La chiusura della rotta balcanica sta provocando una crisi umanitaria in Grecia. La situazione nel nord del Paese: intervista a Despina Syrri
Despina Syrri è una delle fondatrici di Symβiosis , organizzazione non governativa con sede a Salonicco che si batte per la partecipazione a livello politico, sociale ed economico dei migranti e delle comunità più vulnerabili
Qual è la situazione in Grecia, e in particolare nella zona di Salonicco?
Da quando sono stati chiusi i confini, il numero delle persone in trappola in Grecia aumenta ogni giorno. Al momento sono circa 40.000, parliamo degli arrivi più recenti, cioè di persone arrivate nelle ultime settimane. A questo numero bisogna aggiungere una media di circa 3.000 nuovi arrivi quotidiani nelle isole. Tutto questo sta creando una crisi umanitaria acuta. In questo momento il tempo è cattivo, piove e fa freddo. Idomeni, con oltre 14.000 persone, è diventata una palude. La situazione è difficile anche al Pireo, dove i profughi scendono dalle navi, e dove hanno creato una tendopoli in attesa di poter proseguire verso nord. Ieri sera la situazione era davvero tragica, sia a Idomeni che ad Atene, al Pireo, molte persone non hanno riparo. Mi chiedo se i leader europei sanno che in posti come la Siria o l'Iraq il sistema sanitario è collassato da anni, che qui ci sono bambini che non hanno alcuna copertura per malattie che da noi sono state sconfitte da anni, come la polio, e che in queste condizioni ci sono gravi rischi per la loro salute.
Come sta reagendo la società greca alla crisi dei migranti?
Lo stato greco è totalmente carente per quanto riguarda la creazione di infrastrutture. Certo, non si può pretendere molto. Nelle attuali condizioni di crisi economica, di enorme disoccupazione, le capacità dello stato di rispondere a questa emergenza sono limitate. Migliaia di rifugiati in pochi giorni significa creare rapidamente strutture di accoglienza, reclutare e formare persone, rispondere velocemente, e tutto questo avviene solo in parte. La risposta della società greca, però, è stata straordinariamente positiva. Ci sono volontari di tutte le età in ogni zona del paese, non solo nei grandi centri urbani. Si porta cibo, si organizzano attività per i bambini.
Di quante persone stiamo parlando?
Migliaia.
Quali sono le organizzazioni principali e come si organizzano?
Non sto parlando solo di organizzazioni. Ci sono molti individui, famiglie che vanno ad aiutare, portando quello che hanno. Ci sono comitati di coordinamento in tutte le città. Qui a Salonicco ad esempio ci sono almeno 60 organizzazioni che cercano di dividersi il lavoro da fare, e di aiutare nel nuovo campo che è stato creato poco lontano dalla città, a Diavata.
Quando è stato creato?
Tre settimane fa. Il giorno dell'apertura, l'ufficiale presente ha detto ai soldati che si preparavano ad accogliere i primi profughi di non dimenticare che i loro nonni avevano dovuto affrontare le stesse sofferenze, e che tutto questo sarebbe potuto capitare anche a loro. Quindi, di sorridere e di fare del loro meglio.
Qual è l'atteggiamento della maggior parte dei media?
I media parlano soprattutto di storie personali, umane, non ci sono stati atteggiamenti xenofobici da parte dei media.
E Alba Dorata?
Al momento non è molto visibile nello spazio pubblico.
La questione dei migranti sta rendendo più difficile il compito del governo e del Primo ministro, Tsipras, in questa difficile congiuntura economica?
In Grecia non ci si interroga su quanto la crisi influenzerà la tenuta del governo. Ci si chiede piuttosto come sia possibile che gli altri paesi europei mostrino atteggiamenti così ostili e xenofobi, e chiudano le frontiere. È evidente che la fiducia nell'Europa si sta erodendo. Forse, anzi, è più corretto dire che una buona parte dell'opinione pubblica in questo momento ritiene che siamo noi quelli che stanno difendendo i veri valori dell'Europa. Questo sta emergendo sempre di più, anche nei media, il fatto che ci sono paesi membri dell'Unione che violano valori europei, che non rispettano i diritti umani.
Cosa succederà alle persone che sono rimaste in Grecia?
I profughi stanno cominciando solo ora a rendersi conto che la rotta balcanica è chiusa. Le migrazioni, però, sono come l'acqua, non puoi fermarle. Si troveranno altre strade, anche se più pericolose e difficili. Molti, certo, resteranno. Per quanto riguarda eventuali rimpatri, avverranno nel quadro degli accordi presi dall'Unione. Su questo la Grecia, in quanto paese UE, non può decidere da sola. Molti chiederanno asilo in Grecia, almeno temporaneo, fino a quando i paesi di origine non saranno sicuri. Ma nessuno può prevedere quando Siria, Iraq o Afghanistan diventeranno sicuri.
L'educazione e l'impiego saranno delle sfide. In Grecia migranti irregolari e richiedenti asilo hanno il diritto di mandare i figli a scuola, i richiedenti asilo possono anche lavorare. A Diavata, ad esempio, ci sono 700 bambini, che dovranno andare a scuola. Certo, è una situazione incerta, le famiglie sperano di poter partire, ma per il momento non è possibile. Siamo ancora in una fase di prima accoglienza: cercare di nutrire e ospitare queste persone, dare un rifugio e assistenza sanitaria di base. Questa è la situazione ora. Certo, bisogna cominciare a pensare alla seconda fase.
La crisi dei rifugiati ha cambiato i i rapporti tra Grecia e Turchia?
Non direi. C'è una certa coreografia delle relazioni tra Grecia e Turchia, tra le nostre due società, basata su alcune narrazioni comunemente accettate...
Da parte di entrambe le società?
Parlo della società greca, ma la mano destra ha sempre bisogno della mano sinistra per funzionare. Ci sono stereotipi e narrazioni positive e negative, e continuano indipendentemente dalla crisi. All'interno dello stesso discorso puoi sentire parlare dell'ospitalità dimostrata dai turchi, che hanno accolto milioni di rifugiati, e del ruolo svolto dalla mafia turca, secondo alcuni con la connivenza delle istituzioni, nel trasporto dei profughi verso le isole greche. La crisi non ha trasformato le narrazioni, se mai le ha rafforzate.
Cosa pensi dell'atteggiamento europeo nella gestione di questa crisi?
La cosa che più mi colpisce è l'assenza di una risposta coordinata da parte della società civile europea su questa questione, che oggi riguarda noi ma domani riguarderà qualcun altro. Ci sono problemi enormi che vanno affrontati, ad esempio la violazione delle normative internazionali sulla protezione umanitaria fatta dai paesi europei. E io sono sorpresa per il fatto che le organizzazioni non governative, le lobby della società civile a Bruxelles, facciano finta di nulla. È come se non si rendessero conto di cosa sta succedendo.
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