Proseguiamo la pubblicazione di interventi giunti in redazione sul tema della cooperazione internazionale. In fondo all'articolo i links ai contributi sin qui pubblicati e ai materiali del convegno di Osservatorio del novembre 2001
di Pietro Craighero
L'occasione d'incontro con Valentina, due mesi fa in Bosnia, è stato uno di quei risultati inattesi che profumano di buono; lei terminava l'esperienza cooperativa, io ne tentavo una nuova.
Entrambi con percorsi diversi e speculari: io dal nord-est in Africa con ong cattoliche, lei dal profondo sud nei Balcani con una laica.Ed ora qui, in Bosnia, nello stesso progetto con la stessa ong a contatto con donne e uomini violati nell'intimo.
Riflessioni e rivissuti sono emersi, sgorgati nella piacevolezza della non solitudine partendo da una considerazione diretta di Valentina: "se hanno sopravvissuto alla guerra dei Balcani... sopravviveranno anche alle ong".Le ong quindi come guerra?
No, non sono la stessa cosa, le ong seguono la guerra, per renderla meno feroce, con il risultato inatteso di renderla più praticabile, di umanizzarla.Gli aiuti umanitari stanno raggiungendo sempre di più la velocità della guerra, si parla di aiuti agli Irakeni mentre li si bombarda e li si uccide. Tutto ciò dentro il cappello della cooperazione internazionale.
Per parlare di cooperazione internazionale dobbiamo chiarire alcuni concetti chiave e alcuni meccanismi che l'attraversano.
La cooperazione internazionale è figlia del mondo occidentale e come tale ne porta i presupposti culturali.E' nata da un'esigenza dei paesi arricchiti all'indomani delle indipendenze formali degli stati colonizzati, quando l'impossibilità di mantenere le colonie con la forza militare ha portato gli strateghi occidentali a fare ciò che gli USA avevano fatto a noi con il piano Marshall.
In questo senso c'è stato un rapporto simile, allora come adesso, dove in cambio di indirizzi politici, creazione di nuovi spazi commerciali, creazione di nuovi consumatori si permetteva che l'interesse economico dello stato "donatore" e delle proprie industrie nazionali fosse attratto da questi paesi permettendo loro di essere fra i paesi eletti dalle oligarchie occidentali.
Consideriamo quindi il piano Marshall come "progetto pilota" della cooperazione internazionale e cerchiamo di organizzarne alcuni concetti fondanti all'interno dello schema di un progetto. L'esempio italiano.
Origine dell'iniziativa
- Fine della seconda guerra mondiale
- Alleanza contro il nazi-fascismo tra alleati contrapposti
Prerequisiti per la realizzazione del progetto:
- Stabilizzazione della politica italiana a favore degli USA
- Marshall ad un mese dalle elezioni politiche aveva affermato che gli aiuti economici agli Italiani, sarebbero cessati nel caso di una vittoria elettorale in Italia delle Sinistre.
- Con la minaccia dello spettro dello "stomaco vuoto" e "dell'anima dannata" dal comunismo, il 18 aprile si svolgono le elezioni in Italia. La DC ottiene il 49% dei voti e la maggioranza assoluta.
- In piazza Duomo a Milano, arrivano i primi camion della War Relief Services (i "doni" dei cattolici Usa) che si appoggiano a un Ente di Assistenza di S.S. Pio XII". Il cardinale Schuster gli va incontro, benedicendo la "grazia di Dio" o meglio la "grazia degli Americani".
Contesto:
- Italia liberata dal nazi-fascismo e paese-frontiera a rischio di influenza dell'ex alleato comunista.
- Le economie sono in grave flessione a causa del conflitto e gli USA hanno l'esigenza di rilanciare la propria economia.
Partner locale
- comitati civici
- partiti anticomunisti
- Vaticano
Finalità
- Promuovere un'economia di mercato in occidente abbastanza grande da accogliere i prodotti americani
- Contrastare l'offensiva politica sovietica che promuoveva altre logiche economiche
Obiettivi generali
- Fermare l'avanzata comunista
- Rimettere in moto l'economia americana
- Penetrare stabilmente i mercati europei
- Stabilizzare e omologare l'area dell'Europa occidentale
Obiettivi specifici
- creazione di nuovi consumatori
- riconversione industriale statunitense a fini di pace
- esaurimento delle scorte invendute
- smaltimento del surplus agricolo e industriale
Metodologia
- favorire il radicamento sul medio-lungo periodo dei partiti anticomunisti
- elargire donazioni e crediti
- trasformare la mentalità dei compratori
- imporre i medesimi standards industriali d'oltre oceano
Mezzi:
- Per quanto concerne l'Italia,
- 1 miliardo e 519 milioni di dollari di donazioni e 96 milioni di dollari di prestiti.
- Tra cui l'80% di macchinari, derrate e combustibili di produzione americana. I finanziamenti per macchinari andarono al di là delle richieste italiane, perché queste forniture venivano incontro alle esigenze di smaltimento dell'industria americana.
