Božidar Stanišić ricorda Pierluigi Di Piazza (Tualis, 20 novembre 1947 – Zugliano, 15 maggio 2022) sacerdote friulano, attivista per la pace e la solidarietà, scrittore e fondatore del Centro Ernesto Balducci di Zugliano, nell'anniversario della sua scomparsa
Cosa direbbe ora Pierluigi?
Questa domanda sorge spontanea ogni volta che ascolto dibattiti sull’immigrazione, sia parlamentari che televisivi, e slogan delle menti superficiali che hanno inondato i social. È una domanda retorica, lo so, così come sarebbe retorica la domanda sul futile utilizzo di espressioni come “Terza guerra mondiale” e “possibile uso di armi nucleari”. Si ricorre troppo facilmente a simili termini, come se si trattasse della scelta di una destinazione turistica o, ad esempio, di un soprabito da mezza stagione.
Quando, quel lontano autunno del 1992, mi ero trovato tra i seicento presenti all’inaugurazione del Centro “Ernesto Balducci” a Zugliano, nel comune di Pozzuolo del Friuli, nei pressi di Udine, non sapevo chi fosse Balducci. Di Pierluigi di Piazza sapevo ben poco. A tutt’oggi ricordo assai chiaramente quella limpida giornata di settembre. Credo che alla cerimonia fosse presente l’intero Friuli alternativo. In quell’occasione scrissi sul mio taccuino: “Maria, la madre di Pierluigi, e una signora anziana di nome Cesarina mi hanno detto la stessa cosa senza accordarsi prima: ‘Rifugiato? Disertore? Non c’è nulla di cui vergognarsi!’”.
Poco tempo dopo, io e i miei cari venimmo ospitati nel Centro, o meglio nella casa della famiglia Calligaro (con cui a tutt’oggi siamo rimasti amici). A quel tempo il Centro era una Jugoslavia in miniatura. Anzi, avendo ospitato persone provenienti dai quattro angoli della terra, era un globo in miniatura, e lo è ancora oggi.
In quegli anni (di guerra, da non augurare nemmeno al peggior nemico, come dicono ancora oggi le brave persone di tutta la regione) con Pierluigi partecipai a diverse conferenze sul conflitto in Bosnia e in ex Jugoslavia, organizzate in tutto il Friuli (e oltre). Chissà quante volte intervenimmo a simili eventi, eppure Pierluigi non mancò mai di rievocare le epoche in cui gli abitanti di queste terre emigravano all’estero, dal Belgio agli Stati Uniti, dalla Francia all’Argentina.
In quel periodo, nella regione Friuli Venezia Giulia i profughi dell’ex Jugoslavia venivano accolti solo nella caserma di Cervignano (successivamente anche a Purgessimo e Lignano). Pierluigi proponeva instancabilmente che ogni comune della regione ospitasse qualche profugo così da evitare che in un solo luogo se ne concentrassero cinquecento (Questa però è una lunga e difficile storia in cui trova posto anche qualche critica rivolta alle istituzioni ecclesiastiche.)
Pierluigi percepiva la guerra (quella degli anni Novanta in ex Jugoslavia, ma anche quella conclusa poco prima in Kuwait e Iraq) da una profonda prospettiva storica e dai labirinti del cosiddetto panorama internazionale, partendo sempre dal Vangelo come un’annunciazione che può diventare un rituale oppure un autentico punto di riferimento spirituale. Rifletteva, parlava e agiva contro la guerra – vista come il male più grande del mondo – con una passione che lo contraddistingueva dai suoi contemporanei. Criticava la cecità dei politici italiani ed europei in modo ragionevole e mai infondato, così come criticava gli atteggiamenti ipocriti nei confronti dei rifugiati e la rimozione del fenomeno dell’emigrazione italiana.
Così pian piano conoscevo sempre meglio Pierluigi e la sua idea di creare un centro di accoglienza per immigrati. Ne parlava spesso anche durante i suoi discorsi pubblici. Quando, verso la fine degli anni Ottanta, fu portata a termine la ricostruzione della casa canonica di Zugliano, Pierluigi non voleva che l’intera abitazione fosse riservata esclusivamente a lui. Nel febbraio 1988 vi ospitò tre migranti provenienti dal Ghana e l’anno successivo, insieme ad un gruppo di attivisti, fondò il centro “Ernesto Balducci” che ben presto divenne una delle realtà culturali più attive del Friuli e dell’intero nord est Italia. Il centro creato da Pierluigi era, ed è rimasto una voce contro ogni forma di provincialismo, in primis quello politico e culturale. In questo contesto si inscrive anche l’idea di religione e di Chiesa coltivata da Pierluigi. Lasciamo però che ne parli chi conosce meglio l’argomento.
Sono ancora convinto che il percorso esistenziale di Pierluigi, come anche la sua concezione del mondo, di Dio e dell’uomo, sia stato in gran parte determinato dal fenomeno migratorio. Con un’intuizione profetica, riteneva che “l’incontro con l’altro e il diverso” – come lo definiva nei suoi articoli pubblicati prima sul quotidiano Il Gazzettino, poi su Il Messaggero Veneto – potesse cambiare profondamente l’Italia, l’Europa e l’intero Occidente. Per Pieruigi, il fenomeno migratorio è lo specchio più veritiero e spietato poiché riflette tutte le ingiustizie economiche e sociali del mondo in cui viviamo. Partendo da questa idea, nei primi anni Duemila ha avviato il progetto di ampliamento del Centro "Ernesto Balducci" con cui la capienza è stata raddoppiata, passando da 30 a 60 posti.
