Il 26 aprile se ne è andato da questa vita Francesco Maria Feltri. Aveva 63 anni. Una morte improvvisa che ha lasciato nello sconcerto le molte persone che lo avevano apprezzato nel suo tragitto di studioso, insegnante e formatore
(Pubblicato originariamente il 4 maggio sul portale www.michelenardelli.it )
Per chi non ha avuto l'opportunità di conoscerlo, Francesco Maria Feltri era considerato tra i massimi esperti italiani di Storia del Nazionalsocialismo e della Shoah. Innumerevoli i viaggi di studio che ha accompagnato in Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Baltici, Russia, Turchia e Israele, collaborando con musei, fondazioni e istituzioni della memoria, tra cui la Fondazione Fossoli di Carpi e l'Istituto di Storia della Resistenza di Modena.
Ho conosciuto Francesco Maria Feltri solo nel 2018, in occasione del viaggio di studio “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”. Andammo a rendere omaggio a Predrag Matvejević, nel luogo della sua ultima dimora nel cimitero di Zagabria; al memoriale che ricorda il campo di sterminio di Jasenovac; a Omarska, nei pressi di Prijedor, dove nel 1992 riapparvero i campi di concentramento; a Sarajevo, dove ebbe tragicamente inizio il Novecento e dove altrettanto tragicamente si concluse; a Srebrenica, dove si consumò sotto lo sguardo ipocrita del mondo il massacro della popolazione bosgnacca che aveva cercato protezione nella base delle Nazioni Unite. E qui mi fermo un attimo.
Perché in quella notte, nello sperduto villaggio di Osmace, non lontano da Srebrenica, con Francesco c'eravamo un po' raccontati, con il pudore di non compiere invasioni. Il carattere diciamo così spartano della nostra piccola dimora da poco recuperata in una delle tante case andate distrutte dalla furia di chi aveva lo scopo di dissuadere gli abitanti dal ritornare, ci obbligava a condividere nostro malgrado le piccole intimità del coricarsi e del risveglio in una prossimità fatta di sì e no quattro metri quadrati. Nelle mie frequentazioni balcaniche non era certo la prima volta che mi capitava, ma ho un nitido ricordo di quelle ore trascorse con Francesco e del suo garbo.
Quella stessa attenzione che Francesco metteva nell'intervenire durante il nostro viaggio. Avere con noi uno storico del Novecento nel viaggio che andavo accompagnando nei meandri di una vicenda come quella balcanica che dell'Europa del secolo scorso è stata tutt'altro che marginale, e oltre tutto nelle vesti di uno dei tanti partecipanti, non era propriamente agevole. Ricordo come, nei passaggi cruciali (e certamente controversi) del mio racconto, osservassi le sue reazioni (nel pullman era seduto proprio dietro di me) e di come avessi apprezzato quella sua delicatezza carica di conoscenza nel suo prezioso argomentare.
Proseguimmo il nostro viaggio lungo la Drina verso Belgrado, la moderna capitale della vecchia Jugoslavia dove malgrado tutto puoi capire la natura europea di questa regione. E poi prendemmo la strada del ritorno non senza aver reso omaggio a Vukovar, altra città martire degli anni '90.
L'anno successivo (era il 20 marzo 2019) ci fu una nuova occasione di incontro con Francesco Maria Feltri. Si trattò della serata di presentazione a Modena del libro “Sicurezza” , alla quale Francesco partecipò come relatore. Tenevo molto al suo giudizio verso questo lavoro editoriale dedicato ad una parola diventata un mantra del nostro tempo. Di nuovo mi sentivo sotto esame. E un po' mi emozionai quando il professor Feltri – citando Umberto Eco – ricordò come i libri più interessanti fossero quelli dotati di un titolo geniale. “Sicurezza” – disse Francesco – si presenta sin dalle prime pagine come “il libro che non ti aspetti”, che non cede nulla alle grossolane semplificazioni di cui è piena la cronaca giornalistica e che propone un discorso sulle questioni cruciali del nostro tempo, affrontando nodi che chiamano in causa la necessità di visioni di lungo respiro ma anche i nostri comportamenti quotidiani, ovvero gli stili di vita che non siamo disposti a mettere in discussione.
Venne fuori lo storico quando affermò che i muri e gli slogan razzisti andavano associati ad un “pensiero diffuso e silenziosamente condiviso che va esplorato più che demonizzato”, al rancore che diviene una forma di autismo, agli effetti che hanno avuto le migrazioni non accompagnate da un lavoro di crescita culturale, ad uno scontro che prende sembianze religiose.
Nelle sue parole emergeva in realtà una visione politica che si alimentava nell'elaborazione del Novecento, la necessità di imparare dalla storia, di trarne insegnamento per leggere e capire il presente. Era così vero che proprio quella sera a Modena la Lega, attorno a quella stessa parola “sicurezza”, aveva organizzato una propria manifestazione, coincidenza che rendeva oltremodo il nostro incontro un fatto politico.
I miei appunti e il mio sentire mi riconsegnano una figura con la quale avrei immaginato che il nostro “discorso” sarebbe potuto proseguire, soprattutto nelle forme che ritenevamo comunemente decisive per essere presenti al nostro tempo, quelle del viaggio.
Feltri era un uomo curioso. Le amiche di Modena, nei giorni precedenti la sua scomparsa, mi hanno fatto dono delle prime quattro registrazioni di un percorso formativo che Francesco aveva iniziato a marzo di quest'anno in collaborazione con la Città di Correggio e che aveva per titolo “Imperialismo, totalitarismo e violenza estrema. Suggestioni visive per ripensare il Novecento”. Colpisce (ed emoziona) riascoltare la sua voce che, nell'aprire il percorso formativo con una lezione dal titolo “Cuore di tenebra”, parla proprio del viaggio come occasione per “andare avanti e indietro nel tempo”, per comprendere “in anticipo” quel che il futuro ci può riservare.
Un “invito al viaggio” che avrei voluto continuare a condividere con te, caro Francesco.
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