- Richieste italiane decurtate: del 43,36% per il grano, dello 80,46% quelle per il carbone, del 90,69% quelle per l'acciaio e la ghisa, del 44,43% quelle per i prodotti petroliferi.
- Venivano fornite merci non richieste: persino cotone, tabacco, latte condensato, polvere d'uovo, frutta fresca e secca. Si trattava di beni di cui l'Italia non necessitava, che talvolta produceva in concorrenza con gli Stati Uniti o che aveva maggiore interesse a reperire su altri mercati
- C'era una logica nel graduare in modo differenziato lo sviluppo delle singole economie europee.
Valutazione
Il piano può considerarsi un capolavoro di genialità economica e politica assai più avanzato di interventi analoghi che gli USA hanno successivamente promosso nel mondo.
L'Europa post-bellica si è sicuramente "sviluppata" in termini economici, con criteri di subalternità di lungo periodo alla politica, all'economia e alla cultura statunitense.La cifra stanziata per il piano Marshall assicurava - secondo un'analisi radical americana - "la sopravvivenza del capitalismo mondiale" (J. - G. Kolko).
In questa schematizzazione si sono mischiati appositamente gli interessi reali statunitensi con le motivazioni formali dell'intervento nel tentativo di destrutturare le posizioni tra "donatori" e "beneficiari" .
Le posizioni sono propagandate come irremovibili e cristallizzate mentre tenendo conto della circolarità mascherata del sistema e dell'essenza contraddittoria che la caratterizza si deduce la presenza della doppia faccia dello stesso soggetto "donatore", il quale utilizza le criticità dei beneficiari per costruire e consolidare il proprio potere su di essi.Il "donatore" è il "beneficiario implicito" dell'azione.
Inoltre per confutare ogni possibile dubbio sui significati del termine "sviluppo" e "aiuti" basta rifarsi al discorso inaugurale della presidenza Truman dove la cooperazione è intesa come esclusiva cooperazione economica e dove il termine sviluppo si concretizza nella crescita economica. Gli aiuti sono identificati in investimenti destinati ad una rapida industrializzazione per favorire l'espansione dal centro ai margini dello sviluppo capitalistico.
Se prendiamo come progetto pilota il piano Marshall in termini non solo metodologici ma di significato e logica profonda, possiamo sostenere che la cooperazione è un puro riadattamento continuo di questo "imprinting" relazionale dove alla base c'è l'esigenza di fagocitare "a cascata" nuovi spazi economici.
Questa modalità è adatta a collaborare con l'uso della forza; sia essa militare, economica o culturale.Mille piani Marshall sono stati concepiti per ogni più diversa situazione critica nella finalità comune di aumentare le proprie influenze e quindi il proprio potere.
Il confine fra detto e non detto, fra buona e cattiva fede, fra immagine venduta e immagine riflessa è la fascinazione manipolatoria che la cooperazione internazionale incarna e abita.Anche a livello puramente individuale e psicologico l'approccio all'aiuto risente di questa doppia faccia: "Aiutare è un bisogno come un altro, soddisfarlo è l'obiettivo".
Le ong come figlie del piano Marshall
A livello legislativo la legge italiana che disciplina la cooperazione internazionale allo sviluppo è la L.49/87 .
Si distilla nella frase: "La cooperazione Internazionale allo sviluppo è parte integrante della politica estera". Ciò abilita la cooperazione internazionale e i soggetti operanti a diventare strumenti attivi di politica estera, ambasciatori di interessi nazionali in terra straniera.
Le cosiddette organizzazioni NON governative (termine in "negativo" coniato dal legislatore) sono nate con la facoltà di operare al di fuori del quadro istituzionale e delle direttive governative, trasformandosi poi, in micro istituzioni utilizzate dai governi.
Rispetto alla macro cooperazione (multi e bilaterale dove interessi economici fondanti si sfidano a duello) le ong restano comunque marginali nell'assicurarsi le briciole dei finanziamenti, assumendo peraltro un discreto livello simbolico (marketing sociale per le politiche estere).
Negli anni della loro comparsa, le ong cattoliche, erano funzionali alla politica estera dello Stato vaticano tramite l'intercessione delle proprie ambasciate (centri missionari) ricevendone i finanziamenti e le indicazioni su dove operare.
La comparsa, come strumento di sostegno ai movimenti di liberazione soprattutto in America latina, di quelle laiche legate e finanziate ai sindacati e ai partiti della sinistra, ha creato un duopolio ideologicamente distinto e con referenti istituzionali contrapposti.In entrambi i casi esisteva una vera e propria "scrematura" ideologica del personale operante nelle ong.
Con la vittoria del pensiero unico, le ong sapientemente imboccate da disponibilità di fondi governativi o europei, abbandonano definitivamente la strada non governativa lasciandosi trasportare dalla facile autoreferenzialità acquisita negli anni e dalla ormai sempre minore importanza strategica del proprio valore simbolico.La ricerca spasmodica di allettanti e multisettoriali finanziamenti diventa così la principale attività delle ong, trasformandole in "segugi" della ricerca fondi vedendole passare dal settore agro-zootecnico, sanitario, sociale, idrogeologico, senza averne spesso alcuna specificità e competenza e saltando dal Burkina Faso, alla Bolivia, passando per la Cambogia.
