In Italia l’abolizione del finanziamento pubblico alla politica ha reso gli attori politici più dipendenti da soggetti privati e potenzialmente più vulnerabili a interferenze. È quindi urgente adeguare il quadro legislativo e introdurre misure che riducano queste vulnerabilità e garantiscano effettiva trasparenza. Spunti di riflessione e alcune proposte concrete
La questione del finanziamento proveniente dall'estero a partiti, movimenti politici, o singoli candidati come strumento di interferenza esterna nei processi democratici ha ottenuto molta attenzione negli ultimi anni, anche in casi in cui il finanziamento non si è effettivamente concretizzato.
Il prestito di una banca con legami con il Cremlino al Front National di Marine Le Pen nel 2014 ha destato scandalo, anche se non era tecnicamente vietato dalla legge. In Austria , un video che mostrava la disponibilità da parte di figure chiave di un partito di governo ad accettare finanziamenti di dubbia provenienza legati alla Russia ha portato alla caduta del governo nel maggio del 2019. In Italia, rivelazioni pubblicate prima dal settimanale L’Espresso e poi, in forma più estesa, da BuzzFeed news , hanno mostrato gli sforzi di persone vicine alla Lega per ottenere finanziamenti illeciti per sostenere la campagna elettorale del partito di Matteo Salvini. In vista delle elezioni europee, Steve Bannon, ex-consigliere di Donald Trump e noto esponente della destra americana, aveva annunciato l’intenzione di contribuire al successo di forze politiche nazionaliste e populiste nel Vecchio Continente fornendo tra l’altro sostegno finanziario alle stesse. Il piano è crollato miseramente , tra l’altro perché leggi a tutela dall’interferenza esterna nei processi elettorali avrebbero reso illegale il suo lavoro in nove dei 13 paesi in cui intendeva operare ma la questione ha avuto risonanza mediatica e politica.
In Italia, il finanziamento dall’estero ai partiti è vietato solo a partire dal 2018 , ma secondo un’analisi di Transparency International Italia , le donazioni dall’estero ai partiti italiani tra il 2014 e il 2017 erano comunque del tutto assenti o di entità trascurabile.
Tanto rumore per nulla?
Se i potenziali finanziamenti al centro di alcuni dei grossi scandali che hanno attirato l’attenzione dei media in questi ultimi anni non si sono concretizzati, e se in Italia il finanziamento dall’estero ai partiti – prima di essere vietato – era praticamente inesistente, vi è davvero motivo di tanta preoccupazione?
I motivi, come vedremo, ci sono e anche solo il diffuso sospetto che vi sia interferenza esterna è sufficiente a inquinare il dibattito pubblico e il sereno svolgimento di processi democratici. La misura apparentemente più diretta per mitigare il rischio di interferenza esterna è quella di vietare del tutto il finanziamento dall’estero ai partiti, così come ad oggi prevede la legge italiana che vieta finanziamenti sia da aziende “aventi sede in uno Stato estero non assoggettate ad obblighi fiscali in Italia” sia da “persone fisiche maggiorenni non iscritte nelle liste elettorali”.
Questa norma ha una sua logica, ma è problematica da vari punti di vista. In primo luogo, in un contesto in cui a livello di Unione europea stanno lentamente prendendo piede alcune forze politiche transnazionali, limitare del tutto donazioni “dall’estero” può diventare discutibile. Problemi di questo tipo sono emersi ad esempio quando i liberali europei dell’ALDE hanno evidenziato come un nuovo regolamento di Facebook introdotto per contrastare interferenze esterne limitasse le loro possibilità di fare campagna a livello comunitario. È quindi importante fare in modo che misure introdotte per limitare l'interferenza esterna non siano da ostacolo alla formazione di uno spazio politico condiviso a livello europeo di cui vi è sempre più bisogno per affrontare le grandi sfide del ventunesimo secolo.
