Un'immagine tratta dal film "I am not him"

Un cuoco cinquantenne, una relazione torrida e segreta e l'appropriarsi della vita di un altro. Convincente il primo film del sud-est Europa proiettato al festival internazionale del film di Roma: “Ben o degilim – I am not Him” di Tayfun Pirselimoglu ha confermato le aspettative

15/11/2013 -  Nicola Falcinella

È iniziato bene il Festival del cinema di Roma , in programma fino a domenica, dal punto di vista dell’Europa del sud-est. Il turco “Ben o degilim – I am not Him”, quinto lungometraggio di Tayfun Pirselimoglu, ha confermato le aspettative.

Una bella pellicola, coproduzione Turchia, Francia, Grecia e Germania, che rappresenta un passo avanti per un autore interessante, il cui lungometraggio più recente era “Sac – Capelli”, in concorso al Festival di Locarno del 2010.

L’introverso cinquantenne Nihat (Ercan Kesal, già protagonista del bellissimo “Muffa - Küf” di Ali Aydın) lavora nella mensa di un ospedale nella zona di Izmir e conduce una vita solitaria, se non fosse per le occasionali uscite con due colleghi. L’inizio, con l’uomo che si alza dal letto, si guarda allo specchio e la sua immagine riflessa resta anche dopo che è uscito dalla porta, fa intuire che non si tratta di una storia dall’impianto realista.

La prima metà film sembra dimenticare l’incipit, con una quotidianità quasi silenziosa (la musica è praticamente assente) scandita dal lavoro, dal prepararsi i pasti in solitaria, con un’uscita con una prostituta sulla strada che si conclude con una notte in guardina. E le attenzioni sempre più insistite della giovane e bella collega Ayse (Maryam Zaree), che ha il marito in carcere per duplice omicidio e sulla quale circolano tante voci.

Accettare un invito a cena, fa scattare una relazione torrida e segreta, sconvolta da una scoperta: Nihat vede in fotografia il marito di lei e scopre di assomigliargli tantissimo. Quando una gita al mare si trasforma in tragedia e la donna annega, l’uomo reagisce trasformandosi nel marito di lei e la vicenda prende una piega tra Hitchcock e Kieslowski con qualcosa di Antonioni.

Un film che avvolge e avvince, maturo, che lascia domande aperte e dubbi. Una possibile elaborazione del lutto attraverso la trasformazione in un’altra persona, la ricerca di partner simili, lo scambio di identità, una fuga nell’appropriazione della vita di un altro. E ancora una variazione sul tema del vero/falso e del doppio, che in un contesto così asciutto e reale sembra ancora più straniante.

Numeri 2

In lizza nel concorso per il Marc’Aurelio ci sono altri due film dell’area, tutti in prima mondiale, su 18 complessivi. “Tir” del friulano Alberto Fasulo, al secondo film dopo “Rumore bianco”, la storia quasi biografica di Branko Završan, un ex professore di Rijeka / Fiume diventato camionista per un'azienda italiana nella doppia veste di co-sceneggiatore e protagonista.

È un secondo film anche “Quod erat demonstrandum” del romeno Andrei Gruzsniczki (già autore di “L’altra Irina” del 2008) con Florin Piersic jr., Dorian (Doru) Boguta e Medeea Marinescu.

Un'immagine tratta da "Stalingrad 3d"

Fuori concorso ci sono due film russi degni di attenzione. Il kolossal “Stalingrad 3D” del figlio d’arte Fedor Bondarchuk (il padre era il Sergej regista di “Guerra e pace”), film sulla fondamentale battaglia della Seconda guerra mondiale, è stato in patria un campione d’incassi e rappresenterà la Russia agli Oscar. La vicenda epica è narrata attraverso Sergey che ai giorni nostri è in Giappone a soccorrere le vittime dello tsumani e aiuta un gruppo di tedeschi. L’uomo è figlio di Katja (Maria Smolnikova) che giovanissima, nell’autunno 1942, era rimasta chiusa in una casa sul Volga insieme a cinque soldati sovietici impegnati a impedire ai nazisti di arrivare al fiume. Era l’inizio della controffensiva che porterà a respingere la Wehrmacht.

Bondarchuk ha realizzato un film spettacolare e patriottico che rispetta la filosofia putiniana, non brutto anche se forse diverso dal gusto occidentale, e ha messo insieme l’aspetto bellico e quello più personale quasi intimo. Prevale quasi quest’ultimo aspetto sui combattimenti, nei quali sono stati usati carri armati di modelli dell’epoca o molto simili.

C’è la storia d’amore, un po’ da feuilleton ma che ci sta in un film così, tra il capitano nazista Kahn (Thomas Kretchmann) e la bionda Masha (Yana Studilina), che si amano pur senza capirsi, del resto “liebe” e “ljubov’ “ non suonano troppo diversi. Anche tra i sei della casa la guerra, il comunismo e la patria non sono l’unico interesse. I soldati si confrontano, litigano, sono tutti attratti dalla ragazza. Intanto si preparano a resistere e a difendere il baluardo, con una parte finale quasi da supereroi.

Sergey Chvanov sarà figlio di uno dei soldati, ma in qualche modo si sentirà “figlio di tutti e cinque”. Espressione forse retorica ma anche efficace dell’essere figlio ed espressione di un popolo che ha combattuto unito per difendersi.

Premio Marc'Aurelio

Al grande Aleksei Yuryevich German scomparso pochi mesi fa il premio Marc’Aurelio alla memoria in occasione della prima dell’opera postuma “Trudno byt’ Bogom - Hard To Be A God - È difficile essere un Dio” con Leonid Yarmolnik, Dmitriy Vladimirov e Laura Lauri. Un film tratto dal romanzo di fantascienza dei fratelli Strugatsky al quale ha lavorato per molti anni, prima di morire all’inizio di quest’anno. German fu rappresentante di punta della cosiddetta scuola di Leningrado e fu ostracizzato e censurato in epoca sovietica.

Il suo capolavoro “Moj drug Ivan Lapshin – Il mio amico Ivan Lapshin”, realizzato fra il 1982 e l’84, fu consentito di circolare solo nel 1986, vincendo il Pardo di bronzo al Festival di Locarno. Nello stesso anno fu distribuito “Proverka na dorogach – Controllo sulle strade” girato nel 1971. Tra i suoi film anche “Dvadsiat dnei bez vojny – Venti giorni senza guerra”.


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