È lunga la lista dei partecipanti a conferenze e dibattiti organizzati dal Centro: da Dalai Lama a Massimo Cacciari, da Margherita Hack a don Domenico Gallo, da Boris Pahor a Rinaldo Fabris, da Luigi Ciotti ad Adolfo Pérez Esquivel. Altrettanto lunga è la lista dei relatori di tutte le edizioni del congresso, organizzato ogni anno a settembre, sempre seguendo il filo del pensiero di Ernesto Balducci che Pierluigi considerava suo maestro. Anche don Lorenzo Milani e l’arcivescovo Óscar Romero hanno influenzato le scelte e il percorso spirituale di Pierluigi. Parlava volentieri dei suoi maestri anche durante le numerose visite di studenti al Centro. Spesso parlava anche delle sue origini modeste, senza mai dimenticare di accennare a qualche aspetto, per lui importante, della vita di suo padre Tranquillo, calzolaio, e sua madre Maria, casalinga. Il padre di Pierluigi riparava scarpe in cambio di due spicci, mentre sua madre da bambino lo aveva abbonato ad una rivista per piccini. Così Pierluigi fin dalla tenera età aveva iniziato a comprendere l’importanza del linguaggio.
Rischiando di sembrare presuntuoso, ribadisco di essere stato il primo ad affermare che Pierluigi, oltre ad essere sacerdote e direttore del Centro, è sempre stato anche uno scrittore. Lo ha confermato lui stesso con i suo libri, soprattutto nell’ultima fase della sua vita. La sua opera ruota attorno al pensiero: “prendere a cuore” (che è anche il titolo di un suo libro). Ci sono molte persone intelligenti in questo mondo, ma raramente provano emozioni, se non sono addirittura completamente senza cuore.
Una volta dissi a Pierluigi che il Centro era anche un’università, e lui rispose che stavo esagerando. Poi però una decina di anni dopo, facendo il bilancio delle iniziative culturali organizzate dal Centro, gli tornò in mente quella mia osservazione: “Come hai detto quella volta? Un’università?”.
Ricordo volentieri un viaggio in Giappone dove nell’agosto del 2005, come parte di una delegazione di sei membri, su invito della nostra cara amica Suzuko Numate, testimone diretto della catastrofe di Hiroshima, trascorremmo una quindicina di giorni, partecipando alla commemorazione del 60° anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima e a molti altri eventi. In quell’occasione ci rendemmo conto che i giapponesi avevano vissuto molto più intensamente rispetto agli europei l’esperienza dell’utilizzo di uranio impoverito in Iraq e in Serbia. Non dimenticherò mai l’alba del 6 agosto quando Pierluigi mi propose di uscire dall’albergo per vedere come gli abitanti di Hiroshima rendevano omaggio alle vittime della bomba atomica. Qualche ora dopo, quando alcuni ragazzi e ragazze distribuivano l’edizione speciale di un giornale locale, anche noi ne prendemmo qualche copia. Solo successivamente però ci accorgemmo che in una grande fotografia, in mezzo ad una folla di cittadini di Hiroshima vestiti di bianco, c’era un uomo che indossava una maglietta blu. Era Pierluigi, quasi al centro della scena, davanti al modesto Monumento alle vittime. Questa fotografia mi è tornata in mente all’inizio della guerra russo-ucraina quando si è ricominciato a parlare con nonchalance della possibilità di una guerra nucleare. Solo menti ottuse ed egoiste possono parlare così di un argomento su cui credono di sapere tutto, mentre in realtà non sanno nulla.
Concludo con un ricordo, che però non riguarda i funerali di Pierluigi a cui erano presenti anche molti degli ex ospiti del suo centro, venuti ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, al piccolo cimitero di Tualis, lassù in Carnia.
No, è un altro ricordo.
In quegli anni lontani tornavamo dalle conferenze a notte inoltrata. Nella vecchia, anzi antica Fiat 127 di Pierluigi c’era una radio con cassetta. Ad un certo punto la accendeva e ogni volta il primo suono che sentivamo era quello di una fisarmonica.
“La fisarmonica… un po’ dolcezza, un po’ tristezza”, diceva sempre Pierluigi.
Pierluigi Di Piazza è nato a Tualis (frazione di Comeglians, provincia di Udine) il 20 novembre 1947. Dopo gli studi presso il Seminario di Udine, nel 1973 si è laureato in Teologia all’Università San Tommaso d’Aquino di Roma, per poi conseguire, nel 1994, un dottorato di ricerca presso lo stesso ateneo con una tesi dal titolo “Morire nella città secolare: riflessioni teologiche in prospettiva pastorale”. Dal 1973 al 2004 ha insegnato teologia a Udine. Ordinato sacerdote nel 1975, è stato parroco di Zugliano dove nel 1989 ha fondato il Centro “Ernesto Balducci” di cui per anni è stato direttore e instancabile animatore. Per il suo impegno per la pace, il dialogo culturale e la solidarietà tra popoli e religioni nel 2004 è stato proclamato membro onorario della Commissione interecclesiale Giustizia e Pace di Bogotà. Nel 2006 la Facoltà di Economia dell’Università di Udine gli ha conferito una laurea honoris causa in Economia della solidarietà. È autore di una ventina di libri, tra cui In cammino con le tribù della terra (2002), Prendere a cuore (2004), Nel cuore dell’umanità (2006), Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete (con Margherita Hack, 2012), Non girarti dall’altra parte. Le sfide dell’accoglienza (2019), Non uccidere. Per una cultura della pace (pubblicato postumo nel 2023).
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