In secondo luogo, definire che cosa è effettivamente “estero” è sempre più complesso in un contesto in cui la proprietà di grosse aziende è spesso mista, o in mano a holding dalla struttura complessa. Con la legge attuale, il criterio dirimente per le aziende è se queste pagano o meno tasse in Italia, ma non vi sono limiti particolari per aziende con sede locale controllate da interessi stranieri. Se la questione di cosa deve essere inteso per “estero” è complessa per persone giuridiche, non è necessariamente più facile per le persone fisiche. Se la provenienza della ricchezza di un cittadino è estera, le sue donazioni dovrebbero essere considerate “nazionali” oppure provenienti dall’estero? Domande di questo tipo diventano presto concrete in un contesto di globalizzazione dei mercati e forte interdipendenza economica, come è emerso dal dibattito sul ruolo di Arron Banks, uomo d’affari britannico che avrebbe donato quasi 10 milioni di sterline a forze politiche che hanno sostenuto l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Scrivendone per OpenDemocracy.net , Alastair Sloan e Iain Campbell hanno commentato: “Per mantenere il tessuto democratico in Regno Unito è fondamentale capire dove i grandi donatori hanno fatto i loro soldi e, altrettanto importante, come”. La recente esperienza britannica ricorda quindi come questioni legate all’opacità del finanziamento alla politica non siano certo un caso di “tanto rumore per nulla”, ma una questione centrale dei processi democratici da regolamentare con attenzione in un contesto in cui è problematica non solo l’origine dei finanziamenti ma anche l’impatto sproporzionato che l’esistenza stessa di “grandi donatori” comporta.
Limiti alle donazioni, trasparenza, e controlli adeguati
Determinare quali finanziamenti debbano essere considerati “esteri” e quali di questi effettivamente dannosi per i processi democratici nei paesi europei non è facile. Considerata la significativa presenza di aziende di varie parti del mondo in ogni paese europeo, molte di queste con forti legami con i governi del loro paese d’origine, non è difficile immaginare come un attore “locale” possa essere utilizzato come vettore per trasferire risorse, evitando limiti al finanziamento diretto estero ad organizzazioni politiche. La complessità nel definire, regolare, ed effettivamente controllare il fenomeno, non deve essere un pretesto per minimizzarne la rilevanza, ma piuttosto occasione per introdurre misure che effettivamente siano in grado di mitigare i rischi di interferenza in questo contesto.
Nessuna donazione da parte di persone giuridiche
In Francia, a partire dal 1995 aziende private non possono in alcun modo finanziare organizzazioni politiche. È una misura che potrebbe essere introdotta anche in Italia, togliendo così ogni dubbio rispetto alla nazionalità dell’azienda donatrice e limitando gli spazi per donazioni da parte di aziende che in determinate circostanze hanno chiaro scopo corruttivo (ad esempio, donazioni in cambio di appalti o di leggi favorevoli). D’altra parte, sono le persone, non le aziende, che votano e sono al centro dei processi democratici di un paese: vietare alle aziende di finanziare la politica non sarebbe quindi lesivo di alcun diritto.
In Italia, l’impatto di questa misura sul bilancio dei partiti sarebbe peraltro limitato: secondo dati di OpenPolis relativi al 2017, meno del 5 per cento delle donazioni private a partiti provengono da persone giuridiche. Avrebbero invece un notevole impatto su iniziative politiche come ad esempio la fondazione del movimento “Cambiamo!” da parte del presidente della regione Liguria Giovanni Toti, finanziata tra maggio e luglio 2019 quasi esclusivamente da grosse donazioni da parte di aziende .
Limitare l’entità delle donazioni
In Italia, il limite attuale alle donazioni da parte di un singolo (o di un’azienda) è di 100.000 euro su base annuale. Dovrebbe essere ridotto notevolmente, di nuovo prendendo esempio da Oltralpe: in Francia il limite è attualmente di 7.500 euro. Questa misura renderebbe molto più difficile per un attore esterno trasferire somme considerevoli di denaro utilizzando un tramite locale ed eviterebbe il problema dei “grandi donatori”.
In Italia, dove donazioni individuali da parte di parlamentari costituiscono una parte importante del bilancio di partiti, sarebbe probabilmente necessario includere un’eccezione, mantenendo i limiti attuali, per i rappresentanti eletti. Escludendo gli eletti da questo limite, l’impatto sui partiti tradizionali potrebbe essere limitato. Come emerge dall’analisi dei dati pubblicati da OpenPolis , avrebbe però un notevole impatto su alcune fondazioni e startup politiche, come ad esempio i Comitati Azione Civile di Matteo Renzi finanziati in buona parte da un piccolo numero di grandi donatori.
