Si è da poco concluso il quarto corso nazionale "Le frontiere dell'intervento civile nei conflitti" promosso dall'UNIP, Università Internazionale dei Popoli per la Pace.
Venticinque corsisti provenienti dai mondi delle organizzazioni non governative, delle associazioni e degli enti locali si sono ritrovati per interrogarsi e confrontarsi su che cosa si vada a fare quando si realizzano progetti di cooperazione decentrata e diplomazia dal basso, e sul perché e sul come lo si vada a fare. Muovendo da queste considerazioni, il corso si proponeva come occasione di incontro e riflessione per coloro che promuovono e realizzano azioni e progetti di solidarietà internazionale. Soprattutto cercando di evidenziare le dimensioni dell'intervento civile nei conflitti internazionali, alla luce dei potenziali contributi della cooperazione allo sviluppo nella costruzione della pace e della diplomazia dal basso nel favorire processi di sviluppo. Durante il corso hanno trovato ambiti di riflessione e confronto varie esperienze che sono state vissute in questi anni secondo modalità e sensibilità diverse.
Tra gli invitati a tenere seminari ed interventi vi sono stati Nanni Salio del Centro Studi S. Regis, Claudio Bizzozero del Coordinamento Comasco per la Pace, Paolo Cereda della Caritas Italiana, Claudio Bazzocchi e Rosita Viola del Consorzio Italiano di Solidarietà, Aldo Bonomi dell'Istituto Aaster, Michele Nardelli dell'Associazione Progetto Prijedor, Giuliano Pontara, coordinatore scientifico dell'Iupip e l'Operazione Colomba, espressione dell'Associazione Papa Giovanni XXIII.Per poter dare uno sguardo su questa settimana di studio abbiamo intervistato Silvia Nejrotti che del corso è stata tra le promotrici e tutor:
Innanzitutto una considerazione sui partecipanti del corso: da quali mondi provengono, con quali caratteristiche, quali le aspirazioni?
La gran parte dei partecipanti proveniva dal mondo delle organizzazioni non governative, delle realtà di volontariato, delle associazioni, impegnate in attività e progetti di solidarietà internazionale e di cooperazione decentrata in situazioni di conflitto o post-conflitto.
Alcuni erano inseriti attivamente e professionalmente in questo mondo, per altri si è trattato di un primo approccio, pur supportato da precedenti esperienze di impegno volontario o da percorsi di studio sui temi trattati in aula.
Geograficamente, il corso ha accolto persone da tutta Italia, consolidandosi così come riferimento nazionale.Pensando ai partecipanti, ricevo l'impressione di uno spaccato di società civile forte, attiva, motivata, decisamente lontana dall'iconografia classica del pacifista come anima bella animata da buone intenzioni e disancorata dalla realtà. Un grande potenziale umano, che chiede professionalità e preparazione per svolgere il proprio lavoro di cooperante e pacificatore. Ciò che emerge con evidenza da questi corsi è infatti la richiesta di spazi formativi, dove potere acquisire informazioni e, professionalità, ma anche dove potersi porre domande sul senso del proprio fare. Lavorare per la pace in situazione di conflitto, mediante progetti di cooperazione decentrata e diplomazia dal basso, non è un'opzione velleitaria, ma un'attività concreta, che solleva questioni delicate, di ampissima portata.
In un contesto dove la risposta armata sembra aver scalzato altri ambiti e spazio delle relazioni internazionali e degli interventi internazionali quale il senso di un corso di questo tipo?
Stiamo vivendo un tempo dove il pensiero dominante è che non si diano alternative alla violenza per stabilire la giustizia e la pace e dove gli spazi di riflessione sulla politica internazionale sono progressivamente erosi dall'apparente urgenza di una risposta immediata. In questo quadro, il solo nominare e parlare di diplomazia dal basso e di cooperazione decentrata, come modalità costruttive anziché distruttive di intervenire e agire nel conflitto, ha un valore in sè. Istituire un corso su questi temi significa infatti dare dignità a saperi, linguaggi, progetti, azioni, svincolati dalla logica dell'ineluttabilità della violenza armata come gestione dei conflitti internazionali. Significa riconoscere che altri modi di stare nei conflitti non solo sono possibili, ma sono in atto, contemporanei a quelli violenti. Gli attori di pace - individuali e collettivi - esistono, lavorano, pensano, incidono. E chiedono di essere formati e preparati, non soltanto da un punto di vista tecnico. Il senso del corso sta allora nel raccogliere e rispondere a questo tipo di domanda. Si potrebbe dire: "se vuoi la pace, prepara operatori di pace".
Quali obiettivi ci si era proposti? Sono stati raggiunti?
Il corso si è effettivamente configurato come opportunità di incontro, scambio e riflessione per coloro che promuovono e realizzano azioni e progetti di solidarietà internazionale. Da questo punto di vista, ha dunque raggiunto i suoi obiettivi.
Dal punto di vista dei contenuti, l'obiettivo del corso era tematizzare l'intreccio tra la diplomazia dal basso come azione di sviluppo, da un lato, e la cooperazione decentrata come azione di pace, dall'altro. Questo, nel quadro dell'intervento civile nei conflitti. Molto ci si è soffermati su questioni di politica internazionale. Riflesso inevitabile dei tempi che stiamo vivendo, oltrechè rimando ad una sfera più ampia, imprescindibile per analizzare il senso delle azioni di diplomazia dal basso e di cooperazione decentrata.
Che opinioni sono emerse sui contenuti del corso dalle valutazioni conclusive dei partecipanti?
Innanzitutto, un rimando molto positivo è giunto sul senso di questo corso, che non propone tanto una formazione di carattere tecnico-operativo, quanto una riflessione sull'azione: un corso di questo genere, su questi argomenti, risponde ad un'effettiva domanda. Certo, va perfezionato, intrecciando più strettamente le questioni di carattere generale alle specificità dei contesti in cui si opera.
In secondo luogo, una forte istanza emergente dai partecipanti è stata quella di trasformare il corso in un percorso, che sviluppi una continuità formativa, in cui più spazio abbia la dimensione progettuale e operativa. Lavoreremo a questa ipotesi, che ci pare particolarmente feconda, facendo i conti con le risorse a diposizione.
E' difficile fare una scelta ma tra tutti gli interventi quale quello che hai ritenuto più interessante e ricco di spunti?
Rispondo a questa domanda, provando ad interpretare le valutazioni scritte dai partecipanti: mi sembra che, pur essendo tutti gli interventi, in misura diversa, apprezzati, quello di Giuliano Pontara sulla strategia e tattica nonviolenta abbia raccolto i più ampi consensi.
Dati i tempi attuali, sarebbe interessante, forse, domandarsi il perché.
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