La logica dell'intervento viene ribaltata; prima esisteva un rapporto qualitativo fra comunità del nord e quelle del sud (diocesi italiana e diocesi locale o sindacato/partito con movimento di liberazione) dove le esigenze dei partners diventavano motivo di campagne di sensibilizzazione, raccolta fondi tramite autotassazione, e ricerca di co-finanziamenti istituzionali, poi le ong hanno "girato la testa all'indietro" ricercando le esigenze dei finanziatori e divenendone le interpreti.I partners locali diventano così strumenti sempre piu' funzionali alla logica dell'aiuto "a specchio".
Questo radicale cambiamento ha portato le ong ad organizzarsi con uffici nei luoghi del potere (Bruxelles e Roma), ad assumere caratteristiche sempre più impregnate di logiche aziendalistiche cercando legami politici redditizi e lobby di pressione al fine di ottenere maggiori disponibilità finanziarie e maggiore legittimità.Tra le ong, nel far questo, si sono create scale gerarchiche con criteri derivanti dal potere ottenuto; le ultime nella scala non risultano migliori delle prime, sono solo meno capaci.
Ulteriore involuzione: i progetti di emergenza
Durante e dopo la guerra dei Balcani, per motivi di sicurezza e controllo dell'area mediterranea, si è verificata una nuova occasione per le ong: l'apertura del "nuovo mercato" dei progetti di emergenza. Progetti temporanei, finanziati al 100%, con disponibilità immediata, nessun rapporto di partnership qualitativo, competenze specifiche richieste limitate spesso alla sola logistica.
Queste "emergenze" hanno permesso un "nuovo sviluppo" delle ong prescelte dai finanziatori, lasciando però indietro le escluse. La situazione mondiale ha creato sempre più contesti di "emergenza" dove l'efficientismo matematico delle ong sulla distribuzione di pane/coperte/mutande/case è risultato vincitore rispetto al concetto qualitativo degli ultimi anni '80 del cosiddetto "sviluppo endogeno".Nei progetti di emergenza non si pone il problema della presenza di una relazione asimmetrica. Essa lo è!
La disparità di rapporto tra donatore e beneficiario è la condizione sine qua non dell'azione e del rapporto legato all'emergenza.Le ong così, con le loro bandiere europee piene di stelle, "planano" sulle rovine umane regalando possibilità di vita tra la disperazione indotta, guadagnandoci!
La percentuale di co-finanziamento istituzionale è direttamente proporzionale all'interesse strategico del progetto rispetto alla politica estera adottata dal finanziatore.
Nuova tendenza: controllo totale
La richiesta di consorziarsi delle istituzioni finanziatrici alle ong in macro soggetti è la fase preliminare della nuova strategia nella cooperazione internazionale.L'intervento non è più concepito nella logica del progetto autonomo e autoreferenziale ma in una serie di interventi integrati su intere aree geografiche.
Tramite appalto le macro-ong, munite di personale formato secondo standard prestabiliti, verranno impiegate assieme alle società accreditate nell'implementazione delle attività previste dai finanziatori.Si parlerà di macro-zone da "sviluppare"; ciò permetterà un maggiore e più agevole controllo sull'uso dei fondi e garantirà la coerenza delle azioni rispetto agli interessi dei finanziatori.
Con quest'ultima fase si chiude definitivamente il ciclo della cooperazione internazionale come possibile modalita' "riequilibrante". Il ritorno a macro interventi simili al piano Marshall nei quali le ong diventano le principali esecutrici, chiarisce definitivamente la natura istituzionale delle ong e ne decreta la fine del loro senso alternativo.
De-cooperare:
La creazione temporanea di occasioni, di spazi, di possibilita', di ponti nell'annusamento e nella scelta reciproca e nella migrazione di idee applicate ai corpi, puo' essere una delle occasioni per nuovi approdi inimmaginati. "Cooperare" non è rimettere il gregge all'interno dello steccato, non è riportare l'ordine nel disordine, ma essere margini che sabotano e disobbediscono, decostruiscono nella gioia e reinventano variabili non controllabili, ribaltano i significati dei corpi e delle menti.
Una cooperazione senza soldi, del non-lavoro nutrita solo di risultati inattesi è una cooperazione de-cooperata, ribaltata, ingovernabile, nomade, dove le dinamiche magiche si creano per occasioni e non per volontà, dove la fortuna deve essere ricercata, e i codici devono essere inventati e non tramandati nel solo ricordo del presente e del futuro.
pieTro Craighero
de-cooperatore
pieribosnia@libero.it
Gli altri interventi del dibattito sulla cooperazione:
Da una ex, riflessioni ondivaghe sul tema della cooperazione
Dibattito cooperazione: tra la vita che cambia e la forma che fissa
Forum cooperazione: interviene Mauro Barisone
Dieci anni di cooperazione con il sud est Europa: bilancio, critiche, prospettive
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!