Via Egnatia: comunità in cammino
31 agosto 2017
La terza puntata di un viaggio a piedi lungo la Via Egnatia: dal 2015 l'associazione FuoriVia ha cominciato a camminare lungo la Via Egnatia partendo da Durazzo per un progetto quinquennale che raggiungerà Istanbul nel 2019. Ogni estate un gruppo di cinquanta persone percorre circa 250 chilometri a piedi attraverso Albania, Macedonia, Grecia e Turchia alla ricerca delle tracce di questa strada romana costruita come continuazione della Via Appia per collegare Roma all’antica Costantinopoli.
Domenica 27/08/2017 - Rodolivos
Ieri sera siamo arrivati al tramonto, stanchi e assetati. Abbiamo trovato una piazza piena di sedie, un palco, bambine e ragazze col vestito della festa. Giusto il tempo di posare i sacchi, guardarsi attorno, e subito qualcuno ha messo in mano a ciascuno di noi un bicchiere di the di montagna, raccolto proprio qui, lungo la Via Egnatia. Quello che sta accadendo in questi giorni è più di quello che ci saremmo aspettati potesse produrre il nostro solo desiderio di essere qui. In fondo siamo partiti per la Via Egnatia, per non fare morire una pratica, appresa lentamente, e non senza fatica, da un maestro, capace di creare attorno a sé una vera e propria comunità. Se noi siamo oggi sulla Via Egnatia, in più di quaranta, fra studenti, ricercatori, professionisti ed amatori, a ragionare e sognare un nuovo Camino de Santiago fra Durazzo e Istanbul, e soprattutto se lo facciamo in questo modo, è perché dall'a.a. 1999/2000 ad oggi, il professor Virginio Bettini ha portato più di mille studenti a camminare sulle vie storiche culturali dell'Europa, ogni anno (e continua a portare, nonostante il pensionamento), per un totale di più di mille studenti. È perché lo ha fatto e lo ha fatto in questo modo.
Si parla quindi di pratica, comunità e lentezza.
Pratica, non metodo: i confini sono fluidi, le reti sono elastiche, le regole sfuggenti o, meglio, non enunciabili. Si condivide piuttosto che insegnare, si impara partecipando. Per imparare un metodo si leggono le regole, si memorizzano, si prova ad applicarle. Per imparare una pratica invece, bisogna mettersi in ascolto, con tutti e sensi e con tutte le corde della propria intelligenza e sensibilità. È un gioco che si fa insieme e che, lentamente, si lascia modificare dai giocatori.
Giocando allo stesso gioco, diventiamo per un poco comunità. Siamo la stessa del 2000? E giochiamo ancora quello stesso gioco? Sì e no, allo stesso modo in cui io sono ancora io, anche se negli anni ho cambiato viso e voce, anche se non ho più nemmeno una delle cellule che facevano il mio corpo quando sono venuta al mondo.
Ci muoviamo piano, siamo lenti, torniamo sui nostri passi, ci fermiamo ad ogni bar, giochiamo a carte nei paesi, non vogliamo alzarci dal prato in campagna. Vogliamo fare tutto e dare il giusto tempo ad ogni cosa. Da fuori appariamo bislacchi, disorganizzati, perfino indolenti. In realtà siamo ingordi e non vogliamo tornare a casa. Siamo insubordinati, non riusciamo ad affrettare il passo e lasciare un paesino di cui siamo innamorati, incontrato per caso, per non rischiare di arrivare tardi e far aspettare un sindaco che ci aspetta a un orario preciso.
Alcune soddisfazioni: gli ultimi giorni li abbiamo spesi nel comune di Amphipolis, l'accoglienza è stata calorosa, festosa e generosa. Tanti incontri, tanti dialoghi, anche quando non si condivide nessuna lingua, le feste nelle piazze, i bambini sul palco, noi tutti in massa sul palco con le facce abbronzate e i piedi doloranti. Corre voce che qualcuno abbia avuto la pelle d'oca. Ma se l'ospitalità greca è proverbiale, quello che più ci interessa sono le parole di commiato: ci dicono vi ringraziamo, perché nessuno prima di voi si era interessato ai nostri luoghi, alla nostra storia, a quanto possiamo e desideriamo offrire. Certamente non è così, non siamo i primi ad aver camminato sulla Via Egnatia, o a studiare la storia di questi luoghi, ma forse è vero, nel bene e nel male, siamo i primi a farlo così.
Alice Merenda Somma