Trasparenza effettiva
Le nuove regole sulla trasparenza del finanziamento a organizzazioni politiche in vigore a partire dal 2019 obbligano le organizzazioni a rendere pubblici i dati sulle donazioni. È un bel passo avanti, ma un registro unico centralizzato, con dati direttamente leggibili sia da persone che da sistemi informatici, semplificherebbe notevolmente il lavoro di cittadini, giornalisti e analisti interessati alla questione. Lasciare alle singole organizzazioni il compito di individuare il metodo con cui diffondere questi dati porta a risultati molto difformi: per esempio, il Partito Democratico rende disponibili i dati sul suo sito , ma è possibile scaricare il relativo file (peraltro, in formato pdf) solo iscrivendosi a LinkedIn. Attualmente, l’unica fonte centralizzata disponibile è un file pdf di centinaia di pagine pubblicato sul sito della Camera: è un riferimento utile, ma di difficile consultazione, ennesimo esempio di come l’applicazione delle leggi sulla trasparenza continui ad essere problematica in questo settore.
Si tratta in sostanza di dare effettivamente seguito alle raccomandazioni del GRECO - l'organo anticorruzione del Consiglio d'Europa - il quale ha ufficialmente invitato le autorità italiane ad introdurre “un approccio coordinato per la pubblicazione delle informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali” e ad “assicurarsi che tali informazioni siano rese disponibili in modo coerente, comprensibile e tempestivo".
Risorse adeguate per gli enti di controllo
Come argomentava Aaron Swartz , vi è spesso il rischio che “la trasparenza sposti il lavoro dal governo al cittadino comune, che non ha né il tempo né la competenza per investigare tali questioni in dettaglio, tantomeno la possibilità di fare qualcosa a riguardo”. La trasparenza è importante per permettere a giornalisti e studiosi di analizzare indipendentemente i dati, ma non può essere un pretesto da parte dello Stato per abdicare alle proprie responsabilità.
In Italia, la “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici” non ha risorse sufficienti per svolgere in modo adeguato la sua missione, come riportato dalla stessa Commissione ed evidenziato da OpenPolis . Per garantire l’integrità del sistema, gli organi di controllo devono avere risorse adeguate per svolgere il loro lavoro ed essere in grado di coordinarsi adeguatamente.
Conclusioni
La materia del finanziamento alla politica è complicata, e, come emerge anche dagli sforzi di regolamentazione espressi dall’attuale legislatura, non è semplice neppure restringere il cerchio e definire quali organizzazioni debbano effettivamente essere considerate politiche. Attualmente vi sono una serie di criteri che determinano quando fondazioni, associazioni e comitati devono essere assimilati ai partiti, e ragionevolmente ci vorrà qualche tempo per vedere quanto in pratica questi criteri siano funzionali allo scopo.
Al di là di una migliore regolamentazione del finanziamento alle organizzazioni politiche, altre iniziative a favore della trasparenza della propaganda politica e della pubblicità online potrebbero mitigare il rischio di interferenza.
D’altra parte, è importante sottolineare come in un contesto democratico le forze politiche abbiano bisogno di adeguate risorse per gestire le proprie attività e partecipare con forza al dibattito pubblico e alle sfide elettorali. Norme mirate ad aumentare la trasparenza e a ridurre il rischio di interferenza esterna non devono quindi creare inutili ostacoli al reperimento di fondi. Affiancare a nuovi obblighi e limiti adeguati strumenti per il reperimento o la distribuzione di risorse è quindi opportuno, anche considerando il limitato impatto del “2 per mille” come misura compensativa alla rimozione del finanziamento pubblico diretto (le entrate dei partiti sono infatti più che dimezzate tra il 2013 e il 2017 ).
Le misure qui delineate – divieto di donazioni da parte di aziende, limitazione dell’entità delle donazioni, trasparenza e maggiori risorse per gli organi di controllo – contribuirebbero significativamente a garantire l’integrità dei processi democratici in Italia e a ridurre i rischi di interferenza esterna, senza comportare costi insostenibili per le organizzazioni politiche. Se introdotte, renderebbero ridondante l’attuale divieto totale di donazioni dall’estero provenienti da cittadini dell’Unione europea, evitando così di ostacolare la nascita o crescita di movimenti politici transnazionali nel contesto dello spazio politico comune dell’UE (donazioni extra-UE rimarrebbero invece vietate o eventualmente regolate separatamente e fortemente limitate). Governi di diverso colore hanno adottato iniziative utili in questi anni per aumentare la trasparenza in questo settore. Si tratta di un percorso nelle giusta direzione che non deve essere interrotto.
Una mappa interattiva
Una mappa interattiva di alcuni dei principali scandali legati al finanziamento dei partiti e della campagne elettorali in Europa. In alcuni casi i finanziamenti (o presunti tali) sono illegali in sé, in altri casi lo scandalo deriva dalla mancanza di trasparenza.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
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