero ragazzo sognavo di venirci a vela e finalmente sono venuto, anche se in aereo".
“Da solo?”
“Sì. Un paio di settimane con i bus di linea, ma anche a piedi e in bici”.
“Kalós! Di dove sei?”
“Di Rimini”
“Rimini! La conosco, ci sono stato un paio di volte, però d'inverno. Che spiagge e che nebbie!”.
“La spiaggia c'è ancora, la nebbia invece è diventata rarissima … il tempo cambia”, dico io ridendo.
“Eh già. Qui ormai il clima è africano per sei mesi l'anno.”
“Sei venuto in vacanza a Rimini?”
“No! Studiavo medicina ad Ancona … o almeno ci ho provato, per un anno e mezzo. Poi ho capito che non faceva per me. Mi piacevano di più le studentesse dei libri … ma un po' forse ha pesato anche la malinconia per la mia isola e questo paese. Così sono tornato e mi sono messo a fare l'oste, come mio padre e mio nonno che aveva aperto questa taverna nei primi anni Sessanta, con grandi speranze. Poi però le cose si sono complicate negli anni bui della dittatura dei colonnelli e solo dopo, nella seconda metà degli anni Settanta, piano piano sono arrivati numerosi i turisti. Vuoi sederti? Beviamo qualcosa?”
“No grazie. Vorrei prendere il primo traghetto per Gavdos”.
“Mmmhhh … mi sa allora che dovrai aspettare. Con questo tempo il traghetto non arriva e non parte da qua”.
“Cioè non ci sono collegamenti per l'isola?”.
“Non da qua, in questi giorni. Forse da Chora Sfakion. Gavdos è lontana, il mare è difficile, il vento è volubile. Ópos i zoí … come la vita! Dai siediti, beviamo qualcosa”.
Geórgios si alza e va in cucina. Io appoggio a terra lo zaino e mi siedo. Do velocemente una occhiata sullo smartphone al meteo, sul sito dell'EMY, l'istituto nazionale greco di meteorologia. Vento forte e mare da sudest, almeno per un paio di giorni. Geórgios ritorna dopo qualche minuto con un orciolo di vino bianco che profuma di resina e un piattino con pane, olive e formaggio. Gavdos rimarrà all'orizzonte non solo visuale, ma anche dei racconti che ascolterò quel pomeriggio in taverna da Geórgios. Mi racconterà storie di incursioni corsare e battaglie navali. Ma anche di tragici naufragi novecenteschi, come quello della nave a vapore Imperatrix, nel febbraio 1907. Partita da Trieste in direzione Bombay, passando per il nuovo Canale di Suez, terminò tragicamente la sua navigazione sugli scogli vicini a Elafonisi. Un'isoletta a una ventina di chilometri a ovest di Paleochora, collegata da una lingua di sabbia alla terraferma. Da decenni in estate è una delle località più frequentate e fotografate di Creta ma per secoli è stata la propaggine di un pericoloso capo. Venne poi costruito un faro, demolito dai tedeschi durante l'ultima guerra e sostituito negli anni seguenti da un faro a traliccio, che non ha comunque evitato altri naufragi e una quindicina di anni fa quello di un barcone stracarico di migranti.
“Creta è una schedía … a raft … come si dice in italiano?”, mi chiede.
“Una zattera?”
“Sì! una zattera di salvataggio per chi va e viene, a metà strada tra Europa, Africa e Asia. Così è stato per Europa nel mito, così sarà sempre. Europa divenne la prima regina di Creta. Una profuga che diventa regina! Non dimentichiamolo e non stanchiamoci di ricordarlo”.
Si unirà a noi più tardi un amico di Geórgios, Apòstolos vecchio marinaio che ha fatto la spola tra il Pireo e l'Arcipelago per una vita. Insieme brinderemo per un Mediterraneo di pace, insieme condivideremo la nostra insulomania. Il loro amore per le isole, vissuto e controverso; il mio amore per le isole, platonico e atavico.
Ps
Per chi ne voglia sapere di più del naufragio dell' Imperatrix suggerisco alcuni siti web che possono poi offrire spunti per ricerche più approfondite.
https://thepaleochorasite.com/history/the-wreck-of-the-imperatrix-at-elafonissi/
https://www.wrecksite.eu/wreck.aspx?186092
https://www.cretegazette.com/2007-03/imperatrix_wreck.php
Sul mito di Europa si possono leggere le prime pagine de “Le nozze di Cadmo e Armonia” di Roberto Calasso o una versione aggiornata e seducente di Paolo Rumiz: “Canto per Europa”.
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